"...Teco
trascorrere tutti i suoi dì
vuole Gulì".
No, non fu Pascoli a scrivere questi versi, ma la sorella Mariù. Chi era Gulì?
In apparenza; il cagnolino di casa, un ibrido neanche tanto ben riuscito fra un
bracco italiano e una femmina di levriero; in realtà, un simbolo, la punta di un
triangolo familiare, un figlio a quattro zampe, capace perfino di leggere e
scrivere, sia pure con qualche erroruccio di grammatica.
Incredibile, vero?
Eppure, nel libro delle sue memorie Mariù riporta testualmente:
"..Il 26 giugno (1901) Guli "scriveva" al Caselli: "Spero presto rivederdi ha
manciare una piccola bistecca con losso... 'zio e mamma' tabbracciano sono il
tuo Guli Pascoli. Dei piscottini però menè toccati poini, ne manciano 'zio' e
'mamma' e altri sechatori...".
Pare che fosse anche "laureato"; su talune cartoline conservate a Castelvecchio,
si ritrova la firma "dottor Gulì"!
Visse con lo "zio" e la "mamma" per ben 17 anni (dal 1896 al 1912) e, per colmo
di sventura, morì poco più di due mesi e mezzo prima del padrone, già gravemente
malato. Il suo dispiacere fu tale da non voler neppure ammettere il triste
evento, tanto che s'ingegnava a inventare mille bugie perché non si sapesse in
giro. Fu seppellito nell'orto della chiusa "tra odorosi laurii, cullato dal
dolce canto degli sgriccioli e delle capinere". Lo stesso Pascoli ne schizzò la
stele funeraria ancora oggi visibile accanto alla tomba di Merlino, il merlo
dall'ala rotta, vissuto anch'esso 17 anni e seppellito in una nicchia chiusa col
cemento e tanto d'epitaffo. Poco più oltre, riposa la caprina la cui madre fornì
il suo latte alla figlia primogenita dell'Ida.
In casa Pascoli (e non solo a Castelvecchio) gli uccelletti erano - poi - una
presenza costante e privelegiata perche godevano di un'assoluta libertà. Spesso,
venivano raccolti ancora implumi e anche da adulti - a gabbietta aperta - non
volavano via, ma svolazzavano tutt'intorno cinguettando. La notte rientravano
spontaneamente nelle loro gabbiette senza sbarre.
La storia dei piccoli ospiti alati comincia con la tortorina, che Giovannino,
allora collegiale a Urbino, trovo nella sua cameretta. Per passare - poi - al
piccione viaggiatore che - pare - prevenisse addirittura dal Belgio; al
passerino Ciribibì, immortalato in una.delicata poesia: "del canto si consola.
se il sol ride alla stanza..."; e ancora al lucherino, alla carpinera,
all'usignolo. Non per niente Pascoli dedicò tanta attenzione a Paolo Uccello che
con tanto amore collocava sempre queste creature alate nei suoi affreschi, così
come Pascoli le ricordava nelle "Canzoni uccelline". Amava veramente tutti gli
animali, al punto di paragonarsi egll stesso a un ... rospo; sino a sfiorargli
la stravaganza come nel caso di una stufa mal usata perche nel tubo c'era - e
c'e ancora oggi - un nido d'api! Possedette Micia-Micina e - oltre a Gulì -
altri cani, come Brigo, Trigo e Argo una storia infinita. Ma sotto, sotto,
l'amore del poeta per gli animali fa presentire l'antica attrazione per il mito
della loro innocenza contrapposta all'umana perfidia. La storia - peraltro vera
- della cavalla storna, ne fornisce un esempio illuminante.
Gian Luigi Ruggio
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