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ECCEZIONALE SCOPERTA a 150 anni dalla nascita del poeta   
...E GIOVANNI PASCOLI
FU "SCARICATO" DALLA FIDANZATA

Trovata la lettera in cui la sua promessa sposa, la cugina Imelde Morri, gli dava il benservito. E' il primo documento mai ritrovato sugli amori pascoliani. Lo scritto è stato scoperto da Gian Luigi Ruggio, Conservatore di Casa Pascoli a Castelvecchio, che insieme con Maria Santini, italianista, fa parte del team di autori che
hanno firmato per Simonelli Editore due opera fondamentali:il primo, la biografia del poeta e, la seconda, quella di Mariù la sua più amata sorella. Per la prima volta, il testo completo della lettera ritrovata e i commenti dei due studiosi.


   A 150 anni dalla sua nascita, Giovanni Pascoli torna a far parlare di sé per le sua breve storia sentimentale con la cugina Imelde Morri. E' ricomparsa infatti una lettera della ragazza che lui aveva nascosto fra le pagine di una vecchia edizione degli " Ab urbe condita libri" di Tito Livio conservata nella biblioteca della sua casa di Castelvecchio. E' stato Gian Luigi Ruggio, il Conservatore di Casa Pascoli, al quale si deve la prima biografia del poeta (Giovanni Pascoli, storia delle vita tormentata di un grande poeta, Simonelli Editore), a scoprire questo documento. Una scoperta davvero importante perché è la prima "testimonianza in diretta" degli amori pascoliani.
   "Imelde Morri" spiega Ruggio, "era la cugina di Giovanni Pascoli, figlia maggiore di Luigia Vincenzi, sorella della madre del poeta, sposata ad Alessandro Morri. Giovanni tentò due volte un approccio con lei. La prima volta, nel 1895, con una lettera fattale scrivere, un po' sadicamente, da sua sorella Mariù, senza ottenere alcun esito. La seconda, la scrisse personalmente, l'anno dopo, e ricevette da lei pieno consenso. Senonché" prosegue Ruggio, "nel maggio di quello stesso 1896 Pascoli, che aveva fatto chiedere le pubblicazioni e aveva già fatto dono alla ragazza della fede matrimoniale rompe improvvisamente l'idillio sostenendo di essere stato offeso da lei per via di una allusione a un suo piccolo difetto al piede. Di qui la risposta inviperita di Imelde contenuta in questa lettera seppellita per 109 anni tra le pagine ingiallite e mai lette di un antico testo in latino".
   Giovannino, - scrive infatti la cugina Imelde da Rimini il 20 giugno 1896 nella missiva che grazie a Gian Luigi Ruggio possiamo ora leggere per la prima volta - vorrei che ti persuadessi che gli spregi non li hai avuti te ma li ho ricevuti io. Quante lettere hai ricevuto da me con degli insulti e dei rimproveri? Se ultimamente ti feci scrivere quella lettera dietro la tua, chiunque lo avrebbe fatto. Se ti sei fatto delle immaginazioni e se hai avuto persone che ti hanno imbrogliato la testa io non ne ho colpa. Potevi far di meno a prendertela tanto con me senza nessuna ragione; in fin dei conti io sono sempre stata quella e non ho mai creduto di offenderti neanche nella mia ultima lettera. Se ti dissi che del piede non ho mai avuto il più piccolo dubbio e nemmeno mai pensato, doveva bastare questo per farti capire che non era un motivo di averti potuto rifiutare. La mia parola te la diedi con l’intenzione buona e ti giuro innanzi a Dio che se la prima volta non condiscesi non fù( sic) né per il piede e né perché mi eri antipatico. Ti prendevo col solo fine di amarti e di farti felice e avrei mantenuto la promessa.
Non sono poi tanto cattiva come mi credi. Tutte le persone che mi hanno conosciuto e che mi hanno trattato più di te mi hanno sempre amato e stimata, non mi hanno mai ritenuto capace di mentire e di fare del male a nessuno.
   Te mi giudichi a torto ma siccome hai voluto dar retta più agli altri che a me così ti sei procurato il male da te solo. Del resto sei padronissimo di dare retta a chi voi ( sic), ma però dovevi pensarci prima , se avevi persone che avessero tanto potere su di te di farti credere ciò che non è vero. Se fin da principio non hai avuto stima di me non dovevi farti avanti; dovevi lasciare stare le persone che non ti sono venute a cercare; in ultimo non hanno bisogno di te, come mi fai sapere che fosse solamente questo il fine ch’io ti sposavo.
   Tua cugina
   Imelde

   "Questa è la pietra tombale posta da Imelde Morri, la bella e ricca cugina riminese di Giovannino sul fidanzamento che l'aveva unita a lui per poche settimane, dalla primavera all'inizio estate del 1896" commenta Maria Santini che con questo documento vede pienamente confermato quanto da lei raccontato in Candida Soror, la biografia di Mariù Pascoli, ricca di tante pagine inedite, appena pubblicata da Simonelli Editore. "Non conosciamo le ragioni profonde per le quali la ragazza aveva accettato la corte del poeta mentre ci sono ben note quelle di Pascoli era ancora sconvolto per il matrimonio della sorella Ida e un po' in polemica con Mariù, alla quale gli sembrava di stare sacrificando la propria vita e la propria libertà. Di qui il colpo di testa, che altro non era, di quel fidanzamento. Ma Giovanni" prosegue Maria Santini "non doveva essere per niente convinto del passo intrapreso così prese ad ancora di salvezza la questione del commento sul suo dito guasto. Il poeta era infatti afflitto da una fastiodiosa e a volte dolorosa malformazione al mignolo di un piede. E sua sorella Mariù gli aveva riferito che una delle cugine Morri - Imelde aveva una sorella, Annetta - aveva manifestato disgusto per quel difetto di Giovannino. Il poeta attribuì invece la dichiarazione alla promessa sposa e si affrettò, come scrisse lui stesso a Mariù a troncare tutto per tirarsi fuori da una situzione che lo atterriva. Ma Imelde quando conobbe il motivo per cui veniva lasciata si infuriò, negando di essere stata lei a denigrare il famoso mignolo e in questa ultima lettera esprime infatti tutta la sua fredda rabbia".
   L'importanza di questa lettera, sottolineano sia Maria Santini che Gian Luigi Ruggio, va al di là del suo contenuto e della modesta prosa della sua autrice. Importante è che questa è "l'unica volta in cui sentiamo la voce di Imelde Morri" osserva l'autrice di Candida Soror (Simonelli Editore). "Tutte le altre sue lettere sono andate distrutte o da lei stessa, se le furono restituite, o dai due Pascoli, da Giovannino e Mariù. E' la stessa, feroce epurazione" prosegue Maria Santini, "che conobbero le lettere, abbastanza infuocate, pare, scritte ben più di vent'anni prima da un'altra ragazza che amò Pascoli, sicuramente non ricambiata Giulietta Poggi.
   Ma perché Pascoli nascose agli occhi della sorella Mariù la dura invettiva di Imelde? Aveva un suo motivo per conservarla? La occultò per magari riprenderla in seguito? Oppure quel libro della biblioteca pascoliana, intonso, vale a dire con le pagine non tagliate, fu il nascondiglio di un momento e poi se lo dimenticò?
   "A più di 100 anni da quando fu scritta e a 150 anni dalla nascita del poeta" osserva Gian Luigi Ruggio, "quella lettera riapre molti interrogativi nell'ambito familiare di Pascoli che resta così sempre più attuale".

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