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di Luciano Simonelli
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«Ho sempre amato la vita. Chi ama la vita non riesce mai ad adeguarsi, subire, farsi comandare. Chi ama la vita è sempre con il fucile alla finestra per difendere la vita. Un essere umano che si adegua, che subisce, che si fa comandare, non è un essere umano»
Oriana Fallaci
 (da un'intervista del 1979, di Luciano Simonelli, approvata dalla scrittrice).


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   M come MERITOCRAZIA

  C'era una volta, nel mondo del giornalismo e dell'editoria, una realtà certamente attenta al talento. C'era una volta, parlo fino agli anni Ottanta del secolo scorso, il Novecento, una realtà professionale in cui andava avanti innanzitutto e soprattutto chi aveva talento, lo meritava. Era la stagione in cui alla direzione e nei ruoli chiave di importanti giornali venivano chiamati autentici professionisti. Era la stagione delle direzioni di Guglielmo Zucconi, Antonio Terzi, Vittorio Buttafava, Benedetto Mosca, delle vicedirezioni di Dino Buzzati, Giulio Nascimbeni, Ugo Pettenghi, Franco Nasi tanto soltanto per citarne alcuni. Per non parlare, poi, di redattori capo e capi servizio che erano tutti professionalmente con gli attributi a posto e con una caratteristica comune. Siccome chi dirigeva, vicedirigeva, caporedattorava, caposerviziava erano professionisti veri, giunti a quei ruoli sulla base del sudore della loro fronte, sulla base della loro professionalità (non perché avessero "santi" in paradiso, fossero essi politici, "amici", colleghi di cordate gay o lesbo e meno che mai massonico-mafiose) facevano fino in fondo la loro professione.
   Cioè?
  Cioè esigevano che il lavoro fosse ben fatto e  se vedevano giovani colleghi di talento, con delle potenzialità, facevano di tutto affinché questi ultimi "crescessero". Già, per tutti i personaggi nominalmente citati e per tutti quelli della identica generazione far crescere professionalmente chi meritava, chi dimostrava di avere talento faceva parte del DNA. Quanti di noi, io stesso, che hanno mosso i primi passi nel giornalismo e nell'editoria in quegli anni siamo riusciti ad andare avanti, ad emergere grazie alla sacrosanta logica di privilegiare il talento, grazie alla MERITOCRAZIA.
   Poi è cominciata la stagione bastarda e vigliacca. La stagione in cui chi guidava una certa realtà editoriale e giornalistica non importava più che sapesse veramente fare il mestiere al quale era chiamato. Importava invece, innanzitutto, che obbedisse a quanto volevano ALTRI.
   Ecco, è cominciata così la fine del vero giornalismo e della vera editoria. E guai se qualcuno, da quando era di fatto in vigore questa "legge", si fosse intrufolato per fare davvero il giornalista e l'operatore editoriale. Via, cassato, emarginato, una presenza stonata, una stecca venuta fuori da un altro coro: quella della professionalità.
   Nella nuova realtà in cui chi è al vertice lo è non per MERITOCRAZIA, ovvero per reale preparazione professionale, ecco che è crollata miseramente la filiera della meritocrazia. Ecco che mentre un tempo un direttore faceva di tutto per far crescere professionalmente chi aveva talento oggi lo stesso direttore - che è lì per altri "meriti" e spesso professionalmente meno preparato di chi dirige - fa di tutto per soffocare la crescita di chiunque perché ogni "crescita" diventerebbe una concorrenza a lui stesso. Questo pseudoprofessionista misura, insomma, la sua insicurezza con la potenzialità dei propri collaboratori. Ergo: meglio circondarsi di servi sciocchi, di mediocri, di yesman e guai a parlare veramente di MERITOCRAZIA.
   Ma di quest'ultima naturalmente se ne parla. Per salvare la faccia, per essere meno spudorati, e il merito, la MERITOCRAZIA appunto, si applica falsamente ai servi sciocchi, ai mediocri.
   Se non avessi pagato del mio, se non mi fossi inventato ormai dieci anni fa quello che vedete qui online, credete che io, oggi, potrei ancora scrivere liberamente quello che sto scrivendo qui?
   Se non avessi inventato una micro casa editrice, alla faccia di chi avrebbe voluto ridurmi al silenzio perché non sono né legato ad un partito politico, non sono membro di una qualche massoneria, non sono gay, non sono in vendita, conosco soltanto la logica del rispetto delle leggi di questa nostra Repubblica e della professionalità, pensate che avrei potuto realizzare quanto nel mio piccolo sono riuscito a realizzare negli ultimi dieci anni?
   In una realtà che nel giornalismo e nell'editoria privilegiasse realmente la MERITOCRAZIA, visto quello che sono riuscito a inventare, realizzare, portare avanti in dieci anni fancendo "le nozze coi fichi secchi", lo dico spudoratamente, dovrei essere al top, dovrei essere davvero considerato al top per creatività, innovazione e professionalità dimostrate.
   Invece, in un realtà come quella che ho descritta sono lasciato ai margini.
  Sono, essendo un vero libero essere pensante, estremamente pericoloso. I miei trenta anni di giornalismo militante, basta andare, tanto per trovarne una davvero sostanziosa traccia a "ravanare" negli archivi del Corriere della Sera, non mi danno affatto la chance di continuare a scrivere per qualche testata. Macché! "Romperei certi equilibri" è stato risposto ad un autorevole giornalista vecchia maniera che caldeggiava la collaborazione della mia firma ad un grande quotidiano nazionale. Già, romperei "certi equilibri" oppure i "co..." con il mio essere davvero libero.
No, meglio per i quotidiani nazionali ricorrere ai "servigi", scusate dovevo scrivere i servizi di qualcuno di più duttile, per così dire...
   Viene da pensare come sarebbero andate od andrebbero le cose se vivessi in un altro Paese. Qui in Italia, allo stato attuale delle cose ho di fatto la colpa di essere un serio giornalista; ho la colpa di saper scrivere certamente non male; ho la colpa di conoscere davvero tutta la filiera della produzione di giornali come di libri; ho la colpa di sapermi muover online con l'agilità di un pesce nell'acqua; ho la colpa di conoscere davvero tutto per quanto riguarda la produzione di contenuti on ed offline; ho la colpa di sapere come usare tutti i maggiori software in uso; ho la colpa di essere un vero professionista multimediale.
  Colpe gravissime, nella melma del provincialismo che impera nel giornalismo e nell'editoria italiani. Colpe gravissime per i troppi che a parole sono tecnologicamente avanzati e poi, nella realtà, hanno sempre bisogno di un aiutino per vivere davvero in una società multimediale.
   Ho davvero una grande voglia di emigrare.     

Conversiamone su The Web Park Speaker's Corner  (23 gennaio 2007)  

(Continua)
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Luciano Simonelli

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