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Perché i critici non leggono i libri?
Fra i tanti problemi che ha chi si ostina a fare l'editore c'è quello di trovarsi di fronte ad una crescente marea di cosiddetti giornalisti culturali, anzi, di cosiddetti critici letterari, titolari di una rubrica di libri su questo o quel periodico oppure con licenza di recensire su questo o quel quotidiano, che hanno perduto una doverosa abitudine: leggere i libri su cui scrivono.
Per carità, ci sono le eccezioni ma si contano sulle dita di poche mani mentre la normalità è questa. Ed è una realtà davvero molto preoccupante vista dalla parte di un editore ed anche da quella di molti autori. Sì, perché prima di un riscontro commerciale di quanto si pubblica o si scrive c'è innanzitutto la necessità di confrontarsi con il giudizio di chi "istituzionalmente" dovrebbe essere preposto a valutare, giudicare. Un ruolo niente affatto marginale. Da esso scaturisce il confronto delle idee, quel piccolo o grande dibattito che è il sale di ogni crescita culturale.
Invece, la stampa culturale italiana sta diventando il regno dei "soffietti" ovvero di quegli articoli mossi dalla logica di "io fo' un piacere a te e tu poi ne fai uno a me".
In tempi in cui giustamente si parla di Casta per quanto riguarda il mondo della politica non bisogna ignorare l'esistenza di molte altre caste come quella dei "falsi" giornalisti culturali oppure quella degli scrittori che hanno raggiunto la popolarità e che, tra un loro libro e un altro, scrivono articoli per valutare quelli dei loro colleghi.
Fateci caso: nell'uno come nell'altro caso tutto è una sorta di gioco in famiglia, tutto è un tessere banali e reciproche trine,intercalate di tanto in tanto dalla "gag" - sì chiamiamola così dandole il ridicolo che si merita - di fare il verso al critico serio esibendosi in qualche sonora stroncatura ma sempre, guarda caso, di un libro pubblicato da una casa editrice indipendente e firmato da un autore che non fa parte della casta dei giornalisti-scrittori-critici. Stroncature che sono per loro l'alibi per dimostrare al mondo quanto loro siano "seri, rigorosi e indipendenti".
No, non è qualunquismo il mio ma la realtà dello scadimento del mondo culturale e giornalistico italiano. E se qualcuno, leggendo queste note, pensasse "ma chi è questo qui per permettersi di fare affermazioni del genere" mi è gradito informarlo, visto che la memoria è corta e pensando anche ai lettori più giovani, che scrivo con la cognizione di causa di chi ha fatto il critico letterario militante per oltre quindici anni della sua vita professionale in giornali ad alta tiratura, che ha sempre scritto sui libri che aveva attentamente letto, che non ha mai fatto "soffietti" ed ha redatto le sue note critiche sempre in completa libertà senza lasciarsi opportunisticamente condizionare dall'importanza degli autori o delle sigle editoriali, che ha dimostrato ulteriormente la propria serietà e indipendenza pubblicando nel 1977 Un Romanzo nel Cestino - Vizi, vezzi e virtù degli scrittori italiani da leggere o da buttare. Un libro che, ricordava nel 2002, a quasi un trentennio dalla sua pubblicazione, lo scrittore Giuseppe Pederiali nella sua rubrica su Italia Oggi, «fece epoca in quanto Simonelli, estraneo alle consorterie letterarie e ai clan editoriali e privo di romanzi da collocare, raccontò davvero i difetti e le virtù degli scrittori italiani, oltre a elogiarne o stroncarne le opere. Naturalmente si fece molti nemici, ma il suo libro resta ancora gustosissimo e, soprattutto, unico in una società di letterati che hanno paura anche della propria ombra, oppure usano la stroncatura come arma terroristica per il personale tornaconto».
Sì, le mie carte in regola ce l'ho per poter dire molte cose sia nel mondo letterario che giornalistico [se non mi conoscete leggetevi tutta la mia articolata biografia e bibliografia >>>] sempre più popolato da pavidi e opportunisti che si riempiono la bocca di "libertà di espressione", di "completezza dell'informazione" ma che ti cancellano, anzi ti bollano come il più pericoloso dei colleghi semplicemente perché tu pratichi la vera libertà di espressione e la completezza dell'informazione.
Vorrei davvero vedere, oggi, un giovane giornalista che a poco più di trenta anni (come avevo io quando scrissi Un romanzo nel cestino) ha il coraggio nel mondo dei libri e della cultura in genere di manifestare pienamente la sua sacrosanta libertà di giudizio. Sarebbe bello poterne vedere molti. Già sarebbe davvero bello... Ma tutto invece è la "marmellata" dei piccoli e grandi compromessi, del io fo' un piacere a te perché tu poi ne farai uno a me... Io però non mi rassegno di fronte a questo squallore. C'è qualcun altro che la pensa come me?
Conversiamone su The Web Park Speaker's Corner (13 ottobre 2007)
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