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Qualche tempo fa sono stato invitato ad un dibattito tv in una piccola emittente lombarda. Un dibattito sull'editoria.
Uno strano dibattito, perché, dopo un po', mi sono reso conto di essere di fatto l'unica persona che "rischiava" sul suo, l'unica persona che faceva davvero l'imprenditore editoriale.
Che cosa voglio dire?
Semplicemente che mentre la mia realtà editoriale, la Simonelli Editore srl, ha come suo unico interlocutore il mercato, nel senso che le sue risorse economiche vengono esclusivamente dalle vendite, se ci sono, quella di tutti gli altri miei interlocutore era decisamente "drogata". Decisamente ma legalmente "drogata".
Mi spiego meglio: tutte le altre persone che dibattevano con me sull'editoria erano i direttori responsabili di giornali che, per il solo fatto di esistere, godevano, anzi godono, di finanziamenti statali che ogni anno vanno dal mezzo milione a qualche milione di euro.
Mi spiegate che senso ha conversare o dibattere sull'editoria fra chi, comunque vadano le cose, ogni anno ha certamente in cassa un fatturato di aiuti statali all'editoria che vanno dal mezzo milione a qualche milione di euro e chi come la Simonelli Editore o qualsiasi altra casa editrice indipendente che come fatturato può contare (e questo ritengo che sia giusto) soltanto su quello che gli viene dal mercato ovvero dai libri che riesce a vendere?
Non ci può essere dialogo, non c'è davvero "partita" fra chi vive e sopravvive con tronfia arroganza perché "paga pantalone" ovvero la Repubblica italiana sulla base di quello che ritengo davvero un malinteso senso dell'indipendenza dell'editoria e dell'informazione, e chi, invece, è immerso nella logica della libera concorrenza.
E trovo davvero scandaloso che continui questo andazzo. Non si tratta di un Paese davvero democratico quello che spende e spande dei soldi per garantire la sopravvivenza di realtà editoriali che mettono sul mercato "prodotti" con mezzi sproporzionati al minimo interesse che suscitano.
Questi finanziamenti statali sono un puro spreco e un modo per "drogare" un mercato in cui l'unica vera e sana legge dovrebbe essere quello della libera concorrenza. A meno che non immaginiamo un Paese di democrazia assolutamente imperfetta in cui l'intervento statale condiziona e dirige quella che invece dovrebbe essere la libera imprenditoria
Certo, di fronte a questa realtà di decine e decine di giornali, dai quotidiani ai periodici, che sopravvivono esclusivamente attraverso milioni di euro l'anno di contributi statali, ha del miracoloso che in Italia riescano a sopravvivere da anni miglia di case editrici indipendenti con zero aiuti da chicchessia.
E questo lo sottolineo non per invocare contributi per la "categoria" ma per ribadire quanto IMMORALE sia l'altra realtà e per invocare l'ABOLIZIONE DI OGNI CONTRIBUTO STATALE PER l'EDITORIA e, nell'attesa che questo accada, la creazione di un BOLLO che appaia chiaramente nella prima pagina o nella copertina di tutte le pubblicazioni quotidiane o periodiche che ricevono il contributo che indichi chiaramente che quel tal giornale riceve un contributo statale e ne specifichi l'entità annuale.
Così, per quella completezza dell'informazione che dovrebbe essere tanto cara a tutto il mondo giornalistico.
No, non è una provocazione ma è una delle tante cose che si dovrebbero cominciare a fare in questo Paese se si vuole che esca da una deriva sudamericana (con il rispetto dei Paesi del Sudamerica) e si metta sulla strada di una Paese Occidentale davvero democratico che crede nella libera iniziativa, nel diritto alla proprietà proprietà, nella libera concorrenza.
Francamente, non se può più di vivere in una realtà in cui ovunque ti giri ti scontri di fronte a quello che io giudico un discutibile privilegio.
Rimando alla lettura di «La Casta» di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella per avere la chiara e documentata misura di come in questo Paese, alla faccia di qualsiasi finanziaria, ci sia una finanziaria permanente che noi tutti italiani paghiamo da anni per consentire il mantenimento di un apparato istituzionale e politico che costa ingiustificatamente troppo di più rispetto a realtà simili in tutti gli altri Paesi europei.
L'Italia è una davvero molto strana comunità. Una comunità in cui mentre da anni si dibatte su pensioni, riforme, scaloni eccetera poi ecco che la "casta" dei parlamentare matura velocemente cospicue pensioni. Siamo un Paese i cui i pendolari sanno benissimo che il rapporto qualità dei servizi ferroviari e prezzi dei biglietti quanto sia disastroso, nel senso che il costo dei biglietti cresce e quello dei servizi non migliora ma i pendolari pagano, continuano a pagare il richiesto e poi, invece, Ferrovie Italiane cedono alle minacce di gruppi di persone che, la scorsa settimana, andavano a Roma a manifestare contro Bush accettando un'autoriduzione del prezzo del biglietto.
Perché?
Ognuno è libero di manifestare ma perché deve pagare il biglietto con la riduzione al di là del tradizionale sconto comitive?
Perché?
I quotidiani, intanto, sono pieni di articoli che annunciano la nascita della televisione di Michela Brambilla, la televisione dei Circoli della Libertà visibile su un canale di Sky.
Facile far nascere una tv quando l'ultimo dei problemi è quello che per tutti gli altri imprenditori il primo, quello dei dané come dicono a Milano. Davvero facile. Ma almeno questi non sono denari pubblici ovvero di tutti noi ma quelli dell'imprenditoria privata.