UNA ABITUDINE
MOLTO PRATICATA nel mondo anglosassone
è che quando il rampollo di una dinastia industriale è destinato a
prendere un giorno nelle proprie mani le redini della grande
industria paterna o materna cominci a rendersi conto di come
funzionino le cose lavorando per un certo periodo dentro di essa, a
partire dai ruoli più modesti, da quello di operaio, per intenderci,
in su. Una abitudine molto utile. L'esperienza offre al futuro
grande industriale una visione completa della realtà, gli da una
impagabile preparazione sul campo che unita a quella universitaria
gli sarà poi molto utile nell'interesse suo e delle molte persone
che lavorano nella sua azienda. Una abitudine consolidata nel mondo
anglosassone che, più pragmatico del nostro, segue la regola che chi
sa fa e chi non sa è fuori. Noi in Italia siamo al solito molto
creativi e allora, tranne rarissime eccezioni che si contano sulla
punta delle dita di mezza mano, vale la regola opposta: chi non sa
fa e insegna, chi sa è un "rompiballe" da emarginare e sbattere in
un angolo in una sorta di morte civile la cui pietra tombale è il
silenzio. E in Italia accade che sia politici sia giornalisti
pontifichino su industria e imprenditoria con alle spalle
l'esclusiva esperienza di essere sempre al "calduccio" di uno
stipendio mensile garantito e, per quanto riguarda i parlamentari
anche con il "tepore " aggiunto del fatto che, se non erro, bastano
appena sei mesi dell'esercizio dell'attività parlamentare per avere
diritto ad una lauta pensione (avete infatti mai visto parlamenti
sciolti prima di sei mesi dal loro insediamento?). Non è una
banalità sottolineare questo e neppure qualunquismo. E' invece
pretendere che sia i giornalisti sia i politici che nella loro vita
non hanno mai accantonato la tranquillità di stipendi sicuri e non
hanno mai affrontato l'insicurezza di intraprendere un'attività
imprenditoriale - e quindi, consentitemi, non hanno mai avuto un
sogno per il quale valesse la pena di rischiare tutto per cercare di
realizzarlo - siano consapevoli di quello che è la realtà prima di
aprire bocca o di legiferare. No, pare che siano nati imparati,
anche se non sanno affatto di cosa stanno realmente parlando, e
ragionano per stereotipi. Chi ha deciso di fare l'imprenditore è per
loro, per definizione, una persona che produce molti profitti, non
sanno quanto sia dura l'esistenza. Non lo sanno loro che non hanno
mai avuto il coraggio (o il masochismo?) di provare come si vive
quando i ricavi sono inferiori agli investimenti ma si è così onesti
da voler comunque onorare gli impegni assunti con i fornitori. Non
sanno quanto coraggio e sacrificio occorra per andare avanti
nonostante tutto perché non si vuole mollare la corsa per la
realizzazione di un proprio sogno. Colleghi giornalisti e uomini
politici che non hanno mai vissuto sulla propria pelle l'incertezza
di una esperienza dovrebbero, prima di scrivere o di legiferare,
fare con spirito anglosassone un realistico "stage industriale",
toccare con mano che cosa sia veramente essere un piccolo
imprenditore in Italia. Forse, dopo aver toccato con mano e sulla
propria pelle la verità dei fatti, gli uni e gli altri la
smetterebbero di occuparsi di stereotipi ma di realtà. Forse...
Conversiamone su
The Web Park Speaker's Corner
(22 ottobre 2006)
CHE FINE HA FATTO
LA "DEREGULATION"? Qualcuno ricorda
questa parolina inglese che vuol dire rendere sempre più semplice
ciò che è ora complicato, in tutti i settori? In Italia, si sa, non
sono troppi quelli che masticano bene l'inglese, specialmente a
livello politico. Ma anche quelli che lo sanno paiono ignorare
sempre più la parolina o fanno finta di non conoscerla.
Comunque la si pensi, una realtà è evidente sotto gli occhi di
tutti: anziché semplificare si complicano sempre di più le cose. Si
complicano e per chi vuole ed essere ligio ad ogni adempimento
richiesto aumentano i costi. Sì, perché come al solito, nella
complicazione del vivere burocratico italiano c'è sempre qualcuno
che ci guadagna perché sei costretto a delegare se non vuoi
impazzire. Ringraziano i commercialisti, i ragionieri, le banche...
Quando ringrazierà il cittadino normale? Conversiamone su
The Web Park Speaker's Corner
(22 ottobre 2006)
NIENTE DI
GRANDE SI FA SENZA PASSIONE (Friedrich
Hegel) Conversiamone su
The Web Park Speaker's Corner
(21 ottobre 2006)
MA COME È TRISTE,
NOIOSA E SENZA SOGNI QUESTA MILANO...
Sì, siamo obiettivi, il capoluogo lombardo, la capitale del nord,
più che una vivace metropoli europea degli anni Duemila sta
diventando, giorno dopo giorno, parlando innanzitutto di cultura e
dintorni, la più opaca delle città italiane. E non lo è soltanto sul
piano culturale. Roma, la tanto vituperata (dai militanti della Lega
Nord) "Roma ladrona" sta invece dimostrando da tempo una creatività,
una capacità di interessare e coinvolgere la propria popolazione che
Milano ormai non immagina neppure. È una città senza progettualità e
senza sogni che sopravvive in una parvenza di opulenza e che
involgarisce mese dopo mese. Pare incredibile che si possa respirare
questa atmosfera in una città dalle grandi potenzialità ma dove,
senza dubbio, manca da tempo, da troppo tempo, un "regista" che
sappia far emergere e far condividere dall'intera comunità il buono
che avrebbe. E' incredibile che dove esiste la concentrazione delle
maggiori case editrici non si sia riusciti e non si riesca ancora a
creare una Fiera Internazionale del Libro davvero degna di questo
nome; è incredibile che nessuno si preoccupi del fatto che,
sistematicamente, dal centro storico scompaiano per far posto a bar,
ristoranti, boutique o megastore librerie, cinema, teatri; è
incredibile vedere quale sia la pochezza degli eventi culturali che
vi sono, come questi siano rituali, vecchi e quindi scarsamente
frequentati. Eppure, le "forze", le "intelligenze" vi sarebbero ma
ognuna, senza stimoli e incentivi, vive rassegnata nell'isolamento.
Certe volte viene da pensare quale senso abbia ormai continuare a
vivere a Milano, forse sarebbe più serena e più salubre l'esistenza
in una piccola località... Qualcuno ha detto o scritto che si
comincia a morire quando si smette di sognare. Se Milano non
riprende a sognare, se Milano si sente appagata chiudendosi nel
"ghetto" della Moda e di qualche centinaio di cosiddetti Vip che vi
ruotano intorno, se non si esce dalla sciocca convinzione che per
far cultura basti qualche mostra d'arte messa in piedi da Vittorio
Sgarbi, se non si ha la consapevolezza che la cultura non è un bene
voluttuario ma un "cibo" essenziale per far vivere e crescere una
città, i very normal people di una intera città, insomma se non si
elabora un articolato progetto culturale capace di coinvolgere tutte
le potenzialità dall'editoria ai grandi giornali, alle grandi radio
e televisioni, a scrittori, giornalisti, attori, registi, se non si
investe in cultura, in vera cultura, Milano si consoliderà per
quella che attualmente è diventata: una città triste, noiosa, banale
e un po' volgare. Conversiamone su
The Web Park Speaker's Corner
(20 ottobre 2006)
NON CI RESTA CHE
RIDERE, magari di disperazione, ma
ridere, sempre, di fronte a quello che stiamo vedendo in questi
giorni intorno alla nuova finanziaria. So che ridere di disperazione
potrebbe sembrare una contraddizione in termini ma una risata è
comunque un segnale di speranza, una voglia di non soccombere, un
antidoto alla depressione, l'espressione di una volontà di andare
avanti, di continuare ad andare avanti nonostante tutto e tutti
perché "dentro" si ha ancora un sogno da realizzare. Allora ridiamo
di fronte a qualche espressione smarrita di qualche politico della
maggioranza che, alla sacrosanta manifestazione di dissenso su tante
delle cose che ha messo in piedi questa nuova legge finanziaria,
mostra di essere ignorante, nel senso di ignorare la realtà delle
cose intorno alle quali viene legiferato. Ieri sera ne ho visto uno
in tv che aveva proprio l'espressione di chi pensa "oh, perbacco, a
questo non ci avevo pensato" quando qualcuno gli faceva notare che
la famosa faccenda della riduzione del cuneo fiscale per le aziende
è a favore di chi ha più di sei dipendenti, ergo, in una società
industrial-manufatturiera come quella italiana in cui la maggioranza
è costituita da piccole e piccolissime aziende, diventa vero il
titolo di un quotidiano di alcuni giorni fa (mi pare sia stato
addirittura Liberazione) che "l'abbiamo preso nel cuneo".
"Anche i ricchi piangano" ghignano dei manifesti, credo di
Rifondazione Comunista, con una visione della realtà vecchia di
cinquant'anni, ma piangono anche i poveri. Eh, già, chi è se non un
non ricco chi tira avanti con un'automobile vecchia di dieci anni e
più e quindi inquinante? Tiri avanti con la vecchia auto non perché
sei un ricco snob ma semplicemente perché non hai tutti gli euro che
servono per comprarne una nuova. Ma, zac!, inquini di più e paghi di
più di bollo, un bel tocco di più: e non ti lamentare, sembra dire
chi ha inventato la cosa (una rozza nuova finanza creativa?) tanto
si tratta "soltanto" di circa cento euro in più... Ridiamo, amici, e
ridiamo anche di fronte al regalone che, sempre in tema di auto
viene fatto da questa finanziaria alla Fiat i cui maggiori azionisti
sono ancora stravolti dal fatto che per la prima volta (mi pare nel
2005), nei tanti anni di esistenza dell'azienda, hanno dovuto
mettere del loro capitale in azienda, non hanno ricevuto il
tradizionale "aiutino" statale. Ma ecco che una tradizione appena e
giustamente interrotta nel nome della libertà di mercato torna ad
essere rispettata. Ed ecco sconti di bollo (zero per due anni) e
contributi per chi "rottama" la vecchia auto e ne acquista una
nuova: pensate che sorpresa sarebbe se la maggior parte dei nuovi
clienti acquistassero auto non Made in Italy... Ridiamo a
crepapelle, perché l'ipotesi è tutt'altro che infondata visto che
spesso le auto d'importazione costano di meno ed hanno tutti gli
accessori già compresi nel prezzo. Altro aiuto alla grande impresa è
la faccenda della "rottamazione" dei frigoriferi inquinanti. Ridiamo
di questa attenzione soprattutto (o soltanto?) a chi è grande da
parte di chi, invece, ideologicamente, dovrebbe essere
istintivamente proteso a dare una mano a chi è più piccolo,
economicamente più debole, alle piccole e piccolissime imprese che
non chiedono assistenzialismo né palese né mascherato ma di poter
operare in una realtà di vero libero mercato in cui esiste una reale
situazione di vere, pari opportunità per tutti. Soltanto così anche
chi è piccolo può, lavorando seriamente, caparbiamente e
creativamente aspirare a diventare grande, offrire insieme con il
suo sviluppo nuova occupazione... Ma questo non può accadere oggi,
in una realtà in cui il sistema bancario non lesina disponibilità a
chi è grosso e già molto esposto affiancandolo nelle imprese più
spericolate e non riesce a valutare la reale potenzialità che c'è
dietro imprese ora piccole ma che potrebbero subito fare un balzo
significativo in avanti, svilupparsi, soltanto se avessero quei
capitali da investire che sono indispensabili una volta (parlando di
industria manifatturiera industriale o virtuale) che hai dimostrato
di saper fare prodotti validi e di avere un progetto. Macché, di
fronte a queste realtà per le quali la disponibilità magari di
alcune decine di migliaia di euro potrebbe essere l'elisir di un
grande sviluppo il sistema creditizio reagisce senza entrare nel
merito delle cose. Tratta le piccole e piccolissime aziende come il
privato che va a chiedere un prestito. Hai delle garanzie? Che so,
un immobile? Bene. Hai un progetto industriale, delle idee che
generano prodotti e servizi che mostrano di avere una risposta sul
mercato? No, questo non sono garanzie, tutto questo non interessa.
Eppure è da qui o da altre modalità, da un sistema bancario in grado
davvero di affiancare la piccola imprenditoria, di dare un valore
economico non soltanto agli immobili ma ai progetti ed alle idee che
può passare lo sviluppo di una piccola azienda. Specialmente se
questa, torniamo nel mio settore, si occupa di produzione e di
distribuzione di cultura in un mix di prodotti e servizi. Sì,
ridiamoci sopra davvero a crepapelle. E lunga vita a tutti i nostri
cari! Altrimenti, con le nuove tasse di successione, saranno
dolori... Sì, a me scappa da ridere, fino alle lacrime. E a voi? Conversiamone su
The Web Park Speaker's Corner
(6 ottobre 2006)
CARO MASSIMO D'ALEMA,
nella vicenda della piccola bielorussa, "Maria", che con i suoi
dieci anni aveva chiesto protezione alla famiglia italiana che
l'ospitava per una vacanza, che aveva confidato di aver subito
violenze nell'orfanotrofio da cui proveniva, si è tangibilmente
sentita la sua assenza. Un Ministro degli Esteri così abile e
capace, così in grado di tessere le fila dei processi di pace nel
mondo, è stato forse distratto per un attimo da problemi interni
come il caso Telecom e la faticosa elaborazione della Finanziaria?
Mi auguro un suo "colpo d'ala", caro Massimo D'Alema, mi auguro che
restituisca agli italiani la consapevolezza di vivere in un Paese
capace di concedere Asilo ed Aiuto ad un bambina bielorussa che ce
lo chiede con la sola forza di appartenere al partito dei bambini
che nel mondo, in tutto il mondo, hanno diritto di essere protetti.
Lei è uomo giusto e sono certo che troverà il modo di non "lavarsene
le mani" nascondendosi dietro leggi e regolamenti, come alla fine
hanno già fatto pilatescamente troppi che potevano intervenire.
Perché, lo sa bene, ora "Maria" è di nuovo in Bielorussia con la
"colpa" di aver denunciato di aver subito là delle violenze... Conversiamone su
The Web Park Speaker's Corner
(1 ottobre 2006)
BENVENUTO, ROMANO!
Sì, benvenuto caro
Romano Asuni in
quella che è la famiglia degli autori di Simonelli Editore, tanto
atipica nel panorama editoriale italiano quanto esclusiva. Eh, già
in una realtà dei giornali come dell'editoria libraria involgarita
da scelte banali o di opportunismo (massonico? partitico? di qualche
associazione di amici degli amici?) ecco una firma che a molti dice
molto e che a quegli scioccherelli perché disinformati vale la pena di ricordare.
Ecco, in estrema sintesi: "Romano Asuni, giornalista professionista,
è nato in Sardegna da dove si è poi trasferito a Milano ai periodici
del Corriere della Sera. Ha lavorato al quotidiano
L'Unione Sarda di Cagliari, ad Amica, la Domenica del
Corriere, il Corriere d'Informazione e ha diretto
Salve, il mensile di medicina e salute della RCS. Fra i libri
già pubblicati, "Prima pagina" e "La parabola" (Sperling&Kupfer);
"Gli sdrogati" e "Mamma eroina", (Bompiani); "Il libro del cuore" (Mondadori)
con Gaetano Azzolina; "Caro Fanfani" (GEI)". Ecco,
Romano Asuni
debutta ora nella narrativa con
Il Ritorno una raccolta di
racconti che "fanno" romanzo tanto sono conseguenti, connessi e
interconnessi, in SeBook (Simonelli electronic Book) con l'opzione
Ex Libris ovvero la possibilità di avere il libro elettronico
stampato in volume. Sono davvero felice di essere diventato
l'editore di un collega ed amico come
Romano Asuni con il quale ho
condiviso anni di quel bel giornalismo che si faceva un tempo con
meno veleni e in cui si premiava l'autentico talento. Per chi lo
capisce, questo è un messaggio chiaro per tutti i veri giornalisti e
scrittori che troveranno sempre in Simonelli Editore chi darà loro
voce, consentirà di proseguire quel discorso intellettuale e
culturale che qualcuno, talvolta, vorrebbe imbavagliare... Ma questo non è il
caso di
Romano Asuni, protagonista del giornalismo italiano che,
ora, invece di rivolgersi ai grossi gruppi editoriali che hanno
pubblicato molti dei suoi precedenti libri, ha scelto una realtà
editoriale come Simonelli Editore. Di nuovo benvenuto, caro
Romano,
in questa mia, vera, "casa" editrice. Conversiamone su
The Web Park Speaker's Corner
(28 settembre 2006)
L'APPUNTAMENTO,
RECITA L'INVITO, è per lunedì 2
ottobre, ore 12,30, a Palazzo Graneri (Via Bogino 9, Torino). In
quella data, a quell'ora e in quel luogo la Presidente della Regione
Piemonte Mercedes Bresso (la stessa che da un paio d'anni, da quando
ha assunto la sua carica, non considera Simonelli Editore e molte
altre aziende editoriali italiane, che ogni anno spendono a Torino dai
quattromila euro in su, fra le case editrici degne di essere invitate
alla serata di gala che precede l'inaugurazione della Fiera
Internazionale del Libro di Torino alla quale Noi parteciperemo nel
2007 per l'undicesimo anno consecutivo...) invita il nostro ufficio
stampa alla Conferenza di Presentazione del "Il Circolo dei
Lettori". Quest'ultimo è l'ultima delle "curiose" (è un eufemismo)
iniziative legate al mondo della lettura e dei libri che ci sta
regalando un'altrettanto "curiosa" città come Torino. Premesso che
l'Ufficio Stampa di Simonelli Editore declina l'invito perché ha
quel giorno molte altre cose più costruttive di cui occuparsi, vale
davvero la pena di fare una riflessione su una iniziativa tanto
pomposamente presentata dietro l'apparenza di un dispendio di mezzi
notevole con sponsorizzazioni che vanno dalla Regione Piemonte,
dalla Fondazione CRT (la Fondazione CRT è ente privato non profit
nato a fine 1991 dalla Cassa di Risparmio di Torino e svolge un
ruolo di primo piano nello sviluppo economico e sociale del Piemonte
e Valle d'Aosta), dalla Fondazione, naturalmente onlus, Teatro
Ragazzi e Giovani (Teatro Stabile d'Innovazione). Francamente,
quando in data 6 settembre l'ufficio stampa di Simonelli Editore
ricevette una lettera che annunciava la nascita di questo Circolo
dei Lettori, per l'innato ottimismo che anima me e chi collabora con
me, credetti che fosse qualcosa di buono. Ma mi bastò leggere il
quarto paragrafo per comprendere che gli ideatori e gli sponsor
dell'iniziativa - per furbizia? per ingenuità? per ignoranza (nel
senso di non sapere come stanno le cose)? - per comprendere che la
nuova, grande iniziativa era un'altra...come dire...ma sì
chiamiamola con il nome che le darebbe l'uomo della strada...
"bufala" che parte dalla considerazione che le case editrici - parlo
di quelle indipendenti che pagano tutto di tasca loro, che non
ricevono né desiderano ricevere
sovvenzioni e che aborrono tradire la loro professione facendo
gli "editori a pagamento", case editrici vere, insomma - sono
delle realtà guidate da "giuggioloni" così idealisti da
sentirsi appagati regalando
libri a destra e a manca... Eh, già, perché che cosa recitava con il
candore, la grazia e la cortesia di cui sono maestri, nell'apparenza
delle cose, troppi torinesi? Diceva semplicemente e graziosamente:
"...Con la presente lettera Le chiediamo se la Vostra Casa Editrice
è disponibile a cooperare omaggiando al Circolo dei Lettori alcuni
libri per il progetto bookcrossing..." Non ho omaggiato né
omaggerò e non mi sembra affatto una cosa sufficientemente seria
quella di immaginare qualunque realtà in cui nel nome di una
fantomatica diffusione della lettura si pensa che alla fine quello
che paga davvero debba essere sempre e soltanto l'editore, che l'editore debba
essere, mi si consenta, il "fesso" contento. C'è scritto, aulicamente,
sul logo del neonato Circolo dei Lettori Torinese: Il tempo per
leggere. Il posto per farlo. Ma nel progetto non è previsto
alcun investimento per offrire qualcosa da leggere a chi ha il
tempo e anche il posto? Perché pensare a questo? Tanto ci
sono quei fessi degli editori che regalano i libri (e sono davvero
fessi quello che lo fanno e lo faranno non capendo che così si
svendono e alla fine loro falliranno ma la Regione Piemonte, la
Fondazione CRT, la Fondazione TRG saranno benemeriti della
cultura...). Amici torinesi, basta con queste sciocchezzuole,
mettete in piedi progetti davvero sostenibili (che hanno degli
investimenti) altrimenti smettetela di giocare con un'infinità di
iniziative (la fantasia non vi manca) che alla fine sono soltanto fumo negli
occhi degli ingenui. Conversiamone su
The Web Park Speaker's Corner
(26 settembre 2006)
PAROLE, PAROLE,
PAROLE... Sì, certo, non potrebbe
trattarsi altro che di tante parole, potrebbe obiettare qualcuno
ironicamente, quando si parla di libri, editoria e dei cosiddetti
Stati Generali dell'Editoria. Già, a Roma, se la son detta e fatta
fra di loro approfondendo il solco che ormai separa le cinque grandi
sorelle dell'editoria libraria italiana (i cinque grandi gruppi con
la costellazione di case editrici di cui sono proprietarie molte
delle quali "appaiono" piccole) e quel circa migliaio di case
editrici indipendenti (sì, d'accordo, le statistiche parlerebbero di
quattromila ma se togliamo dal gruppo i "furbetti" intrusi ovvero le
case editrici a pagamento, quelli che non hanno una catalogo
strutturato e una produzione costante di almeno sei titoli l'anno e
quelli che non hanno neppure una distribuzione nelle librerie il
numero è all'incirca questo arrotondando per eccesso) che fra mille
salti mortali riescono ad andare avanti nonostante tutto. Davvero,
nonostante tutto. Nonostante il fatto di non essere ufficialmente
rappresentati ad incontri ufficiali come quello di Roma, nonostante
che esistano altre organizzazioni rappresentative oltre l'AIE. Sì,
perché l'Associazione Italiana degli Editori non è un'organismo
indicato per legge a rappresentare tutti gli Editori italiani
ma è, come dice il nome, una Associazione che rappresenta soltanto
gli editori iscritti ma viene considerato, chissà perché..., l'unico
interlocutore istituzionale mentre circa mille case editrici
indipendenti restano sempre senza "parola". Sì, lo restano anche se
nell'ambito dell'AIE esiste il gruppo dei cosiddetti "piccoli
editori" che hanno detto la loro a Roma attraverso il loro
presidente, Sergio Fanucci, ma che non rappresentano altro che i
"piccoli" (più per definizione che per fatturato) iscritti. E gli
altri, il migliaio di case editrici senza rappresentanza e senza
diritto di parola? E' davvero bipartisan l'atteggiamento di
disinteresse nei confronti di queste nostre realtà editoriali che
oltre ad essere indipendenti "rompono", davvero, in tutti i sensi,
interessi politici, di categoria e molto altro... Siamo inutili, per
lorsignori, irrilevanti, siamo industrialmente messi nella
condizione di sopravvivere, se ci riusciamo, ai margini e appena
facciamo qualcosa di interessante, di innovativo - e lo facciamo -
ecco che "i grandi senza idee" clonano. Rimanere sul mercato per
anni in queste condizioni è, consentitemi, un atto di eroismo ma, mi
domando, non sarebbe più utile all'editoria in generale e al sistema
industriale del Paese che esistessero le condizioni per cui chi
vale, che presenta sul mercato prodotti culturali commercialmente
validi possa crescere? Sfido chiunque a dirmi quale realtà
editoriale indipendente sia potuta uscire dal suo "ghetto" crescere,
espandersi, creare nuova occupazione negli ultimi trenta anni.
Benvenuto chi mi smentisce ma, per quanto ho visto, negli ultimi
trenta anni i grandi sono diventati sempre più grandi e gli
indipendenti o hanno dovuto capitolare e chiudere o sono diventati
un'altra sigla editoriale nella scuderia di un "grande". Io resisto,
amici miei, e ho anche la pretesa di crescere, nonostante gli Stati
Generali di un'altra editoria, nonostante una classe politica sia di
centro, sia di destra, sia di sinistra che parla di libri ignorando
come esattamente funzionino le cose. Una classe politica seria
dovrebbe creare in ogni settore industriale e commerciale una
situazione di reali pari opportunità per ciascuno, impedire la
nascita e il consolidamento di situazioni di monopolio, offrire le
condizioni secondo le quali in un regima di reale libera concorrenza
vince il migliore... Conversiamone su
The Web Park Speaker's Corner
(23 settembre 2006)
(Continua)
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