O voto di preferenza o astensione
Con i referendum del '93 e '94 gli Italiani hanno deciso di volere i collegi uninominali per eleggere i loro rappresentanti e di non volere il finanziamento pubblico della politica.
I partiti, cosa inimmaginabile in altre democrazie, non ne hanno tenuto conto. Ed i Capi di Stato sono stati zitti venendo meno ai loro doveri di garanti della Costituzione. Avrebbero dovuto inviare un messaggio di fuoco a Camera e Senato con l’invito a rispettare il volere dei cittadini.
Ma questo, nessuno osa dirlo per la ridicola sacralizzazione nostrana del Capo dello Stato che, in democrazie ben meglio funzionanti della nostra, può essere criticato e contestato come è giusto sia consentito per tutti gli eletti. Ed anche per i non eletti come si può constatare per la Regina in Inghilterra ed in altri regni.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Dall’attuale legge elettorale, che anche gli stessi politicanti, che l’hanno voluta, hanno definito “porcellum” (autodefinendosi, così, essi stessi dei porcelli) si passerà tra poco ad un papocchio di legge ben studiata per consentire alla casta di mantenere le poltrone e continuare a fare guai, infischiandosi dei cittadini che potranno, forse, dare solo una piccola parte dei voti di preferenza.
Il contatto tra cittadini ed eletti è alla base di ogni democrazia.
Il candidato deve guadagnarsi la fiducia degli elettori del suo collegio, deve farsi conoscere e conoscerli, deve informarsi sui loro problemi e su quelli della zona in cui vivono esprimendo le proprie idee su di essi. Solo così il cittadino si sente rappresentato e può controllare l’operato del suo eletto in Parlamento e far sentire la propria voce se in disaccordo e se l’eletto non si comporta come dovrebbe. E non dandogli più il voto se non lo ritiene all’altezza. Tale situazione dà all’eletto anche una maggiore indipendenza dai partiti perché sono i cittadini e non il partito che gli danno un mandato, che gli conferiscono un potere.
I partiti devono essere solo mediatori, non attori.
Succede spesso in altre democrazie che l’eletto non voti come vorrebbe il partito su determinati argomenti quando sa che i suoi elettori la pensano in modo diverso.
Per l’attuale legge elettorale i cittadini sono degli estranei perchè gli eletti non hanno come referenti gli elettori, ma il partito che li mette in lista. I parlamentari non conoscono gli elettori, si disinteressano dei problemi che li riguardano. Se c’è qualche eccezione si tratta appunto di eccezione, come si vede anche dal comportamento di eletti, anche eticamente, non all’altezza del ruolo che se ne infischiano della pubblica opinione perché sarà il partito che li rimetterà in lista ed in una posizione nella lista tale da essere rieletto. Ben sapendo che gli elettori, se avessero il voto di preferenza per farlo, lo manderebbero a casa.
Il mandare a casa un eletto, perché indegno o perché ritenuto non più adeguato a rappresentare i cittadini, è anche un modo per rinnovare la classe politica evitando la sclerotizzazione attuale di parlamentari diventati, di fatto, inamovibili grazie ai partiti.
Tra le tante fregnacce di chi non ha che una rozza idea di cosa è una democrazia, abbiamo sentito anche quella di un presidente di gruppo parlamentare: ha dichiarato che la nuova legge elettorale deve comunque garantire la rielezione ai notabili di partito. Roba che, in ogni altra democrazia, comporterebbe la berlina e la cacciata a furor di popolo del reo.
Così stando le cose, se la nuova legge elettorale in fieri verrà partorita come pare alla data della presente, senza o con solo una parte degli eletti scelta dai cittadini, non resterà che l’astensione al voto, unico mezzo rimasto ai cittadini per manifestare contro la negazione dei propri diritti costituzionali.
L’astensione diverrebbe così un atto positivo e costruttivo perché ha un ben chiaro significato politico.
Ettore Falconieri
twitter@ettorefalconier
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