Caro Istrice...  ed@simonel.com

È tempo di esempi, di memoria e di nervi saldi
(senza dimenticare un bel sorriso sulle labbra).
...Se naturalmente si è in pace con la propria coscienza

   Le lettere sono tante, crescono in proporzione con i lettori de L'Istrice (in questo istante sono giunti esattamente a ) ma per una volta non risponderò a nessuna in particolare, questa settimana desidero dirvi un paio di cose che mi stanno a cuore.
   È uno strano momento quello che stiamo attraversando, amici miei.
   I più sensibili tra noi, o almeno quelli più vigili, percepiscono che c'è nell'«aria» un diffuso senso di disagio, d'incertezza, quasi un calo di speranza per il futuro. Pare riaffiorare, e riaffiora, un nervosismo diffuso che spesso sfocia in una violenza verbale degna delle più velenose stagioni della guerra fredda e giunge, addirittura, a far riaffiorare un terrorismo di cui ancora nessuno è stato mai davvero in grado di spiegarci quale fosse stata la sua reale matrice dieci anni fa. Oggi sarà diverso? Ne sapremo davvero di più?
   Cose brutte, amici miei, come questa guerra nei Balcani che ha resuscitato quelli che speravamo fossero ormai fantasmi del passato. E invece, no. Guerra inevitabile, di fronte ai nuovi orrori di una persecuzione razziale, stupri, omicidi, lager, esecuzioni di massa. Guerra dolorosa, ma necessaria e sacrosanta per imporre a chi non vuole sentire la voce della ragione e non vuole capire che non è il "modello Milosevic" né "l'indifferenza" né il "razzismo" quello che l'UOMO vuole portare nel Terzo Millennio.
   Sì, amici miei, mentre tutti eravamo ormai cullati dalla nostra cosumistica quotidianità, ci siamo trovati improvvisamente di fronte alla necessità di assumerci qualche responsabilità MORALE rispetto a quella, ancorché importante, di conquistarci un lavoro e di guadagnare qualche soldo. Ci siamo, insomma, ritrovati un po' nella stessa situazione dei nostri nonni a fare scelte fondamentali (Ricordate? Fascismo, antifascismo...eccetera, eccetera, eccetera...)
   È stata curiosa la prima reazione di tanti allo scoppio della guerra contro Milosevic. Parevano tutti come mister Giardiniere (interpretato magistralmente da Peter Sellers in quel grande film «Oltre il giardino» che mi auguro abbiate visto tutti: l'hanno dato anche in Tv). Sì, come lui, di fronte alla realtà di una guerra, in molti hanno puntato verso quella realtà il telecomando nell'illusione di porter cambiare programma. Ma questa guerra non è fiction, è realtà, amici miei. E, allora, questi troppi presi dal panico (è incredibile quanti siano stati schiacciati da un irrazionale panico, all'inizio) si sono arrampicati su tutti gli specchi di un pacifismo d'accatto pur di trovar una via di fuga. Pace, pace quel che costi, anche la dignità di scendere a patti con la pulizia etnica di un Milosevic che, come ogni dittatore che si rispetti, pensava e pensa, innanzitutto, di mettere al sicuro un cospicuo bottino di soldi in milioni di dollari (sembra in Sudafrica: vergogna per quel Paese. Ma... "pecunia on olet", si dice).
   La guerra continua (ahimé), Milosevic è stato incriminato per quello che è (spiacente per Ennio Remondino della RaiTv se considera inopportuna la sacrosanta incriminazione per lo svolgimento del teatrino delle trattative di pace) e il 25 aprile, dopo che nella strada in cui abito è sfilata una manifestazione che approfittava dell'anniversario della Liberazione per inneggiare a una fine unilaterale dei bombardamenti della Nato sulla Serbia, su tutti i palazzi si sono poi scoperte scritte spray di pseudopacifismo, con gli "USA boia" e stella a cinque punte in bella vista (vedere per credere). Lo spietato attentato omicida delle nuove BR a Roma purtoppo si è già visto.
   Di fronte alla confusione che paiono avere molti, di fronte al panico che ha preso in tanti, di fronte alla sfiducia per il presente e per il futuro che attanaglia troppi, vorrei proporre un break della ragione. Non è un caso o una banlaità quando si ripete che per andare veramente avanti, per costruire un vero futuro bisogna non dimenticare il passato. Milosevic, infatti, non ha futuro ma i giorni contati perché ha dimenticato il passato e ora cerca di riproporcelo nel presente... Ma noi, che ricordiamo, siamo già oltre, più avanti. E mentre la Nato cerca di estirpare questo foruncolo in un corpo sostanzialmente sano, chissà perché mi viene da raccontarvi la storia di un uomo.
   Non è un personaggio popolare, di lui non vi dirò il nome. È un uomo che ho ammirato profondamente e che, ora che non c'è più, è una memoria del passato che mi aiuta ad andare avanti cercando sempre di essere domani più consapevole e migliore di ieri.
   Questo uomo era figlio di padre ebreo e di madre cattolica. Ma non era né cattolico né ebreo. I casi della vita avevano voluto che lui non si fosse sottoposto ai riti né dell'una né dell'altra religione. Quando però - era un adolescente - le leggi razziali entrarono in vigore in Italia un giorno si trovò a scuola di fronte alla necessità di fare una scelta. Arrivò in classe il preside e disse perentorio:
   «Chi di voi è ebreo faccia un passo in avanti»
   In quella classe ce n'erano alcuni di ebrei al cento per cento ma, in quel momento, l'unico che fece un passo in avanti fu soltanto lui. Fu il suo modo per replicare a un'assurdità e non fece una piega quando ne patì le conseguenze con l'espulsione da tutte le "Scuole del Regno" perché ebreo.
   Non se ne stette però con le mani in mano. Avendo la fortuna di aver dei parenti in Francia, si rifugiò a Parigi. Lì continuò a studiare e appena i nazisti occuparono la capitale francese non esitò a entrare nella Resistenza. E nella Resistenza più Resistenza di tutte le altre (a sentire alcuni) ovvero con i comunisti. Fu così, in quelle brigate partigiane, che fece la sua parte, che poi rientrò in Italia attraverso la Svizzera e visse l'ebbrezza della Liberazione.
   Il dopoguerra, gli apparve fin da subito un po' strano. Pur essendo stato costretto come ebreo a tagliare la corda per evitare possibili deportazioni, si ritrovò considerato renitente alla leva e quindi condannato a fare l'operaio badilante alla stazione di Milano. Poi, passata la Liberazione, non si trovò perfettamente a proprio agio. Provò una certa nausea nel gioco degli opportunismi, dei carrierismi, dei giudizi sommari come dei sommari perdoni che vedeva fra i compagni. E, allora, restituì la tessera e fece un passo indietro, rinunciando a una posizione non di secondo piano nel giornalismo targato Pci.
   È stato un gran bel personaggio questo di cui vi parlo. Ha restituito una tessera ma non ha tradito mai le proprie idee di autentica libertà e democrazia. E non è una passeggiata vivere così.
   Ripenso a lui frequentemente. Il suo esempio di vita coerente mi aiuta, mi dà forza. In momenti confusi come questi, tutti dovrebbero cercare nella memoria del passato, della propria famiglia e dintorni, testimonianze di vita esemplari. Sono sicuro che ce ne siano tante di persone così. Non eroi, non miti, ma uomini con il coraggio della propria coerenza. Fate la prova, amici miei. Il mondo non è popolato soltanto di vigliacchi e di opportunisti come qualcuno vorrebbe farci credere.

 

Luciano Simonelli

[La lettera precedente]


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