La Scheda del Libro

Chi è l'Autore

Scarica gratis la copertina e le prime 15 pagine del Libro in Pdf
Per leggere il file ricorda che devi prima salvarlo sul tuo computer

 

 

 

 

Home Page

Adotta un libro

SeBook

Bookstore dei Libri e degli Ex Libris

Dialettando.com

Manoscritti

 

 

TheWebParkS.Corner

 

 
Edizione a tiratura Limitata Clicca qui per ordinare Contrassegno o acquista con PayPal cliccando qui sotto su Aggiungi al Carrello

 


Pag. 1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6

 

Franco Manni:

GUIDA AI LIBRI ANIMATORI DELLA MIA LETTERA
Ciascuna opera ha due date: la prima è quella della composizione o della prima edizione; la seconda è quella di un'edizione recente accessibile al lettore.

1908

BENEDETTO CROCE, Filosofia della pratica (Laterza, Bari, 1955)

Croce, secondo me, è l’ultimo grande filosofo in senso stretto. Per me Sigmund Freud è un pensatore certamente molto più grande di lui, ma Croce ha un vantaggio su Freud: quello di collegarsi esplicitamente e non solo di fatto, in tutte le sue opere, alla millenaria precedente storia del pensiero, cosa che Freud fa solo molto sporadicamente e a volte con incompetenza; e di presentare ancora un’intera «enciclopedia delle scienze filosofiche» come risultato della discussione degli altri grandi filosofi. Questo libro è un sistematico trattato di etica «idealistica» e cioè antidualistica nel senso spiegatoti nella mia lettera. Esso e l’Introduzione alla psicanalisi di Freud sono, secondo me, due libri essenziali che un nuovo filosofo morale - conoscitore dell’Etica di Aristotele e della Seconda pars di Tommaso - dovrebbe considerare come immediati antecedenti nel suo tentativo di elaborare una nuova teoria etica. Tra le idee caratteristiche eccone alcune. Netta distinzione tra teoria e pratica (conoscenza e volontà): non esiste una teoria meravigliosa e sviluppata che possa sostituire la pratica, né esiste una pratica meravigliosa e sviluppata che possa sostituire la teoria; la pretesa di eliminare una delle forme dello spirito a pro dell’altra filosoficamente è un errore - neologismo, marxismo, pragmatismo, neopositivismo - ed esistenzialmente è una malattia della personalità. Una conseguenza è che, se la teoria è condizione della pratica - non esiste cioè una pratica separata e autarchica, «cieca» - mai però la determina, altrimenti la pratica sarebbe solo un futile duplicato della teoria, quando invece essa è un’originale novità. D’altra parte la condizione conoscitiva c’è sempre, non esiste mai una «vacanza» dell’intelletto: «pulsioni», «istinti», «passioni», non sono forme di «volontà» (appetito, tendenza pratica) indipendenti dalla conoscenza; anche questi moti sono preceduti da percezioni, concetti, giudizi e sillogismi, anche se a livello molto frammentato e apparentemente disordinato e dunque poco conscio o inconscio (le «petites perceptions» di Leibniz). La libertà non è l’occamista «arbitrium indifferentiae» e sottostà, invece, al destino, alla necessità. Ma: il destino e la necessità, a parte il sapere nudamente che esistono, nessuno sa quali in concreto siano, cosa dicono. Inoltre nella necessaria serie causale entrano come cause principali delle azioni e degli stati emotivi del soggetto proprio le sue volizioni. E infine: essendo ogni serie causale infinitamente complessa, sconosciuta e - soprattutto - unica ed irripetibile, «libertà» vuol dire identità con sé stessi, con la propria storia, perché nessuna forza al mondo può - per dir così - «ripetere» o «manipolare» la serie causale che porta alla mia persona: può, al massimo, contribuire a un’altra e nuova serie, al quale è però - appunto - un’altra. Le «passioni» non sono etimologicamente una «passività» del soggetto rispetto agli stimoli dell’ambiente o del proprio corpo ma sono volizioni - cioè azioni - in potenza, che non si realizzano cioè non contribuiscono a costruire la realtà e dunque lo sviluppo della persona, quali che siano le illusioni degli accadimenti solamente esterni, fino a quando rimangono in una disordinata molteplicità. L’azione rimane azione in potenza, e dunque «passione», fino a quando è isolata, non integrata secondo il giusto suo ruolo, secondo il suo giusto contributo costruttivo, con tutte le altre potenzialità della persona.

1914 - 1915

JAMES JOYCE, Ritratto dell’artista da giovane (Newton Compton, Roma, 1989).

È la storia di un bambino, di un ragazzo, di un giovane uomo - Stephen Dedalus - che, in maniera confusa e contraddittoria, faticosa e a volte dolorosa, sente esplicitamente - come una missione! - la presenza del Valore nella infinitamente multiforme e caramente amata realtà quotidiana della sua cittadina, della sua gente. Il fatto di sentire esplicitamente l’attrazione del Valore gli fa accompagnare le sue varie «conversioni» - sia dentro che fuori le ideologie correnti, comunque ultimamente di carattere personale - con atti della volontà e tentativi di teorie. Ma lo spirito soffia dove vuole e le «conversioni» di Dedalus - sensuale, religiosa, filosofica, artistica - sono, prima di tutto in lui stesso, imprevedibili.

1915

SIGMUND FREUD, Lutto e melanconia (Boringhieri, Torino, 1976).

Bisogna distinguere due dolori (angosce, tristezze, ecc.) assai diversi tra loro: un dolore sano dovuto alla perdita di un oggetto amato realmente buono e realmente sentito come buono; e un dolore malato dovuto alla perdita di un oggetto amato creduto buono ma in realtà cattivo.

1915 - 1922

SIGMUND FREUD, Introduzione alla psicanalisi (vecchie e nuove lezioni) (Boringhieri, Torino, 1988).

Tanta capacità di sintesi del pensiero altrui e tanta originalità di creazione del pensiero proprio non c’era, a mio giudizio, dal tempo di Aristotele. È questo un compendio preciso e chiaro di quasi tutte le dottrine freudiane, scritto dal loro stesso autore. Thomas Mann scrisse: «Siamo certi che, se mai alcuna impresa della nostra specie umana rimarrà indimenticata, questa sarà proprio l’impresa di Sigmund Freud che ha penetrato le profondità dell’anima umana.» Forse Mann esagera (e il Vangelo? e Aristotele?) nei paragoni storici; ma io sono propenso a concordare con la sua affermazione «noi tutti non potremmo neppure immaginare il nostro mondo spirituale senza la coraggiosa opera che Freud ha svolto nell’arco della sua esistenza». Per me uno degli attuali compiti della filosofia è cercare di integrare i contenuti dell’opera di Freud - personalmente ancora troppo vincolato alla rozza metafisica del Positivismo ottocentesco - con l’impianto metafisico e con alcuni risultati particolari della tradizionale storia della filosofia.

1917

BENEDETTO CROCE, Teoria e storia della storiografia (Adelphi, Milano, 1989).

È il libro fondamentale per sapere cosa è la storia (nel senso di storiografia) e per distinguerla sia dalla cronaca filologica sia dalla retorica politica. S’introduce la confutazione della «filosofia della storia» di tipo dualistico-teologico, e dunque si raggiunge la visione, più moderna, dell’immanentismo gnoseologico. Si insegna come le scelte della materia storiografica e della periodizzazione siano convenzionali, ma non siano arbitrarie. Soprattutto, si mostra la genesi spirituale (il documento è interno e non esterno) del processo storiografico, avvicinandosi all’idea di Freud della contemporaneità dell’inconscio: «qualsiasi storia passata è storia contemporanea».

1922

BENEDETTO CROCE, Frammenti di etica (in Etica e politica, Laterza, Bari, 1981, prossimamente in ristampa per le edizioni Adelphi di Milano).

Questi Frammenti sono, secondo me, un notevole esercizio letterario in cui, con profondità filosofica, si affrontano in 2, 3, 4 pagine al massimo i più classici problemi della morale, in tutto una cinquantina. Acutezza d’intuito psicologico, rigore di coerenza logica, splendore dello stile ne fanno un libretto da consigliare a chi non predilige particolarmente la maniera di scrivere tipica dei filosofi e il genere letterario del «trattato».

1922

JOHN DEWEY, Natura e condotta dell’uomo

Americano, Dewey, era il filosofo contemporaneo che Croce più apprezzava. Gli intenti principali di questo libro sono: integrare etica e nuove psicologie dinamiche; confutare i due principali esiti dell’errore dualistico, e cioè l’utilitarismo induttivista e lo spiritualismo deduttivista; mostrare la convergenza e anzi coincidenza tra vero empirismo e vero idealismo. Come nel XVII secolo pochissimi pensarono che il fatto più importante e duraturo nelle conseguenze era la scoperta della nuova scienza naturale di Galilei e Newton, e non le guerre di religione, così nel XX secolo non è facile vedere come le guerre nazionalistiche e la lotta di classe economica sono gli ultimi eventi del passato, mentre il futuro è stato aperto dalle “nuove scienze” dell’uomo: psicanalisi, antropologia culturale, sociologia. La psicanalisi ha intuito che esiste un inconscio e che esso dipende dalle relazioni interpersonali; ma nella psicanalisi rimangono residui positivistici, come l’idea che esista una forza psichica separata - le cosiddette pulsioni istintuali - quando invece, per Dewey, le pulsioni non sono innate, né sono in numero fisso, ma sono infinite e plastiche, in quanto non sono altro che le risposte individuali all’ambiente che sempre cambia. Come Croce, Dewey combatte l’idea di una perfezione realizzabile in situazioni storiche e particolari, di un momento della storia che sia definitivo ed appagante: l’errore centrale della morale è «la supposizione che una cosa che venga trovata vera sotto certe condizioni, debba subito venire affermata tale universalmente o senza limiti e condizioni.» Il fine morale non è la cessazione dell’attività: «se è meglio viaggiare che arrivare, cioè avviene perché il viaggiare è un continuo arrivare, mentre l’arrivo che preclude viaggi ulteriori si ottiene nel modo più semplice andando a dormire o morendo.»

CONTINUA >>>>

Acquista il libro in Contrassegno >


Acquista il libro con PayPal cliccando qui sopra

© Copyright Simonelli Editore - All the rights are worldwide reserved