*UN GRANDE RITORNO* *UN GRANDE RITORNO* *UN GRANDE RITORNO*

10 settembre (Questa è la cronaca d'una giornata triste).

Il 10 settembre del 1994 il poeta J.T. Stockwell tentò il suicidio. Non gli riuscì per due ragioni: era troppo pigro per organizzare per bene la propria morte e troppo vigliacco per convincersi che quella sarebbe stata, in effetti, la soluzione di tutti i suoi problemi personali, artistici e spirituali. Così, definire il suo un tentato suicidio, in fondo, è una bugia. Non trovò di meglio che entrare nel Labirinto, crearsi una nicchia nel tufo e vegetare, traendo linfa dalle sue ossessioni.
Lo incontrai quel giorno, mentre si scavava il giaciglio. Scambiammo due parole mentre lo aiutavo. Tutta colpa d'una donna, mi confidò, senz'aggiungere altri particolari.
Il 10 settembre dell'anno successivo fece capolino per un attimo nel corridoio. Era irriconoscibile per la barba e i capelli all'Abate Faria e per l'aria spettrale. Mi parlò ancora, confidandomi quanto amasse, nonostante il dolore, l'oggetto di tutti i suoi patimenti.
«Oggi tornerò fuori» mi disse mentre cominciava a correre. «Devo rivederla.»
Riuscì persino nell'impresa, ma dopo meno di tre mesi ricomparve tra noi.
«Dice che mi vuole bene ma non può amarmi, perché ama un altro. Vorrei morire.»
Riconquistò il suo cantuccio per sparire ancora per molto tempo.
Saltuariamente lo incontrai di mattina ai lavatoi. Era giunto alla conclusione che fosse meglio radersi, di tanto in tanto. Nel '96 mi diede da leggere una delirante poesia: un inno all'amore non corrisposto. Niente a che vedere con Evtuscenko, intendiamoci, ma quei versi finirono per turbarmi.
Riprendendo a scrivere, J.T. traeva un minimo di beneficio, tanto che cercò addirittura di socializzare. Qualche sera sedette accanto al fuoco con noi e parve convincersi che la storia del suo sventurato amore fosse poca cosa se paragonata al vissuto di gente come Kramer, per esempio.
Ripiombò nelle smanie ai primi di settembre del '96 e il 10 scomparve, puntualmente.
In aprile del '97 mi fu consegnata una sua cartolina.
«Ho ricucito lo strappo, ella mi ama di nuovo, finalmente!»
Ma in agosto ritornò.
«Niente, quando ti viene ridato è bello come quando t'è stato sottratto» mi disse.
Da allora, non ha più messo piede fuori dalla sua grotta. Sappiamo che è vivo perché lo si sente piangere.
Oggi davanti alla nicchia di J.T. s'è radunata una piccola folla. Speriamo tutti di rivedere quel nostro sventurato amico.
Verso sera, la tenda di tappi di birra che fa da uscio alla spelonca viene scostata da una mano nera per la sporcizia. Quel che abbiamo davanti è poco più d'un ectoplasma. Soltanto gli occhi ardono d'uno strano bagliore.
«Ci sono riuscito» dice Stockwell farfugliando le parole. «Ci sono riuscito» ripete. Poi, stramazza al suolo privo di vita.
Ha il sorriso della serenità dipinto sul volto. Tra le mani, un biglietto che reca i suoi ultimi pensieri:
«Vi prego, fate in modo ch'io venga seppellito in un campo di grano.»
«'Azzo » commenta Sabino. «Brutti tempi per li poeti: aière è morto 'Ucio Battisti e oje chistu ccà, povarielle. Chissà cchi ll'è passate ‘nta capa?»
Già, chissà?
(Che ne sappiamo noi, della poesia d'un campo di grano?)

[Continua]