Non dare soldi alla Chiesa
Il “sacro” è quella strana, impalpabile attitudine della mente, nata con le religioni, che dà ad argomenti, ad uomini, ad istituzioni, a cose ad esse in qualche modo attinenti, un crisma di intoccabilità, di indiscutibilità.
Con la conseguenza che chi critica, contesta o vuole modificare quanto è entrato nella dimensione del “sacro” è stato ed è ritenuto a seconda dei tempi, malvagio, nemico della religione, offensore di Dio, reietto della società ed anche meritevole di rogo.
Ma il “sacro” è solo una scorza esterna e terrena dei valori religiosi, difesa dalle oligarchie chiesastiche che di religione vivono e si ritengono, a torto, i soli ed esclusivi mediatori tra l’uomo e Dio.
E nel “sacro”, almeno in Italia, è entrato anche il patrimonio della Chiesa ed istituzioni correlate. Per cui non se ne deve parlare e tanto meno criticare il come è gestito.
Ma i fatti, incontestabili, sono i seguenti. La Chiesa di Roma ed enti correlati hanno patrimoni immensi che non si ha la dignità e la correttezza di comunicare a credenti e cittadini. Sono i più grandi proprietari immobiliari in Italia e nel mondo ed incassano quotidianamente cifre incalcolabili da utili del patrimonio e versamenti di credenti. E l’amministrazione di tale patrimonio è tutto fuorchè trasparente. I pochi dati pubblicati sono briciole e fumo negli occhi.
Non è mai successo che un ente religioso qualsiasi vendesse qualcosa per soccorrere indigenti o curare malati, nella stragrande maggioranza dei casi è con i soldi dei fedeli che si aiuta chi ha bisogno. Tempo fa l’Arcivescovo di Milano ha lanciato una campagna per ricevere soldi da destinare alle famiglie bisognose e si è ben guardato dal vendere qualcosa del cospicuo patrimonio della sua Diocesi che alcuni stimano, Ambrosiana esclusa, attorno al miliardo di euro.
E lo stesso succede non solo in tante Diocesi tutte molto ricche, ma anche per gli ordini religiosi, come per esempio i Francescani che, alla faccia del messaggio di povertà di San Francesco, hanno ricchezze da Paperoni che si tengono ben strette e che continuano ad aumentare.
Si può, pertanto, senza ombra di dubbio affermare che l’amministrazione dei soldi della Chiesa ed enti correlati è tutto fuorchè “cristiana”.
E, se così non fosse, non vi sarebbe che un modo per dimostrare il contrario: rendere pubblici fino all’ultimo centesimo patrimonio, utili, introiti vari e spese. Come fa ogni altra entità economica. Ma non succederà, come si può dedurre dal fatto che la Chiesa fa addirittura pubblicità televisiva per convincere i contribuenti a dare il loro obolo nella dichiarazione dei redditi, ma si guarda bene dall’informarli su come ha utilizzato quei soldi. Cosa che anche una bocciofila di periferia sentirebbe il dovere di fare per rispetto dei soci che hanno versato quote.
Allora, per riportare sul “retto cammino” le gerarchie religiose non resta che smettere di dare elemosine in chiesa, di elargire oboli, di lasciare eredità, senza farsi commuovere dall’obiezione che gli enti religiosi fanno del bene, perché lo fanno, nella stragrande maggioranza dei casi, con soldi nostri quando dovrebbero farlo, cristianamente, con soldi loro.
E con i soldi loro potrebbero anche dare più mezzi alle migliaia di meravigliosi uomini e donne di chiesa che, in parrocchie ed altrove, senza incarichi nelle gerarchie e spesso vivendo in situazioni di quasi indigenza, con sacrifici e dedizione, dedicano la loro vita a chi soffre ed ha bisogno.
Ettore Falconieri
twitter@ettorefalconier
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