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«Ho sempre amato la vita. Chi ama la vita non riesce mai ad adeguarsi, subire, farsi comandare. Chi ama la vita è sempre con il fucile alla finestra per difendere la vita. Un essere umano che si adegua, che subisce, che si fa comandare, non è un essere umano»
Oriana Fallaci
 (da un'intervista del 1979, di Luciano Simonelli, approvata dalla scrittrice).


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Viviamo in un mondo globalizzato dai mille pesi,  dalle mille misure e dalla infinite ipocrisie L'esecuzione di Saddam Hussein, il più sanguinario dittatore dopo Stalin ed Hitler ha aperto l'ennesimo festival dell'ipocrisia. A parte l'atteggiamento del Vaticano, mi paiono far parte di una ritualità che ondeggia fra opportunismo ed ipocrisia le dichiarazioni  del mondo politico non soltanto italiano. E si riapre l'eterno dilemma se è meglio la strada del perdono (con il carcere a vita) di fronte agli autori di delitti che superano i limiti

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umanamente sopportabili (ammesso che vi siano delitti umanamente sopportabili) o quella della vendetta (con la condanna a morte). E' difficile schierarsi da una parte piuttosto che dall'altra ma mi pare un po' pilatesco, quello di escludere per principio la possibilità in assoluto di una soglia oltre la quale non è davvero possibile una sorta di perdono a meno di non essere  santi o masochisti. Meno male che Hitler tolse il problema suicidandosi nel bunker perché, altrimenti, questa invocazione al perdonismo anche contro chi aveva sistematicamente, meticolosamente, criminalmente, sadicamente causato la morte di sei milioni di ebrei inermi e di milioni di altre persone altrettanto inermi, sarebbe puntualmente arrivata. Invito chiunque oggi s'indigna per l'esecuzione della pena capitale nei confronti di Saddam Hussein inflittagli dopo un regolare processo a guardare le immagini di donne, uomini e bambini inermi da lui annientati con le armi chimiche, all'enormità dei suoi crimini compiuti contro chi in Irak non era dalla sua parte.
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E Pinochet, altro dittatore che si è macchiato di delitti orrendi contro tanti cileni e che è finito per morire di vecchiaia senza pagare praticamente nulla per quanto aveva fatto?
Lui è un esempio dei mille pesi, delle mille misure e delle tante ipocrisie di questo mondo globalizzato.
E le sofferenze inflitte al proprio popolo da Mao Tze Tong e dalla sua banda dei quattro con la cosiddetta "rivoluzione culturale"?
E l'elenco di chi l'ha scampata alla giustizia umana, compreso Stalin, di chi non si è trovato a dover saldare il conto con i propri delitti potrebbe continuare a lungo. Ma mi è difficile, molto difficile, provare sdegno, indignazione di fronte a questa esecuzione capitale.
Così, si dice, facendo un discorso di opportunismo politico si è creato un martire. Sarà. Ma non mi risulta che i dittatori finiti male siano poi finiti per essere idolatrati se non da piccole frange di estremisti. E, parlando politicamente, sarebbe stato molto più pericoloso un Saddam Hussein
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condannato al carcere a vita e capace di far sentire giorno dopo giorno la sua voce in uno stillicidio di dichiarazioni.
No, il martire non può essere né sarà lui.
I Veri Martiri veri sono le tante vittime di Saddam Hussein e dei tanti altri feroci quanto sanguinari dittatori come lui.
Scusatemi se non sono, conformisticamente, politicamente corretto.

Conversiamone su The Web Park Speaker's Corner  (30 dicembre 2006)  

(Continua)
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Luciano Simonelli

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