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«Ho sempre amato la vita. Chi ama la vita non riesce mai ad adeguarsi, subire, farsi comandare. Chi ama la vita è sempre con il fucile alla finestra per difendere la vita. Un essere umano che si adegua, che subisce, che si fa comandare, non è un essere umano»
Oriana Fallaci
 (da un'intervista del 1979, di Luciano Simonelli, approvata dalla scrittrice).

UNA ABITUDINE MOLTO PRATICATA nel mondo anglosassone è che quando il rampollo di una dinastia industriale è destinato a prendere un giorno nelle proprie mani le redini della grande industria paterna o materna cominci a rendersi conto di come funzionino le cose lavorando per un certo periodo dentro di essa, a partire dai ruoli più modesti, da quello di operaio, per intenderci, in su. Una abitudine molto utile. L'esperienza offre al futuro grande industriale una visione completa della realtà, gli da una impagabile preparazione sul campo che unita a quella universitaria gli sarà poi molto utile nell'interesse suo e delle molte persone che lavorano nella sua azienda. Una abitudine consolidata nel mondo anglosassone che, più pragmatico del nostro, segue la regola che chi sa fa e chi non sa è fuori. Noi in Italia siamo al solito molto creativi e allora, tranne rarissime eccezioni che si contano sulla punta delle dita di mezza mano, vale la regola opposta: chi non sa fa e insegna, chi sa è un "rompiballe" da emarginare e sbattere in un angolo in una sorta di morte civile la cui pietra tombale è il silenzio. E in Italia accade che sia politici sia giornalisti pontifichino su industria e imprenditoria con alle spalle l'esclusiva esperienza di essere sempre al "calduccio" di uno stipendio mensile garantito e, per quanto riguarda i parlamentari anche con il "tepore " aggiunto del fatto che, se non erro, bastano appena sei mesi dell'esercizio dell'attività parlamentare per avere diritto ad una lauta pensione (avete infatti mai visto parlamenti sciolti prima di sei mesi dal loro insediamento?). Non è una banalità sottolineare questo e neppure qualunquismo. E' invece pretendere che sia i giornalisti sia i politici che nella loro vita non hanno mai accantonato la tranquillità di stipendi sicuri e non hanno mai affrontato l'insicurezza di intraprendere un'attività imprenditoriale - e quindi, consentitemi, non hanno mai avuto un sogno per il quale valesse la pena di rischiare tutto per cercare di realizzarlo - siano consapevoli di quello che è la realtà prima di aprire bocca o di legiferare. No, pare che siano nati imparati, anche se non sanno affatto di cosa stanno realmente parlando, e ragionano per stereotipi. Chi ha deciso di fare l'imprenditore è per loro, per definizione, una persona che produce molti profitti, non sanno quanto sia dura l'esistenza. Non lo sanno loro che non hanno mai avuto il coraggio (o il masochismo?) di provare come si vive quando i ricavi sono inferiori agli investimenti ma si è così onesti da voler comunque onorare gli impegni assunti con i fornitori. Non sanno quanto coraggio e sacrificio occorra per andare avanti nonostante tutto perché non si vuole mollare la corsa per la realizzazione di un proprio sogno. Colleghi giornalisti e uomini politici che non hanno mai vissuto sulla propria pelle l'incertezza di una esperienza dovrebbero, prima di scrivere o di legiferare, fare con spirito anglosassone un realistico "stage industriale", toccare con mano che cosa sia veramente essere un piccolo imprenditore in Italia. Forse, dopo aver toccato con mano e sulla propria pelle la verità dei fatti, gli uni e gli altri la smetterebbero di occuparsi di stereotipi ma di realtà. Forse...
Conversiamone su The Web Park Speaker's Corner  (22 ottobre 2006)
  

CHE FINE HA FATTO LA "DEREGULATION"? Qualcuno ricorda questa parolina inglese che vuol dire rendere sempre più semplice ciò che è ora complicato, in tutti i settori? In Italia, si sa, non sono troppi quelli che masticano bene l'inglese, specialmente a livello politico. Ma anche quelli che lo sanno paiono ignorare sempre più  la parolina o fanno finta di non conoscerla. Comunque la si pensi, una realtà è evidente sotto gli occhi di tutti: anziché semplificare si complicano sempre di più le cose. Si complicano e per chi vuole ed essere ligio ad ogni adempimento richiesto aumentano i costi. Sì, perché come al solito, nella complicazione del vivere burocratico italiano c'è sempre qualcuno che ci guadagna perché sei costretto a delegare se non vuoi impazzire. Ringraziano i commercialisti, i ragionieri, le banche... Quando ringrazierà il cittadino normale?
Conversiamone su The Web Park Speaker's Corner  (22 ottobre 2006)

NIENTE DI GRANDE SI FA SENZA PASSIONE (Friedrich Hegel)
Conversiamone su The Web Park Speaker's Corner  (21 ottobre 2006)

MA COME È TRISTE, NOIOSA E SENZA SOGNI QUESTA MILANO... Sì, siamo obiettivi, il capoluogo lombardo, la capitale del nord, più che una vivace metropoli europea degli anni Duemila sta diventando, giorno dopo giorno, parlando innanzitutto di cultura e dintorni, la più opaca delle città italiane. E non lo è soltanto sul piano culturale. Roma, la tanto vituperata (dai militanti della Lega Nord) "Roma ladrona" sta invece dimostrando da tempo una creatività, una capacità di interessare e coinvolgere la propria popolazione che Milano ormai non immagina neppure. È una città senza progettualità e senza sogni che sopravvive in una parvenza di opulenza e che involgarisce mese dopo mese. Pare incredibile che si possa respirare questa atmosfera in una città dalle grandi potenzialità ma dove, senza dubbio, manca da tempo, da troppo tempo, un "regista" che sappia far emergere e far condividere dall'intera comunità il buono che avrebbe. E' incredibile che dove esiste la concentrazione delle maggiori case editrici non si sia riusciti e non si riesca ancora a creare una Fiera Internazionale del Libro davvero degna di questo nome; è incredibile che nessuno si preoccupi del fatto che, sistematicamente, dal centro storico scompaiano per far posto a bar, ristoranti, boutique o megastore librerie, cinema, teatri; è incredibile vedere quale sia la pochezza degli eventi culturali che vi sono, come questi siano rituali, vecchi e quindi scarsamente frequentati. Eppure, le "forze", le "intelligenze" vi sarebbero ma ognuna, senza stimoli e incentivi, vive rassegnata nell'isolamento. Certe volte viene da pensare quale senso abbia ormai continuare a vivere a Milano, forse sarebbe più serena e più salubre l'esistenza in una piccola località... Qualcuno ha detto o scritto che si comincia a morire quando si smette di sognare. Se Milano non riprende a sognare, se Milano si sente appagata chiudendosi nel "ghetto" della Moda e di qualche centinaio di cosiddetti Vip che vi ruotano intorno, se non si esce dalla sciocca convinzione che per far cultura basti qualche mostra d'arte messa in piedi da Vittorio Sgarbi, se non si ha la consapevolezza che la cultura non è un bene voluttuario ma un "cibo" essenziale per far vivere e crescere una città, i very normal people di una intera città, insomma se non si elabora un articolato progetto culturale capace di coinvolgere tutte le potenzialità dall'editoria ai grandi giornali, alle grandi radio e televisioni, a scrittori, giornalisti, attori, registi, se non si investe in cultura, in vera cultura, Milano si consoliderà per quella che attualmente è diventata: una città triste, noiosa, banale e un po' volgare.
Conversiamone su The Web Park Speaker's Corner  (20 ottobre 2006)

NON CI RESTA CHE RIDERE, magari di disperazione, ma ridere, sempre, di fronte a quello che stiamo vedendo in questi giorni intorno alla nuova finanziaria. So che ridere di disperazione potrebbe sembrare una contraddizione in termini ma una risata è comunque un segnale di speranza, una voglia di non soccombere, un antidoto alla depressione, l'espressione di una volontà di andare avanti, di continuare ad andare avanti nonostante tutto e tutti perché "dentro" si ha ancora un sogno da realizzare. Allora ridiamo di fronte a qualche espressione smarrita di qualche politico della maggioranza che, alla sacrosanta manifestazione di dissenso su tante delle cose che ha messo in piedi questa nuova legge finanziaria, mostra di essere ignorante, nel senso di ignorare la realtà delle cose intorno alle quali viene legiferato. Ieri sera ne ho visto uno in tv che aveva proprio l'espressione di chi pensa "oh, perbacco, a questo non ci avevo pensato" quando qualcuno gli faceva notare che la famosa faccenda della riduzione del cuneo fiscale per le aziende è a favore di chi ha più di sei dipendenti, ergo, in una società industrial-manufatturiera come quella italiana in cui la maggioranza è costituita da piccole e piccolissime aziende, diventa vero il titolo di un quotidiano di alcuni giorni fa (mi pare sia stato addirittura Liberazione) che "l'abbiamo preso nel cuneo". "Anche i ricchi piangano" ghignano dei manifesti, credo di Rifondazione Comunista, con una visione della realtà vecchia di cinquant'anni, ma piangono anche i poveri. Eh, già, chi è se non un non ricco chi tira avanti con un'automobile vecchia di dieci anni e più e quindi inquinante? Tiri avanti con la vecchia auto non perché sei un ricco snob ma semplicemente perché non hai tutti gli euro che servono per comprarne una nuova. Ma, zac!, inquini di più e paghi di più di bollo, un bel tocco di più: e non ti lamentare, sembra dire chi ha inventato la cosa (una rozza nuova finanza creativa?) tanto si tratta "soltanto" di circa cento euro in più... Ridiamo, amici, e ridiamo anche di fronte al regalone che, sempre in tema di auto viene fatto da questa finanziaria alla Fiat i cui maggiori azionisti sono ancora stravolti dal fatto che per la prima volta (mi pare nel 2005), nei tanti anni di esistenza dell'azienda, hanno dovuto mettere del loro capitale in azienda, non hanno ricevuto il tradizionale "aiutino" statale. Ma ecco che una tradizione appena e giustamente interrotta nel nome della libertà di mercato torna ad essere rispettata. Ed ecco sconti di bollo (zero per due anni) e contributi per chi "rottama" la vecchia auto e ne acquista una nuova: pensate che sorpresa sarebbe se la maggior parte dei nuovi clienti acquistassero auto non Made in Italy... Ridiamo a crepapelle, perché l'ipotesi è tutt'altro che infondata visto che spesso le auto d'importazione costano di meno ed hanno tutti gli accessori già compresi nel prezzo. Altro aiuto alla grande impresa è la faccenda della "rottamazione" dei frigoriferi inquinanti. Ridiamo di questa attenzione soprattutto (o soltanto?) a chi è grande da parte di chi, invece, ideologicamente, dovrebbe essere istintivamente proteso a dare una mano a chi è più piccolo, economicamente più debole, alle piccole e piccolissime imprese che non chiedono assistenzialismo né palese né mascherato ma di poter operare in una realtà di vero libero mercato in cui esiste una reale situazione di vere, pari opportunità per tutti. Soltanto così anche chi è piccolo può, lavorando seriamente, caparbiamente e creativamente aspirare a diventare grande, offrire insieme con il suo sviluppo nuova occupazione... Ma questo non può accadere oggi, in una realtà in cui il sistema bancario non lesina disponibilità a chi è grosso e già molto esposto affiancandolo nelle imprese più spericolate e non riesce a valutare la reale potenzialità che c'è dietro imprese ora piccole ma che potrebbero subito fare un balzo significativo in avanti, svilupparsi, soltanto se avessero quei capitali da investire che sono indispensabili una volta (parlando di industria manifatturiera industriale o virtuale) che hai dimostrato di saper fare prodotti validi e di avere un progetto. Macché, di fronte a queste realtà per le quali la disponibilità magari di alcune decine di migliaia di euro potrebbe essere l'elisir di un grande sviluppo il sistema creditizio reagisce senza entrare nel merito delle cose. Tratta le piccole e piccolissime aziende come il privato che va a chiedere un prestito. Hai delle garanzie? Che so, un immobile? Bene. Hai un progetto industriale, delle idee che generano prodotti e servizi che mostrano di avere una risposta sul mercato? No, questo non sono garanzie, tutto questo non interessa. Eppure è da qui o da altre modalità, da un sistema bancario in grado davvero di affiancare la piccola imprenditoria, di dare un valore economico non soltanto agli immobili ma ai progetti ed alle idee che può passare lo sviluppo di una piccola azienda. Specialmente se questa, torniamo nel mio settore, si occupa di produzione e di distribuzione di cultura in un mix di prodotti e servizi. Sì, ridiamoci sopra davvero a crepapelle. E lunga vita a tutti i nostri cari! Altrimenti, con le nuove tasse di successione, saranno dolori... Sì, a me scappa da ridere, fino alle lacrime. E a voi?
Conversiamone su The Web Park Speaker's Corner  (6 ottobre 2006)

CARO MASSIMO D'ALEMA, nella vicenda della piccola bielorussa, "Maria", che con i suoi dieci anni aveva chiesto protezione alla famiglia italiana che l'ospitava per una vacanza, che aveva confidato di aver subito violenze nell'orfanotrofio da cui proveniva, si è tangibilmente sentita la sua assenza. Un Ministro degli Esteri così abile e capace, così in grado di tessere le fila dei processi di pace nel mondo, è stato forse distratto per un attimo da problemi interni come il caso Telecom e la faticosa elaborazione della Finanziaria? Mi auguro un suo "colpo d'ala", caro Massimo D'Alema, mi auguro che restituisca agli italiani la consapevolezza di vivere in un Paese capace di concedere Asilo ed Aiuto ad un bambina bielorussa che ce lo chiede con la sola forza di appartenere al partito dei bambini che nel mondo, in tutto il mondo, hanno diritto di essere protetti. Lei è uomo giusto e sono certo che troverà il modo di non "lavarsene le mani" nascondendosi dietro leggi e regolamenti, come alla fine hanno già fatto pilatescamente troppi che potevano intervenire. Perché, lo sa bene, ora "Maria" è di nuovo in Bielorussia con la "colpa" di aver denunciato di aver subito là delle violenze...
Conversiamone su The Web Park Speaker's Corner  (1 ottobre 2006)
  

BENVENUTO, ROMANO! Sì, benvenuto caro Romano Asuni in quella che è la famiglia degli autori di Simonelli Editore, tanto atipica nel panorama editoriale italiano quanto esclusiva. Eh, già in una realtà dei giornali come dell'editoria libraria involgarita da scelte banali o di opportunismo (massonico? partitico? di qualche associazione di amici degli amici?) ecco una firma che a molti dice molto e che a quegli scioccherelli perché disinformati vale la pena di ricordare. Ecco, in estrema sintesi: "Romano Asuni, giornalista professionista, è nato in Sardegna da dove si è poi trasferito a Milano ai periodici del Corriere della Sera. Ha lavorato al quotidiano L'Unione Sarda di Cagliari, ad Amica, la Domenica del Corriere, il Corriere d'Informazione e ha diretto Salve, il mensile di medicina e salute della RCS. Fra i libri già pubblicati, "Prima pagina" e "La parabola" (Sperling&Kupfer); "Gli sdrogati" e "Mamma eroina", (Bompiani); "Il libro del cuore" (Mondadori) con Gaetano Azzolina; "Caro Fanfani" (GEI)". Ecco, Romano Asuni debutta ora nella narrativa con Il Ritorno una raccolta di racconti che "fanno" romanzo tanto sono conseguenti, connessi e interconnessi, in SeBook (Simonelli electronic Book) con l'opzione Ex Libris ovvero la possibilità di avere il libro elettronico stampato in volume. Sono davvero felice di essere diventato l'editore di un collega ed amico come Romano Asuni con il quale ho condiviso anni di quel bel giornalismo che si faceva un tempo con meno veleni e in cui si premiava l'autentico talento. Per chi lo capisce, questo è un messaggio chiaro per tutti i veri giornalisti e scrittori che troveranno sempre in Simonelli Editore chi darà loro voce, consentirà di proseguire quel discorso intellettuale e culturale che qualcuno, talvolta, vorrebbe imbavagliare...  Ma questo non è il caso di Romano Asuni, protagonista del giornalismo italiano che, ora, invece di rivolgersi ai grossi gruppi editoriali che hanno pubblicato molti dei suoi precedenti libri, ha scelto una realtà editoriale come Simonelli Editore. Di nuovo benvenuto, caro Romano, in questa mia, vera, "casa" editrice.
Conversiamone su The Web Park Speaker's Corner  (28 settembre 2006)
 

L'APPUNTAMENTO, RECITA L'INVITO, è per lunedì 2 ottobre, ore 12,30, a Palazzo Graneri (Via Bogino 9, Torino). In quella data, a quell'ora e in quel luogo la Presidente della Regione Piemonte Mercedes Bresso (la stessa che da un paio d'anni, da quando ha assunto la sua carica, non considera Simonelli Editore e molte altre aziende editoriali italiane, che ogni anno spendono a Torino dai quattromila euro in su, fra le case editrici degne di essere invitate alla serata di gala che precede l'inaugurazione della Fiera Internazionale del Libro di Torino alla quale Noi parteciperemo nel 2007 per l'undicesimo anno consecutivo...) invita il nostro ufficio stampa alla Conferenza di Presentazione del "Il Circolo dei Lettori". Quest'ultimo è l'ultima delle "curiose" (è un eufemismo) iniziative legate al mondo della lettura e dei libri che ci sta regalando un'altrettanto "curiosa" città come Torino. Premesso che l'Ufficio Stampa di Simonelli Editore declina l'invito perché ha quel giorno molte altre cose più costruttive di cui occuparsi, vale davvero la pena di fare una riflessione su una iniziativa tanto pomposamente presentata dietro l'apparenza di un dispendio di mezzi notevole con sponsorizzazioni che vanno dalla Regione Piemonte, dalla Fondazione CRT (la Fondazione CRT è ente privato non profit nato a fine 1991 dalla Cassa di Risparmio di Torino e svolge un ruolo di primo piano nello sviluppo economico e sociale del Piemonte e Valle d'Aosta), dalla Fondazione, naturalmente onlus, Teatro Ragazzi e Giovani (Teatro Stabile d'Innovazione). Francamente, quando in data 6 settembre l'ufficio stampa di Simonelli Editore ricevette una lettera che annunciava la nascita di questo Circolo dei Lettori, per l'innato ottimismo che anima me e chi collabora con me, credetti che fosse qualcosa di buono. Ma mi bastò leggere il quarto paragrafo per comprendere che gli ideatori e gli sponsor dell'iniziativa - per furbizia? per ingenuità? per ignoranza (nel senso di non sapere come stanno le cose)? - per comprendere che la nuova, grande iniziativa era un'altra...come dire...ma sì chiamiamola con il nome che le darebbe l'uomo della strada... "bufala" che parte dalla considerazione che le case editrici - parlo di quelle indipendenti che pagano tutto di tasca loro, che non ricevono né desiderano ricevere sovvenzioni e che aborrono tradire la loro professione facendo gli "editori a pagamento", case editrici vere, insomma  - sono delle realtà guidate da "giuggioloni" così idealisti da sentirsi appagati regalando libri a destra e a manca... Eh, già, perché che cosa recitava con il candore, la grazia e la cortesia di cui sono maestri, nell'apparenza delle cose, troppi torinesi? Diceva semplicemente e graziosamente: "...Con la presente lettera Le chiediamo se la Vostra Casa Editrice è disponibile a cooperare omaggiando al Circolo dei Lettori alcuni libri per il progetto bookcrossing..." Non ho omaggiato né omaggerò e non mi sembra affatto una cosa sufficientemente seria quella di immaginare qualunque realtà in cui nel nome di una fantomatica diffusione della lettura si pensa che alla fine quello che paga davvero debba essere sempre e soltanto l'editore, che l'editore debba essere, mi si consenta, il "fesso" contento. C'è scritto, aulicamente, sul logo del neonato Circolo dei Lettori Torinese: Il tempo per leggere. Il posto per farlo. Ma nel progetto non è previsto alcun investimento per offrire qualcosa da leggere a chi ha il tempo e anche il posto? Perché pensare a questo? Tanto ci sono quei fessi degli editori che regalano i libri (e sono davvero fessi quello che lo fanno e lo faranno non capendo che così si svendono e alla fine loro falliranno ma la Regione Piemonte, la Fondazione CRT, la Fondazione TRG saranno benemeriti della cultura...). Amici torinesi, basta con queste sciocchezzuole, mettete in piedi progetti davvero sostenibili (che hanno degli investimenti) altrimenti smettetela di giocare con un'infinità di iniziative (la fantasia non vi manca) che alla fine sono soltanto fumo negli occhi degli ingenui.
Conversiamone su The Web Park Speaker's Corner  (26 settembre 2006)
 

PAROLE, PAROLE, PAROLE... Sì, certo, non potrebbe trattarsi altro che di tante parole, potrebbe obiettare qualcuno ironicamente, quando si parla di libri, editoria e dei cosiddetti Stati Generali dell'Editoria. Già, a Roma, se la son detta e fatta fra di loro approfondendo il solco che ormai separa le cinque grandi sorelle dell'editoria libraria italiana (i cinque grandi gruppi con la costellazione di case editrici di cui sono proprietarie molte delle quali "appaiono" piccole) e quel circa migliaio di case editrici indipendenti (sì, d'accordo, le statistiche parlerebbero di quattromila ma se togliamo dal gruppo i "furbetti" intrusi ovvero le case editrici a pagamento, quelli che non hanno una catalogo strutturato e una produzione costante di almeno sei titoli l'anno e quelli che non hanno neppure una distribuzione nelle librerie il numero è all'incirca questo arrotondando per eccesso) che fra mille salti mortali riescono ad andare avanti nonostante tutto. Davvero, nonostante tutto. Nonostante il fatto di non essere ufficialmente rappresentati ad incontri ufficiali come quello di Roma, nonostante che esistano altre organizzazioni rappresentative oltre l'AIE. Sì, perché l'Associazione Italiana degli Editori non è un'organismo indicato per  legge a rappresentare tutti gli Editori italiani ma è, come dice il nome, una Associazione che rappresenta soltanto gli editori iscritti ma viene considerato, chissà perché..., l'unico interlocutore istituzionale mentre circa mille case editrici indipendenti restano sempre senza "parola". Sì, lo restano anche se nell'ambito dell'AIE esiste il gruppo dei cosiddetti "piccoli editori" che hanno detto la loro a Roma attraverso il loro presidente, Sergio Fanucci, ma che non rappresentano altro che i "piccoli" (più per definizione che per fatturato) iscritti. E gli altri, il migliaio di case editrici senza rappresentanza e senza diritto di parola? E' davvero bipartisan l'atteggiamento di disinteresse nei confronti di queste nostre realtà editoriali che oltre ad essere indipendenti "rompono", davvero, in tutti i sensi, interessi politici, di categoria e molto altro... Siamo inutili, per lorsignori, irrilevanti, siamo industrialmente messi nella condizione di sopravvivere, se ci riusciamo, ai margini e appena facciamo qualcosa di interessante, di innovativo - e lo facciamo - ecco che "i grandi senza idee" clonano. Rimanere sul mercato per anni in queste condizioni è, consentitemi, un atto di eroismo ma, mi domando, non sarebbe più utile all'editoria in generale e al sistema industriale del Paese che esistessero le condizioni per cui chi vale, che presenta sul mercato prodotti culturali commercialmente validi possa crescere? Sfido chiunque a dirmi quale realtà editoriale indipendente sia potuta uscire dal suo "ghetto" crescere, espandersi, creare nuova occupazione negli ultimi trenta anni. Benvenuto chi mi smentisce ma, per quanto ho visto, negli ultimi trenta anni i grandi sono diventati sempre più grandi e gli indipendenti o hanno dovuto capitolare e chiudere o sono diventati un'altra sigla editoriale nella scuderia di un "grande". Io resisto, amici miei, e ho anche la pretesa di crescere, nonostante gli Stati Generali di un'altra editoria, nonostante una classe politica sia di centro, sia di destra, sia di sinistra che parla di libri ignorando come esattamente funzionino le cose. Una classe politica seria dovrebbe creare in ogni settore industriale e commerciale una situazione di reali pari opportunità per ciascuno, impedire la nascita e il consolidamento di situazioni di monopolio, offrire le condizioni secondo le quali in un regima di reale libera concorrenza vince il migliore...
Conversiamone su The Web Park Speaker's Corner  (23 settembre 2006)

(Continua)
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Luciano Simonelli

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