*UN GRANDE RITORNO* *UN GRANDE RITORNO* *UN GRANDE RITORNO*
21
settembre
- Le botte sul naso ricevute ieri m'hanno fatto passare una notte insonne. Anche se tormentato da fitte lancinanti, ho avuto modo di riflettere sul mistero di Ggenio e sono giunto alla conclusione paradossale che potrebbero avere ragione sia Evaristo, sia la vedova Gerbidi. In altri termini, ho pensato tutta la notte per ritrovarmi al punto di partenza. Senza uno straccio d'idea che porti la bilancia a pendere verso «la forza delle parole» piuttosto che verso la «potenza della parentela&»;
Passo la giornata in casa, in un comico dormiveglia, interrotto dal dolore e dalla fame che sta diventando spasmodica o dalla sensazione di aver intuito la soluzione dell'arcano, che, però, continua a sfuggirmi. Non avendo potuto uscire per la corsa quotidiana, la signora Deianira mi ha fatto sapere che non ho diritto, per oggi, alle carote e alla fettina di prosciutto. Di bene in meglio!
22
settembre
- Spossato dalla fame, non voglio correre il rischio di restare senza cibo anche oggi. Perciò mi infilo un maglione e i pantaloni sdruciti d'una vecchia tuta da ginnastica, le scarpe da tennis ed esco di buon'ora per la corsa che mi garantirà la miserabile razione di cibo cui ho diritto.
I corridoi sono deserti e la luce che filtra è appena sufficiente per non inciampare. Mi avvio al piccolo trotto, cercando di risparmiare energia. Dopo circa seicento metri decido di svoltare a destra, poi a sinistra ed infine m'inoltro in un budello che non riconosco. In men che non si dica, mi trovo circondato da una specie di ragnatela di muri e, per quanti giri faccia, non riesco a guadagnar l'uscita. Ci mancava solo questa! Devo essermi perso.
Torno al passo, smaltisco un po' di fiatone e mi dico: «Calma, ragioniamo!»
Macchè! Destra, sinistra, dritto, avanti, indietro e rieccomi al punto di partenza. Maledizione, questa non ci voleva proprio. Già mi vedo morto d'inedia. Decido di riprovare l'ultima volta facendo dei segni evidenti sui muri di tufo, in modo da cercare di raccapezzarmi. Procedo lentamente, con circospezione.
«Ce la prendiamo comoda eh?»
La voce proviene da tergo e dalla musicalità del tono riconosco Deianira. E lei, infatti, che, con passo felino, mi supera sorridendomi con commiserazione.
«Alt! Per favore si fermi, la prego!»
Frena e mi punta addosso uno sguardo che è un punto interrogativo. Le racconto il mio disorientamento. Sorride ancora, questa volta senza scherno. È bellissima e il sorriso la rende addirittura stupenda. Senza poter in alcun modo controllare la mia volontà mi attardo a guardarla, indugiando sul seno e sui fianchi. Lei mi sta dicendo di continuare la strada insieme quando s'accorge del mio evidente turbamento. Il suo sguardo tradisce un po' di disappunto, poi riprende a correre, usandomi la gentilezza di non forzare. Dopo un quarto d'ora, riconosco l'ambiente: siamo sul fondo del lato ovest, laggiù vedo gli amici che fanno la fila ai blocchi igienici. La dietologa mi dice che oggi mi farà avere una porzione di pollo bollito in sovrappiù e mi lascia regalandomi un altro sorriso. Ed io mi dico che già l'amo.
23 settembre
- Anche stanotte ho dormito quasi niente. A tenermi sveglio, però, non è stato il mistero di Ggenio, né la fame, ma il pensiero di lei. Il desiderio di rivederla, di sentire la sua risata, di bearmi della sua bellezza. Prima d'uscire, prestissimo, mi tiro a lucido. Indugio nel corridoio sperando nel suo arrivo. S'apre l'uscio di Sabino, l'Infangato, che viene a raccontarmi dei suoi guai: «Me so 'ccadute l'autre due diente vicine».
Vedo arrivare Deianira e penso a come levarmi dai piedi il mio amico: «Sabino, che ne dici d'accompagnarmi a correre?»
Mi guarda come se fossi un marziano : «Facitemo piacere, on Benì! Ma vuje pazziate»
Lo saluto e m'avvio. Presto Deianira m'affianca e, senza smettere di correre ci salutiamo con un cenno del capo. Vorrei capire cosa mi sta succedendo: non sento assolutamente la fatica, tengo la sua andatura e non sibilo come ieri. Solo il cuore sembra impazzito e scarica tonnellate d'adrenalina che mi rendono elettrico. Dopo circa venti minuti tirati allo spasimo ci concediamo una pausa. Ci troviamo esattamente nello stesso posto di ieri, lo riconosco dal graffito che io stesso ho tracciato sul tufo. Deianira s'è accorta della mia agitazione e sembra giocare come la gatta col topo. Fa degli esercizi respiratori e di allungamento dei muscoli che esaltano la bellezza delle parti più belle della sua persona. Su di me hanno l'effetto d'una scarica elettrica ad alto voltaggio. La vedo sorridere compiaciuta. Devo parlarle, fosse l'ultima cosa che faccio, mi dico. Ci troviamo in una zona completamente isolata, non c'è anima viva.
- Non starei nel Labirinto, se fossi una persona normale Mi prenderei a calci mentre sento la mia voce domandarle: «Chi è Ggenio, come mai ha così tanta voce in capitolo in questo posto?»
Mi guarda attonita, poi s'accosta, mi mette un a mano sulla spalla e, avvicinando le labbra al mio orecchio sussurra : «non posso dirtelo».
Fremo. Sono così eccitato che potrei scoppiare. Allungo le mani per cingerle i fianchi, ma lei si scosta velocissima e torna a correre. La raggiungo ma accellera. Stavolta lo sforzo mi costa caro. Quando intravedo le latrine del lato ovest crollo, letteralmente in apnea. Prima di perdere i sensi mi ripeto che l'amo.
[Continua]