Accantonato il nonno all’ospedale, abbandonata nel cortile di un casermone
popolare la gatta con il gattino, non rimaneva alla famiglia Lattanzi che
sperdere Tobia, il bastardino bianco e marrone, onde potersi poi godere la
meritata vacanza nella località balneare in cui da mesi avevano prenotato la
pensione. Tobia lo lasciarono in autostrada: così era proprio sicuro che non potesse
ritrovare la via di casa. Fatto scendere il cagnolino dalla Fiat Punto
bianca, Massimo, ragioniere trentacinquenne, ingranò la prima con la
fermezza di chi ha compiuto un dovere, segnalò con la freccia a sinistra e
ripartì. Sua moglie Caterina, impiegata postale trentaduenne, scartò una
gomma americana e se la mise in bocca. Poi, senza voltarsi, tese il
pacchetto alla figlia, seduta dietro. -Vuoi? Ma la dodicenne Arianna, una bambina esile, non molto graziosa, ignorò il
gesto materno: era girata per guardare, dal lunotto posteriore, Tobia,
seduto perplesso e non ancora consapevole dell'abbandono sulla corsia
d'emergenza. La bambina continuò a fissarlo finché una curva non le nascose
il cane oramai ridotto a un puntolino: allora scoppiò in un pianto rumoroso.
- Non fare la stupidina ‑ la redarguì blandamente la madre ‑ non hai visto
che è entrato in quel campo? ‑ non era minimamente vero ‑ laggiù c'è la casa
colonica,se lo prenderanno i contadini. Un cane da guardia fa sempre comodo,
in campagna. - Da guardia il mite, piccolo Tobia? Arianna replicò, tra i singhiozzi:
- Gli volevo tanto bene... Mi avevate promesso che potevo tenerlo. ‑ Alla pensione ci hanno detto chiaro e tondo che non lo volevano ‑ replicò
la madre infastidita, sempre masticando gomma. ‑ Potevamo almeno portarci Bianchina e Nerino. Sarebbero stati in camera...
Sono così puliti, io avrei cambiato la cassettina e... ‑ Sì, figurati, due gatti in camera d'albergo. E poi li abbiamo sistemati
nel modo migliore, dai retta alla tua mamma. I gatti soffrono, chiusi in
appartamento. Hai visto quanti ce n'erano in quel cortile? Vuol dire che
stanno bene, hanno chi gli dà da mangiare e si godono la loro libertà. Arianna continuò a piangere in silenzio. Inutile ricordare a sua madre
l'accoglienza riservata ai due timidi intrusi che invadevano il loro
territorio dagli scheletriti gatti del cortile: inutile rammentare la
portinaia armata di scopa che inveiva contro di loro dopo che,lasciati i due
micetti, ripartivano a tutta velocità. Il ragionier Massimo, che fino a quel momento non aveva preso parte alle
chiacchi delle sue donne, intervenne, brusco e stizzoso perché il pianto
della figlia, per altri versi da lui viziatissima, lo innervosiva: ‑ Tu piuttosto, Arianna, fai a meno d’ ora in poi di portarci a casa gli
animali vai raccogliendo. Sai benissimo che non possiamo tenerli. ‑ Ma perché non mi ci avete lasciato, a casa? Potevo stare col nonno che
così non finiva all'ospedale e tenermi Tobia, Bianchina e Nerino... ‑ Ma fammi ridere ‑ replicò, sarcastica, la madre ‑ s'è mai vista una
ragazzina di dodici anni che se ne rimane d'agosto, al caldo, con un vecchio
di ottantaquattro po'... un po' svanito? ‑ veramente la parola giusta per il
suocero sarebbe stata 'rimbambito' ma la donna non osò essere così cruda per
riguardo a Massimo. ‑ Il nonno non è svanito. Non tanto, almeno.
Il ragioner Massimo mise la freccia a destra dirigendosi alla piazzola di
una stazione di servizio. ‑ Non so voi ‑ dichiarò ‑ ma io muoio di sete. ‑ E io ho bisogno del bagno ‑ disse Caterina. Arianna si asciugò gli occhi
con un fazzolettino di carta e non disse niente. L'area di servizio era deserta ‑ erano le tre di un afoso pomeriggio di fine
luglio e il ragionier Massimo posteggiò proprio vicino alla porta vetrata
del bar. Scesero dalla Punto e la famigliola si separò: la madre seguì la
freccia che indicava le toilettes mentre padre e figlia entravano nel bar. Dentro era fresco e semibuio, specie in confronto alla luce accecante del
piazzale . Ed era vuoto: c'erano soltanto la cassiera, una ragazzetta
dipinta, il barista, un omaccione, e, più lontani, accanto al banco dei
souvenirs, due stranieri spilungoni, chiaramente nordici, che sceglievano
delle cartoline. ‑ Vuoi un gelatino, cocca? ‑ chiese il ragionier Massimo alla figlia. Ma la
ragazzina non poté rispondere perché alla voce di suo padre si sovrappose
quella burbera del barista: ‑ Ehi, bambina, ma non l'hai visto il cartello sulla porta? Ci fu un attimo di stupito silenzio: poi Massimo chiese, un po' titubante: ‑ Ma... sta dicendo a mia figlia? ‑ Bambina ‑ ripeté il barista ignorandolo ‑ qui lui ‑ e indicava proprio il
padre ‑ non può entrare. Riportalo fuori. ‑ Ma che cavolo... ‑ cominciò Massimo in un tono in cui l'ira si mescolava
allo stupore. ‑ Vedi? ‑ il barista alzò la voce contro la bambina intimidita ‑ fa pure
chiasso. Ti devi sbrigare a portarlo fuori? Ma sei sorda, handicappata o cosa? ‑ Ma come si permette di trattare così mia figlia? – sbraitò Massimo
lanciandosi verso il banco. Mentre la cassiera si metteva a urlare,
terrorizzata, e i due stranieri sul fondo rimanevano immobili e allibiti con
le mani piene di cartoline, il barista afferrò svelto la prima bottiglia che
gli capitò a tiro e, servendosene come di un'arma, la roteò davanti alla
faccia Massimo. ‑ Pussa via, sai o ti spacco la zucca! ‑ e rivolto alla cassiera ‑ e tu
Marisa, piantala di strillare e chiama i carabinieri! ‑ Andiamocene, papà ‑ sussurrò Arianna terrorizzata. ‑ Sì, ce ne andiamo ‑ proclamò il ragionier Massimo indietreggiando di
fronte alla bottiglia minacciosamente brandita da un pugno enorme ‑ ma ve li
portiamo noi,i carabinieri! Roba da pazzi! Padre e figlia uscirono nella canicola in tempo per vedere la rispettiva
moglie e madre giungere di corsa ed infilarsi velocemente nella Punto... ‑ Che succede, Caterina? ‑ chiese il marito entrando lui pure nella
macchina. Intanto stava arrivando, trafelata, una donna anziana con un
grembiule di rigatino bianco e rosso che agguantò Arianna per un braccio. ‑ Ah, così era tua? ‑ disse additando la tremebonda Caterina ‑ e dove sono
tuo padre e tua madre? Dentro, eh? ‑ ed indicava con il mento il bar ‑ e
hanno mollato libera questa sporcacciona che ha fatto pipì nella mia
toilette, ha fatto! Dico, non è abbastanza che io per campare debba pulire
lo sporco dei cristiani? ‑ Senta lei... ‑ cominciò il ragionier Massimo in una pausa dello sfogo di
quella furia - non so cosa stia succedendo qui, ma... ‑ Pussa via, tu! Mica mi fai paura, sai? ‑ la donna lo avvolse in
un'occhiata di disprezzo ‑ e adesso ne vado a dire quattro ai tuoi,
ragazzina. Mi sentiranno! ‑ ed entrò nel bar a passo di marcia, sbraitando:
‑ chi sono i padroni di quella Punto là fuori? Sali, presto, Arianna! E andiamocene, Massimo, andiamocene. Quella è una
pazza pericolosa. Dio mio ‑ Caterina singultava dalla paura ‑ voleva
prendermi a scopate! ‑ Va bene, va bene, ce ne andiamo ‑ rispose il marito girando la chiavetta
di accensione ‑ ma i carabinieri non glieli leva nessuno, a questi
screanzati! Uscirono dalla stazione di servizio proprio mentre il barista e
l'inserviente delle toilettes si facevano sulla porta del bar, urlando e
agitando le braccia.
Al prossimo casello d'uscita mancavano sessanta chilometri, macinando i
quali il ragionier Massimo ridimensionò notevolmente i suoi bellicosi
progetti. ‑ Il fatto è che non abbiamo testimoni ‑ convenne ‑ quei due stranieri nel
bar non avranno capito niente e poi vai a ripescarli. E il tempo che
dovremmo perdere... ‑ Ma sì, lascia stare, Massimo ‑ supplicò Caterina ancora tremebonda ‑ il
solo pensiero di rivedere quella donna... ‑ Vuoi dire che scriverò alla Società delle Autostrade e se mi gira anche ai
giornali ‑ affermò virilmente il marito ‑ sì, farò proprio così. Insomma,
mica si possono permettere di trattare in questo modo la gente perbene e
farla franca!
La pensione Florida si presentava molto bene. Era sul lungomare: la
precedeva un ameno giardinetto in cui crescevano palme e oleandri. Era
pomeriggio inoltrato, ma faceva ancora molto caldo quando i Lattanzi
arrivarono. Massimo trovò un bel posto libero per la macchina proprio
davanti al giardinetto.. Sostarono un attimo, ammirati e compiaciuti con se
stessi per la buona scelta, poi entrarono. Arianna precedeva i genitori
portando un borsone di tela gialla. ‑ Ciao, piccola! ‑ una matronale signora in prendisole nero stampato a
grandi rose rosse si faceva loro incontro ‑ sei la bambina dei Lattanzi,
vero? Vi aspettavo propri a quest'ora, siete puntualissimi. Adesso mando il
ragazzo ad aiutare papà e mamma: Emanuele! ‑ chiamò forte voltandosi
indietro e al ragazzotto in grembiule marrone che subito apparve ‑ sono
arrivati i signori Lattanzi. Sono qua fuori. Aiutali con i bagagli . ‑ Siamo noi i Lattanzi ‑ spiegò il ragionier Massimo ‑ la macchina è quella
Punto là fuori. E’ aperta. Ci sono ancora le due valigie grandi e... La padrona della pensione gli diede uno sguardo preoccupato e poi,
ignorandolo completamente, si rivolse ad Arianna: ‑ Che simpatici ‑ e il suo mento accennava al papà e alla mamma ‑ però,
tesoro, avevo fatto patti chiari con i tuoi: loro qui non li potete tenere.
Per me sarebbe indifferente ma gli altri clienti protesterebbero. ‑ Protestare? Non ci vuole più? Dopo che abbiamo regolarmente prenotato? ‑
esclamò Massimo in tono alto e vibrato. ‑ Lo vedi cara ‑ sospirò la padrona rivolta ad Arianna ‑ come è rumoroso?
Non potete pretendere... Su, Emanuele, vai fuori e chiama i signori Lattanzi. ‑ Ma, insomma finiamola! ‑ Mi sembra di diventare pazza... Le due voci di Massimo e Caterina si sovrapposero in una cacofonia
inintellegibile. Un cliente che leggeva il giornale seduto su un divanetto
alzò la testa meravigliato e chiaramente infastidito. In quei momento la porta a vetri della pensione si aprì. Di colpo tutti tacquero, fissando il nuovo arrivato. Questi era un signore
molto anziano, bassino, asciutto. Ad onta del caldo e della località vestiva
un dignitoso abito beige e portava la cravatta. Da tutta la sua persona
emanava un'aura di tranquilla autorità. Fu Arianna la prima di riconoscerlo. ‑ Nonno, nonnino! ‑ esclamò correndo ad abbracciarlo. Il vecchio signore la
ricambiò con tenerezza. Massimo era sbalordito. Papà! ‑ articolò ‑ ma come è possibile? Come sei arrivato qui? Trecento
chilometri... ‑ Ti abbiamo lasciato all'ospedale ‑ rincarò Caterina ‑ non capivi niente,
tremavi tutto ‑ e fissò le vecchie mani che ora apparivano fermissime. Ma il nonno, ignorando completamente figlio e nuora, passò un braccio
intorno alle spalle di Arianna e si rivolse, sorridendo, alla padrona della
pensione. ‑ E andata così ‑ la sua pronuncia era chiarissima, come se miracolosamente
la ia dentiera non ballasse più ‑ Mio figlio e mia nuora non possono più
venire... Un improvviso impegno di lavoro di Massimo, Allora per non far
perdere il mare alla nipotina sono venuto io a stare con lei…Invece di una
tripla ci può dare due singole? ‑ Certamente ‑ sorrise la padrona conquistata dalla semplice dignità dei
vecchio signore ‑ poi, nuovamente preoccupata ‑ ma quelli? ‑ e accennava a
Massimo e Caterina. ‑ Oh, quelli ‑ il vecchio avvolse il figlio e nuora in un'occhiata di
compatimento - La bambina è troppo timida per spiegare... ‑fece un gesto
disinvolto con la mano non ci appartengono. Ma ora ci penso io. Su, belli,
venite - prese con una mano la mano di Caterina con l'altra quella di
Massimo e li condusse, cosi sbalorditi da non essere in grado di reagire,
fuori dalla porta ‑ Ecco fatto! concluse con gentile fermezza. Fuori, Massimo recuperò la parola. E la rabbia: - Mi dispiace tanto per papà, ma io adesso ai Carabinieri ci vado proprio ‑
disse avviandosi a grandi passi alla Punto. La moglie lo prese per il
braccio, implorante: Lascia perdere! -Come sarebbe? Lasciar perdere? Ma…
- E’ tutto così strano... prendiamo la macchina e andiamo via, ti prego. Ma Massimo non poté replicare perché in quei momento usci dalla pensione il
giovane inserviente che, come li vide vicini all'automobile, gridò: - Ancora
qui, voi due? ‑ e fece l'atto di tirare un calcio a Caterina che era la più
vicina ‑ filate! o devo cacciarvi con la scopa? E Massimo e Caterina corsero via, il cuore in tumulto, avviandosi in una
direzione qualsiasi.
Correvano senza meta, mentre pareva che tutti ce l'avessero con loro.
Un'aristocratica pechinese, che incedeva sussiegosa sulle corte zampette,
strappò quasi il guinza dalle mani del padrone per avventarsi su Massimo,
abbaiando istericamente. ‑ Buona, buona, Turandot! ‑ tentò di chiamarla il padrone e, lungi dallo
scusarsi con Massimo ‑ e tu pussa via! Via! Indietreggiando, spaventata,
Caterina andò urtare contro un passeggino spinto da una giovane madre: ‑ Scusi, signora... ‑ Ma quella, raddrizzando il carrozzino, si allontanò a
grandi passi, proclamando con voce alta e sdegnata: ‑ Non dovrebbero lasciarli liberi così, in mezzo alla gente. Altre persone
annuirono e guardarono la coppia Lattanzi con ostilità. ‑ Traversiamo ‑ balbettò Caterina intimidita, prendendo per mano il marito.
Ma una macchina che arrivava piuttosto veloce non fece il gesto di frenare
se non all'ultimo momento. Vi fu un brusco stridio di gomme mentre Massimo e
Caterina si mettevano in salvo sull'altro marciapiede. ‑ Maledetti! ‑ gridò il conducente mostrando il pugno.
Era buio, adesso. Tutti gli alberghi e i ristoranti all'aria aperta del
lungomare sfavillavano di luci. La gente sedeva ai tavolini tranquilla e
soddisfatta, mangiando, bevendo ridendo. In uno dei ristoranti a mare c'era ancora un tavolo libero. ‑ Proviamo? ‑ dissero gli occhi di Massimo ‑ proviamo ‑ risposero gli occhi
di Caterina. Si lasciarono cadere sulle sedie, affranti. Per un po' non accadde nulla.
Poi arrivò cameriere, gli occhi fissi su di loro. - Ma guarda un po'... ‑ esclamò seccatissimo, poi si voltò verso il tavolo
vicino dove due coppie giovani stavano cenando e, additando i Lattanzi, ‑
sono di lor signori? ‑ ottenuto un diniego, sbatacchiò il tovagliolo che
aveva al braccio sulla faccia del più vicino Massimo, ordinando ‑ giù dalla
sedie, tutti e due! ‑ Li lasci stare ‑ disse uno dei commensali ‑ non danno fastidio. ‑ E poi a
Massimo: ‑ qua, amico ‑ e gli gettò ai piedi una costoletta mezzo
rosicchiata. Il cameriere fece una faccia contrariata, ma, non osando
discutere con dei clienti, si allontanò. Massimo esitò un attimo: fu Caterina che si chinò, afferrò l'osso e lo
addentò. Quel gesto di lei fece sentire al marito tutta la fame e la
debolezza che anche lui provava, prostrato com'era dall'infernale giornata:
si avventò su Caterina, le strappò l'osso rosicchiato e se lo cacciò in
bocca, triturandolo con denti forti e appuntiti. ‑ Su, amico, non essere egoista, ce n'è per tutti e due ‑ rise, divertito,
il commensale di prima gettando un altro pezzo di carne che Caterina afferrò
con un sordo brontolio. Il secondo uomo della comitiva, ridendo, tirò pure
lui qualcosa. ‑ Basta, non gli date altro se no non ce li leviamo più di torno ‑ disse una
delle donne: ma gli altri tre non la ascoltarono e continuarono a gettare
bocconi, divertiti al vedere come Massimo e Caterina se li disputavano. Quando le due coppie, pagato il conto, si alzarono, i Lattanzi, scambiatisi
uno sguardo, li seguirono: in fondo, quelle erano le uniche persone che in
quel giorno non li avessero maltrattati. ‑ Ecco, vedete? ‑ ci vengono appresso ‑ disse la stizzosa di prima ‑ ve
l'ave detto che non ce li levavamo più di torno! ‑ Sì, ci mancherebbe ‑ disse uno dei due uomini e batté forte le mani quasi
sulla faccia di Massimo e Caterina ‑ sciò! sciò, ragazzi miei! La festa è
finita! I due Lattanzi rimasero desolati, silenziosi a guardare la piccola comitiva
che entrava in una Audi. Poi, non sapendo dove altro andare, tornarono verso
la terrazza dei ristorante. Là il cameriere di prima, tutto stizzito, stava
spazzando per terra dove loro due si erano disputati le ossa. ‑ Guarda qui cosa mi hanno combinato di sporco e di unto! ‑ borbottava. Poi
alzò ,la testa e li vide. Il suo volto si contrasse dalla rabbia. ‑ Di nuovo qui, voi due? Pussate via subito! E li prese a scopate. Era tardissimo. Man mano i ristoranti e i bar dei lungomare si erano vuotati
e non circolava quasi più nessuno. Massimo e Caterina si trascinavano senza
meta non riuscendo a trovare un posto dove riposare un poco: per quanto
fosse tardi, si imbattevano sempre in qualcuno che li scacciava. Da lontano cominciarono a sentire un gracidare di radioline che andavano a
tutto rock, misto al suono di voci giovanili alte e petulanti.
Avvicinandosi, in una rotonda che dava sul mare videro un gruppo di giovani
e di ragazze seduti sulle motociclette. E improvvisamente Caterina ebbe un tuffo al cuore: in una ragazzina seduta
sulie ginocchia di un coetaneo le parve di riconoscere sua figlia. ‑ Arianna! ‑ gridò correndo ad abbracciarla. Ma quella, una perfetta
estranea, si sottrasse ai suo contatto levando grida acute e isteriche. ‑ Non li sopporto, mi fanno paura! E fu così che Caterina si prese dall'amico della ragazza un calcione in
piena faccia che le riempì la bocca di sangue e la mandò a rotolare lontano. ‑ Lasciala stare! ‑ gridò Massimo precipitandosi a soccorrerla. Tutti
risero. ‑ Proprio una bella coppia ‑ motteggiò un altro ragazzo bersagliando Massimo
con una lattina di birra. Ehi, mi viene un'idea ‑ gridò un terzo giovane ‑ che ne dite di dargli
fuoco, a questi due? Così imparano a rompere. Ho una tanichetta di
benzina... Si levò un coro di entusiastica approvazione. Ma Massimo e Caterina non
attesero un secondo: scapparono a gambe levate verso l'oscurità di un viale. ‑ Manco avessero capito! ‑ li raggiunse una voce giovanile beffarda ‑ dai,
prendiamoli! Tutte le motociclette si misero in moto. Massimo e Caterina fuggivano lungo il viale, bordato da fitte siepi:
impossibile trovare un nascondiglio. Dietro, le motociclette incalzavano,
con i fari che spazzavano il buio della notte. Poi, d'improvviso, la
salvezza: oltre una curva, la siepe si diradava. I due Lattanzi i tuffarono
nel varco appena in tempo, prima che i fari degli inseguitori illuminassero
la curva. Con immenso sollievo i fuggiaschi sentirono i motori imballati
proseguire la loro folle corsa, il rombo affievolirsi... Si allontanarono comunque dal varco che li aveva salvati: i giovinastri
potevano tornare indietro e scoprirli. Si addentrarono in quello che pareva
un prato strascinandosi finché, sfiniti, si buttarono in terra: per un bel
pezzo ansimarono, prostrati dalla corsa e dall'arsura che li divorava. Si addormentarono nella notte calda, stretti l'uno all'altra, ognuno
baluardo del compagno contro un mondo che pareva impazzito. L'alba aveva appena schiarito il cielo quando il latrare di un cane li
svegliò da un sonno inquieto. Furono desti di soprassalto, il cuore in gola: ‑ Cos'é! ‑ balbettò Caterina ‑ e poi ‑ Dio mio, scappiamo, Massimo,
scappiamo! La luce ancora incerta mostrava loro che si trovavano in un campo di stoppie
distante da una casa colonica; e da quella direzione stava correndo verso di
loro, seguito da un cane, un contadino che agitava qualcosa con un
braccio... Un fucile. ‑ Rognosi bastardi! ‑ gridava l'uomo ‑ siete voi che mi sgozzate le galline!
Adesso vi aggiusto! ‑ si fermò e prese la mira. ‑ Presto, presto! Massimo correva avanti e Caterina gli ansimava appresso. Il buco il varco
dal quale erano passati quella notte, dov'era? In quale direzione? Il fucile sparò. Caterina mandò un grido e cadde. Massimo era ormai al di là della pietà: anzi fu grato al diversivo che stava
per essere la salvezza. Con tutto il suo peso, con tutto l'impatto della
corsa, si buttò nella fitta siepe, divellendo quasi un cespuglio,
insensibile al rantolo di dolore della moglie che si torceva in terra, nel
campo. Ma il fuggiasco non si sentiva ancora in salvo: superata la siepe,
graffiato, lacerato, sanguinante, si buttò ciecamente in mezzo alla strada… ‑ Fortuna che non ha frenato ‑ disse il secondo autista al conducente del
Tir mentre l'automezzo proseguiva a velocità sostenuta ‑sai che sbandata, se
no! Quella Mercedes la prendevamo in pieno. Sono mica scemo ‑ replicò l'autista ‑ non ci ho pensato un attimo, a
frenare. Quel cane era proprio grosso. Bestiaccia idiota! Traversare la
strada in quel modo, maledetto randagio!
Maria Santini Questo racconto ora
aggiornato è
stato pubblicato per la prima volta nel testo di Educazione ambientale
«Anch’io sono una
stagione»
(Tecnodid, Napoli).
Maria Santini è nata a
Torino ma vive a Roma da molti anni. Autrice di numerose pubblicazioni a
carattere storico e fantastico, si è occupata di narrativa per la scuola
rivisitando, in uno stile avvincente e personalissimo, i luoghi della
memoria. L'insaziabile curiosità intellettuale è un dato caratteristico di
questa scrittrice che offre al lettore una qualità di scrittura e una
capacità narrativa assai rare. Ha pubblicato da Simonelli Editore:
Matilde di Canossa,
Liszt,
i Pascoli del Mistero e
Sette Romanzi Gialli
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