Day by Day
  di Luciano Simonelli
 Pensieri ad alta voce.
 Rubrica ad aggiornamento continuo.
 Le riflessioni sono in ordine temporale decrescente: la prima è sempre la più recente.
 Cliccando su (Continua) in fondo a ogni pagina potete leggere quanto scritto in precedenza.


 

 

27 dicembre 2001

SARÀ UN SEGNO DI MATURITÀ? Comunque sia, credo che l’ultima cosa che si debba fare sia sottrarsi ai ricordi perché soltanto avendoli, non cancellandoli mai, si può andare avanti, si può continuare a crescere. E non cado nella trappola del classico "ai miei tempi…" che tutti noi ci siamo sorbiti da nonni e padri quando eravamo più giovani, però… Natale a parte [si veda più sotto], quello che un po’ mi angoscia guardandomi intorno è una crescente arroganza dell’ignoranza. Non sapere è un sacrosanto, oserei dire, "diritto" di chiunque ma essere orgogliosi di non sapere anzi, sempre più spesso, quando non si sa, assumere il classico atteggiamento di stupida sfida con un’espressione che pare preludere a un “embé, che vuoi da me?” mi pare intollerabile. E’ da questa arroganza dell’ignoranza che nasce la cultura dell’ignoranza che raggiunge il suo apice nel dare certezza, crisma di verità assoluta, al raccogliticcio, al sentito dire. Nessuno della mia generazione, comunque la pensi, si sarebbe permesso di dire di Oriana Fallaci quanto canta Jovanotti nel suo ultimo rap. Nessuno della mia generazione, comunque la pensi, ignora che Oriana Fallaci per anni ha rischiato di brutto dal Vietnam al Libano, dimentica che si è presa una pallottola a Città del Messico – se rammento bene in occasione di tumulti scoppiati durante le Olimpiadi. Nessuno della mia generazione può dimenticare la sua grinta davanti a Khomeini come a Gheddafi. E invece il nostro Jovanotti che non condivide il suo "La rabbia e l’orgoglio" imbastisce un rap facilmente pacifista in cui dice che alla Fallaci piace la guerra perché le ricorda quando era giovane e bella . E per giorni e giorni questo rap destinato a diventare il simbolo del qualunquismo e dell’ignoranza ce lo siamo dovuto sorbire su tutte le reti televisive. E su questo rap politically correct pioveranno dopo una tale promozione a costo zero grandi cascate di Euro che naturalmente verranno devoluti a Emergency, l’organizzazione umanitaria in questo momento più a la page, più politically correct. Sarebbe carino che un giorno una persona così “bella” come Gino Strada facesse o dicesse qualcosa per impedire che le grandi e coraggiose cose buone che sta facendo nel mondo, indipendentemente dalla razza, dal credo religioso e dal pensiero politico di chi assiste, si liberassero dalla trappola in cui sta cercando di imprigionarle il “partito del politically correct”. Già, sarebbe molto democraticamente corretto.

Mi ha scritto Franco Gàbici, che firma su L’ISTRICE la rubrica "Bollicine" che trovo uno splendido esercizio settimanale di cultura e intelligenza, questa e-mail che condivido pienamente:

Caro Simonelli,
ho lette le sue considerazioni sul Natale che condivido pienamente, come del resto non può non condividerle chi appartiene alla sua stessa latitudine anagrafica. Anch'io ho tanta nostalgia del bel Natale di una volta, quando tutto era più semplice e più a misura d'uomo. Il Natale era veramente una grande attesa di Qualcuno, il Natale era la gioia di mettere sotto al piatto del babbo la letterina che avevi scritta a scuola sotto lo sguardo materno della maestra, il Natale era l'odore di ginepro che spandeva nell'aria l'albero di Natale che il babbo andava a raccogliere in pineta e non questi alberi puzzoni di oggi che sanno di plastica e di idrocarburi aromatici, il Natale era fare il presepio con le statuine di terra cotta...Insomma il Natale era tutt'un'altra cosa perché non c'erano le luminarie per le strade, non c'erano i grandi magazzini pieni di cose da acquistare, non c'era la televisione a renderci tutti quanti idioti...Caro Simonelli, è verissimo che anche allora c'erano paure, io ricordo i fatti di Ungheria, a quei tempi, il 1956, facevo la terza media e capivo quello che potevo capire, ma se c'era questa invasione dell'Ungheria a suon di carri armati c'era anche una colossale manifestazione di solidarietà da parte di tutti e ricordo che qui a Ravenna una intera colonia marina (un complesso enorme) fu aperto per ospitare questi poveri disgraziati e molte famiglie accolsero profughi, c'era sì la cattiveria e la paura ma c'era anche tanta disponibilità che cresceva sul sano terreno della semplicità.
Ecco che cos'era il Natale, caro Simonelli, una festa che ti coinvolgeva e che ti faceva felice se trovavi sotto l'albero qualche moneta di cioccolato, uno zuccherino o un panettone piccolo piccolo (ricorda il Mottino?). Ecco che cos'era il Natale. E poi la messa di mezzanotte, noi tutti vestiti per bene con la cotta pulita e ben stirata (facevo il chierichetto allora) e questa atmosfera di grande festa che ti accoglieva anche quando rientravi in casa, una casa modestissima dove non c'era nemmeno il termosifone, ma c'era il calore della famiglia che ti fasciava come una calda sciarpa.
Mi sono lasciato andare, ma quando mi stuzzicano sugli anni Cinquanta Sessanta mi scappano i cavalli, perché sono convinto che quelli veramente siano stati anni irripetibili e sono contento di avere trascorso la mia adolescenza in questo bagno di ottimismo che è scoppiato nel grande boom, un vero big bang economico dal quale tutti abbiamo tratto benefici. E poi gli anni del liceo con i Platters, Frank Sinatra, Paul Anka e i primi cantautori, veri grilli parlanti che parlavano di tristezze e paturnie proprio nel bel mezzo del benessere (ma, accidenti, avevano ragione loro!) e il clima dei festini pomeridiani...

Franco G.

Caro Babbo Natale,
che brutto anno è stato questo, non è vero?
Forse, mai come quest'anno ho ricordato con nostalgia i tempi lontani in cui molti che mi leggono non erano magari ancora nati ma in cui, con meno "ricchezza" di oggi, tutto aveva una dimensione più a misura di uomo. Penso a quella fine degli anni Cinquanta primi Sessanta, quando la gente comune, la maggioranza della gente, ignorava che cosa fosse il terrorismo, ignorava che cosa fosse la drogra, ignorava che cosa fosse il fondamentalismo religioso.
Sì, anche allora non pochi erano i timori: la guerra fredda, il blocco comunista, la fallita rivoluzione ungherese soffocata nel sangue dai sovietici non erano cose da poco, come anche, appena prima, la guerra in Corea però... Però...alla gente comune, anche a quella più sensibile politicamente, tutto appariva più lontano... No, non si trattava di insensibilità, cinico distacco o altro. Era che il mondo non si era ancora trasformato con la televisione in un villaggio globale, era che non si viveva tutto drammaticamente ed emotivamente in diretta.
A me pare che fossero più Natale quelli di allora certamente più poveri ma carichi di un'atmosfera che t'infondeva serenità, la voglia di essere più buono e tollerante, che si caricava del piacere di donare e dell'attesa dei doni desiderati. E talvolta la felicità erano pacchetti contenenti cose che oggi sarebbero considerate deludenti se non peggio.
Nelle strade, allora, si sentivano le zampogne suonare "Tu scendi dalle stelle...", in casa era una festa fare il presepe. Una festa nella festa era andare alle ricerca nei negozi delle nuove statuine, creare la scenografia intorno alla capanna con la "carta roccia", spruzzare il borotalco per "fare la neve". Poi c'erano le lucine da sistemare e che non funzionavano mai bene. Era per giorni un meraviglioso darsi da fare. Sì, si cominciavano a vedere gli alberi di natale. Ma allora non erano ancora così diffusi come oggi.
Caro Babbo Natale, hai già compreso il regalo che desidererei ricevere da te quest'anno insieme con tutti quelli che come me sognano un mondo migliore. Vorrei, caro Babbo Natale, che restituissi a chi non è più giovane e facessi scoprire per la prima volta a chi lo è la vera atmosfera del Natale. Vorrei almeno alcuni giorni in cui tutti venissero sopraffatti da un senso di serenità, di quiete, di voglia di dare più che di ricevere, di fratellanza, di felicità di stare con i propri cari, di consapevolezza che non è importante APPARIRE ma è essenziale ESSERE. E poi, se si riesce anche a ESSERE più buoni è ancora meglio.
Grazie, Babbo Natale... Grazie, mi pare quasi di risentire già il suono di una zampogna...
CHE IL 2002 REGALI A TUTTI IL MEGLIO DELLA VITA!

Quante cose non ci siamo detti, amici miei, dopo l'11 settembre... Tutto è parso talmente fuori da ogni più terribile immaginazione che le parole sono mancate a molti, me compreso. E ci siamo lasciati trasportare sulla colonna sonora dei discorsi talvolta saggi, talvolta provocatori, talvolta del tutto assurdi dei tanti che si sono succeduti nei talk show televisivi. Non so se per voi è accaduto lo stesso ma io in questi ultimi mesi ho trascorso più ore davanti a trasmissioni tipo Porta a Porta, Sciuscià, Maurizio Costanzo Show,  Rainews 24, CNN e tante altre emittenti straniere di quanto avessi mai fatto prima. Mi sono trovato come eternamente assetato di sapere, conoscere, forse nella segreta speranza di scoprire quel bandolo di razionalità che avrebbe portato gli orrori a cui abbiamo assistito e assistiamo nell'ambito di una logica anche se aberrante. Ma quel bandolo non l'ho trovato né lo trovo e, anzi, giorno dopo giorno, al desiderio di comprensione e fratellanza umana si affianca quello di repulsione. Repulsione non verso una religione e un popolo ma verso chi strumentalizza quella religione e l'essere parte di quel popolo al fine di riportare il mondo indietro di secoli, per resuscitare stili di vita e pratiche barbariche, per far sprofondare tutti in un baratro in cui centinaia e centinaia di anni di battaglie sui diritti civili, sulla parità dell'uomo e della donna, sulla libertà di pensiero, di parola, di stampa per costruire modelli di società in cui tutti possano trovare pari opportunità, vengono cancellati. 
Strano Natale è questo del 2001 in un mondo sconvolto da un terrorismo che cerca di mimetizzarsi -  essendoci riuscito purtroppo per molti anni - dietro una religione. Strano mondo è questo del Terzo Millennio in cui ci illudevamo che fosse possibile tenere la religione, la pratica e il sentimento religioso nell'ambito delle moschee, delle chiese e dei nostri cuori, in cui ci illudevamo che la vita sociale e civile non dovesse né potesse essere condizionata dalle pratiche religiose di ciascuno. Se questa distinzione/separazione se questo equilibrio tra religiosità, pratica religiosa, progresso sociale e civile, già da tempo verificatosi nel mondo cristiano e in quello ebraico non si afferma anche in tutto quello musulmano non vedo davvero nulla di buono all'orizzonte. Anche se il mio tradizionale ottimismo, a cui non vorrei proprio rinunciare neppure nei momenti più foschi, non mi fa smettere mai di sperare. Sì, spero in tutta quella parte del mondo musulmano comunemente definito "moderato" ma che io direi "capace di guardare al futuro", spero molto, anzi moltissimo nelle donne islamiche, nella loro capacità di prendere davvero in mano il proprio futuro e che, oltre ad ottenere quelle pari opportunità di cui hanno diritto, riescano a "educare" i loro barbuti uomini convincendoli che l'Islam è altro da quello che tanti cattivi maestri insegnano. Spero che tutti, davvero tutti, di qualsiasi colore, razza, religione possiamo trovarci uniti per isolare e combattere ogni forma di terrorismo che cerca assurdamente di nascondersi dietro una fede religiosa. E' questo miracolo di fratellanza universale che chiedo, da cattolico, al mio Dio nel rispetto del suo comandamento:"Ama il prossimo tuo come te stesso". 

NON E' STATO UN CASO SE... - ...a un grappolo di settimane dall'entrata in circolazione dell'Euro, da un evento che sarà un fondamentale passo in avanti verso la realizzazione dell'Europa unita ho deciso di pubblicare «Carlo Magno e il suo tempo» di Giovanni Delle Donne, il ritratto biografico e dell'epoca in cui visse il sovrano che per primo immaginò un'Europa costruita sulla coesione di più Paesi e anche una moneta unica per tutti. Ne sono orgoglioso di questo volume e, anche se un po' esausto, sono lieto di chiudere questo 2001 con una serie di novità che mettono sempre più a fuoco le caratteristiche della mia casa editrice - rigorosa ricerca culturale, adesione completa a una missione di divulgazione che non ceda mai alle lusinghe della banalità - giunta con tenacia ad avere trentadue titoli in catalogo. Voglio elencare tutti i nuovi nati oltre il volume appena citato. «Matilde di Canossa:"come fiamma luminosa..."» di Maria Santini, narra con il piglio di una grande narratrice (vale proprio la pena di scoprirla: chi è a Roma il 29 novembre alle 18.30 la potrà incontrare nella Libreria Invito alla Lettura in Corso Vittorio Emanuele II, 283) tutta la storia della vita dell'unica sovrana alla quale l'Italia abbia dato i natali. Davvero - a mio avviso - un grande libro che doveva essere pubblicato. Romanzo, anche se ha radici nella realtà della memoria storica dell'emigrazione italiana dalle terre intorno a Bergamo nel lontano Brasile, è «Per violoncello solo» di Marco Carminati, autore di già consolidata popolarità e che sono davvero lieto sia entrato a far parte della mia "squadra". «Lettere a Giulia per capire la musica» di Gianpiero Taverna giorno dopo giorna comincia a essere scoperto come il libro che mancava a docenti, studenti e a chiunque desideri entrare davvero nel mondo delle sette note. Sì, mentre si conversa sulla possibilità di insegnare la musica a scuola, questo è davvero l'unico libro che offre autorevomente (chi è Gianpiero Taverna lo si legge in qualsiasi enciclopedia sulla musica) la possibilità di farlo. Laura De Luca, con il suo delizioso «Oggetti smarriti» - il volume speciale-Strenna della collana Almanacco del Novecento - ci fa compiere un viaggio attraverso tutte quelle cose che facevano parte della nostra quotidianità e ora sono ormai andate in disuso. Ma non è soltanto questo. Un viaggio nella memoria, ma non è soltanto questo... Ai lettori la scoperta. Infine, in questo bouquet di nuovi autorevoli autori che hanno scelto di condividere la strada di chi crede ancora che il giornalismo, come l'editoria, debbano assolutamente essere espressioni di libertà e di totale indipendenza, ecco Claudio Saporetti con «Il Ghilgamesh» la sua traduzione completa (davvero, raramente, completa)e commentata dell'epopea del più noto personaggio della letteratura sumero-babilonese dall'originale cuneiforme delle dodici Tavole rinvenute nella Biblioteca del re Assurbanipal (VII secolo) a Ninive. Un testo importante firmato dallo studioso che divide con Giovanni Pettinato la "scena" degli studi sui Sumeri. Ai lettori, naturalmente, i giudizi di qualità.

(Continua)

Se hai da fare qualche osservazione o vuoi replicare
vai su The Web Park Speaker's Corner
e inserisci personalmente le tue osservazioni.


Gradisci L'Istrice e tutto quanto puoi leggere gratuitamente
in queste pagine del Mondo Simonelli Editore?
Una maniera significativa per dimostrare il tuo apprezzamento
è ABBONARTI ai nostri libri.
Se poi sei uno scrittore inedito, abbonandoti avrai una bella sorpresa gratis!
Clicca qui per saperne di più.

...E se vuoi "scaricare" il Catalogo Simonelli Editore per consultarlo
tranquillamente "off line" clicca qui


 Day by Day
di Luciano Simonelli