«Sacrilegio! Agatha non va paragonata con nessuno, tanto meno con un’illustre
sconosciuta come me».
Perché? Secondo lei cos’ha di così speciale, la Christie?
«Si è sottratta allo steretotipo di tutte quelle macchine pensanti che
andavano di moda all’epoca sua (Philo Vance, i vari grandi vecchi di
Dickson Carr, quel presuntuoso di lord Peter Wimsey , Albert Campion e chi
più ne ha più ne metta) ed ha creato personaggi vivi e veri con
un’ambientazione accurata e godibile. Per non parlare delle sue soluzioni,
originali e stupefacenti. E già che ho nominato le macchine pensanti, dirò
che l’unica di esse che riscuote la mia approvazione, anzi che adoro, è il
grande Nero Wolfe di Rex Stout, con la sua deliziosa eccentricità. In uno
dei romanzi di Stout c’è quella che ritengo la miglior battuta letta in un
giallo. Ad Archie che lo supplica, in gravi circostanze, di piegarsi ad
agire come una persona normale, Nero risponde: "Pfui. A che serve farsi la
fama di persona eccentrica se poi, alla minima provocazione, ci si comporta
come tutti?" ».
Come nascono le sue storie?
«In genere, da un frammento, o più frammenti che poi si saldano insieme. Per
esempio,
Villino Sospiro nasce dall’agrodolce villeggiatura della bambina Maria presso la nonna: intorno a questo ho costruito poi romanzo e trama. A
volte nel creare i personaggi prendo spunto dal carattere o dall’aspetto di
persone che conosco. Per esempio, una mia cara amica, persona deliziosa, si
stupirebbe molto se sapesse di avermi dato l’input , soprattutto riguardo
all’aspetto, per creare l’Ilaria di
L’ex compagna di scuola che è un
personaggio a dir poco negativo (non svelo nulla, già dal suo primo apparire
in scena si capisce che tipo è)».
Ogni suo romanzo è autonomo oppure ve ne sono alcuni collegati?
«I due che ho scritto per primi (Colombe Maligne e
Lei, gentilmente)
hanno la stessa protagonista, l’avvocatessa senza nome. Avrei anche
continuato con lei, perché mi era simpatica ma scoprii ben presto l’errore
che avevo commesso - anzi i tre errori - nell’avviare una serie con un
personaggio fisso: nella mia inesperienza di allora le avevo attribuito
caratteristiche difficili da gestire . La prima era il fatto che risiedeva a
Milano, città che non conosco, per cui dovevo ogni volta farla venire a Roma
, dove vivo , con scuse varie: la seconda che era avvocato ed io di
giurisprudenza me ne intendo proprio poco cosicchè correvo il rischio di
brutti scivoloni: infine, proprio la mancanza di un nome rappresentava un
handicap perché la cosa complica non poco la scrittura. Originariamente la
mia avvocatessa avrebbe dovuto essere la protagonista anche di
L’ex compagna di scuola ma poi ho preferito affidare la parte alla
scrittrice Simonetta. Così, rimaneggiando
Lei, gentilmente, nel finale ho sistemato per il meglio la vita
della mia avvocatessa e l’ho messa in pensione. Mai più in seguito mi sono
affidata a un personaggio fisso».
Quale immagina che sia il suo lettore o la sua lettrice ideali?
«Quelli che condividono i miei gusti in fatto di gialli: ambientazione
borghese, nessuna propensione per l’hard, apprezzamento di una trama ben
strutturata con soluzione moderatamente originale: oggi le “grandi”
soluzioni alla Christie sarebbero ridicole. E soprattutto il mio lettore
ideale deve avere propensione per una certa stringatezza. Fateci caso: oggi
molti gialli hanno la mole di romanzi di Dostoievskji. Faccio due nomi
soltanto: quello della sopravvalutata Elizabeth George e sì, devo proprio
dirlo, anche quello della sopra-sopravvalutata P.D.James. Le loro storie
constano sempre di non meno di ottocento pagine nelle quali, naturalmente,
va perduto quello che secondo me è l’essenziale requisito di un giallo:
tutti gli elementi messi in campo devono essere consequenziali allo
svolgimento della trama. Oggi invece, le due scrittrici predette ma anche
altri non sono contenti se non descrivono fino alla spasimo tutti gli
ambienti in cui si muovono i personaggi ( pensate alla James che crea
palazzi e perfino isole intere e di ogni stanza ci descrive fin la
tappezzeria) nonché, naturalmente, tutti gli amori dei personaggi medesimi
(così fa la George), descritti con particolari così accurati da far sembrare
alla fine la faccenduola un’esercitazione ginnica. Non è moralismo il mio:
ben venga anche l’erotismo, in un giallo, ma se è finalizzato alla trama e
non rappresenta invece un momento di divagazione in cui il lettore fa il
guardone in attesa che la narrazione riprenda».
Che ne pensa del giallo storico?
«Che ce n’è, oggi, un’invasione da non poterne più. Da notare che mi ci sono
messa anch’io: due mie opere
I Pascoli del mistero e
Matilde di Canossa
possono essere lette anche come gialli d’epoca. Nel primo c’è l’intrigo che
coinvolge Giovanni Pascoli nelle fosche vicende di una nobile famiglia
siciliana, nel secondo la vicenda, mai chiarita, della fine improvvisa del
fratello e della sorella della contessa, morti bambini. Però, ribadisco che
oggi di gialli d’epoca ce ne sono anche troppi. Vengono messi in campo tutti
i personaggi più svariati,negli ultimi tempi perfino Dante: e ci vuole un
bel coraggio a far parlare e agire Dante».
… e ora dopo i primi sette libri quale sarà il futuro di Maria Santini
giallista?
«Vediamo prima come vanno i sette libri, che per ora sono, in fondo, sette
inediti di una perfetta sconosciuta... Poi… da tempo ho diverse idee in
testa, cioè materiale per almeno altri due libri, ma sono ancora frammenti
che non riesco ad amalgamare. Si vedrà».