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di Luciano Simonelli
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«Ho sempre amato la vita. Chi ama la vita non riesce mai ad adeguarsi, subire, farsi comandare. Chi ama la vita è sempre con il fucile alla finestra per difendere la vita. Un essere umano che si adegua, che subisce, che si fa comandare, non è un essere umano»
Oriana Fallaci
 (da un'intervista del 1979, di Luciano Simonelli, approvata dalla scrittrice).


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NELL'INCUBO DELLE FS ...e poi dicono che vogliono aumentare le tariffe. Ascoltate quello che mi è accaduto. Una storia cominciata ieri, 11 dicembre, e conclusasi stamani, alle ore 7 del 12 dicembre.
Ieri doveva andare a Roma da Milano per registrare un mio breve intervento in una trasmissione della Rai. Una cosa da venti minuti al massimo. E la redazione della trasmissione aveva organizzato le cose perbenino in modo da farmi rientrare subito a Milano.
Il piano di viaggio era questo:
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N. copie:
partenza in Eurostar alle 12, arrivo a Roma alle 16,30, auto alla Stazione Termini per portarmi negli studi di Saxa Rubra, registrazione, e quindi ritorno alla stazione per prendere un altro Eurostar alle 19,30 che mi avrebbe riportato per mezzanotte a Milano.
Parto alle 12 tranquillo e sereno, deciso a rilassarmi leggendo in quelle quattro ore e mezzo di viaggio ma, dopo un po' che procediamo con una lentezza che mi pare inconsueta, quando vedo in distanza dal mio finestrino la scritta della stazione di Fidenza il treno, il "mitico" Eurostar, il campione dell'alta velocità, si ferma. Sosta ad un semaforo?
Dopo i primi dieci minuti di sosta né io né gli altri compagni di viaggio pensiamo che si tratti di questo. E allora, che cos'è?
Passano quaranta minuti sempre di sosta e anche di completa latitanza del "personale viaggiante" paiono tutti dissoltisi nell'aria di questa splendida giornata di dicembre di cielo terso e uno smagliante sole. Poi, all'improvviso, un dleng dleng dell'altoparlante riscuote tutti e il treno si rianima, anche di personale viaggiante che ora informa di quello che già in molti sospettavamo: la motrice si è rotta, dobbiamo lasciare il treno e spostarci su di un altro Eurostar che nel frattempo è giunto a raccogliere noi, sfortunati. Ma poi neanche troppo, perché a sentire i discorsi di chi viaggia molto più di me l'episodio si ripete molto frequentemente. "Carenza di manutenzione", sentenzia uno. "Magari anche di costruzione" insinua un altro.
Quando tutti siamo saliti nell'Eurostar di soccorso, che comincia lentamente a muoversi, sono passati almeno 60 minuti dalla fermata. Sì, ora siamo di nuovo in viaggio ma questa non è la nostra sistemazione definitiva, avverte l'altoparlante. A Bologna ci attende un altro "materiale rotabile" (guai rinunciare al burocratese e chiamare treno come treno, guai) su cui trasbordare ancora.
Alla fine di questo nuovo trasloco, abbiamo accumulato 122 minuti di ritardo e poi, dopo altri cinque minuti, finalmente si riparte. Gli intoppi sono finiti ma l'arrivo a Roma Termini è, invece delle 16,30, le 18,40. Ormai non potrò più prendere l'Eurostar delle 19,30 per tornare ma in Rai, dopo aver adattato le loro scalette di registrazione al mio ritardo, hanno trovato la soluzione: mi hanno trovato una cabina singola nel treno letto per Milano che parte alle 23 da Roma. Così il giorno dopo potrò tornare al  lavoro davanti al mio computer dopo essermi fatto una dormita ristoratrice in treno.
Tutto a posto? Sulla carta,

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sì, ma nella realtà...
Confesso che era la prima volta che salivo su di un treno letto ma la immagine che avevo di questi convogli era quella vista tante volte in tanti film. O il cinema mente o la realtà ferroviaria italiana è arrivata ad un tale livello di degrado che non so dire a quale mondo appartenga. Il vetro del finestrino della mia cabina era sporco come lo può essere quello di una finestra che non viene lavato da anni, sul resto della

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pulizia o meno della cabina non posso pronunciarmi perché non l'ho vista. Sì, letteralmente perché nella cabine non c'era la luce. No, non c'era. C'era solo la desolazione del personale di bordo che, come si sa non fa luce.
Un po' di luce c'era soltanto nel corridoio ma se ti chiudevi nella cabina eri al buio più pesto e dovevi confidare in qualche chiarore lunare o nelle luci di qualche stazione che incrociavi, quel chiarore e quelle luci che riuscivano naturalmente a filtrare dallo sporco del finestrino. Né la luce e neppure il riscaldamento, naturalmente. Risultato?
Sono finalmente sceso dal treno letto alla Stazione Centrale di Milano alle 7 del mattino del 12 dicembre dopo una notte trascorsa praticamente insonne, imbacuccato in sciarpa, giaccone e guanti, nel buio pesto.
Che desolazione, amici miei. Ma è questa Italia cialtrona che vogliamo?

Conversiamone su The Web Park Speaker's Corner  (12 dicembre 2006)  

(Continua)
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Luciano Simonelli

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