La compravendita di parlamentari va regolamentata
È ormai acclarato, senza ombra di dubbio, che il passaggio di parlamentari da un gruppo politico all’altro, contro riconoscimento di un ingaggio, è di grande utilità per la democrazia italiana, in quanto facilita la circolazione di idee, dà vitalità al parlamento, evita che il dibattito politico si svilizzi in schemi frusti, obsoleti e di routine. Anche perchè gli ingaggiati, noti alla collettività per la loro chiarezza di idee e per la loro severa coerenza, portano a chi li ingaggia un contributo positivo che non può non ripercuotersi positivamente sui lavori parlamentari.
Ma, ciò premesso, è evidente che, dato l’ingente numero di gentildonne e gentiluomini che cambiano casacca, tutto questo movimento, ora piuttosto disordinato e precario, va regolamentato nell’interesse del paese.
Per regolamentarlo sarebbe opportuno creare una commissione parlamentare ad hoc, costituita da membri dei due rami del parlamento ed eventualmente, per dare alla commissione un contributo di severa apolitica laicità, da rappresentanti della vita civile quali sindacalisti, funzionari di partito e parenti o famigli non eletti di leaders politici. La commissione potrebbe riunirsi in locali appositamente acquistati da uno dei due rami del parlamento ed ai membri verrebbe, doverosamente, concesso, anche come riconoscimento dell’importanza del loro ruolo, un rimborso spese, più automobile di servizio ed un secondo portaborse.
Le linee guida della regolamentazione potrebbero essere le seguenti.
Chi vuole cambiare casacca si iscrive in un apposito albo, non pubblico e tenuto sotto chiave a cura dei presidenti dei due rami del parlamento, allegando un sintetico curriculum nel quale vegono illustrate la carriera politica, le idee più brillanti di cui sono stati portatori e l’ingaggio desiderato, ingaggio che può assumere la forma di una somma di denaro, di una nomina a qualche carica anche al di fuori del parlamento o di un incarico remunerato per qualche parente o famiglio.
Poichè sono insite e connaturate al desiderio di cambiare casacca coerenza e desiderio di servire il paese, è evidente che costoro opererebbero in modo sempre corretto e lineare in qualunque partito venissero ingaggiati. Di conseguenza, è nell’interesse comune che venga proibita una trattativa tra le due parti in causa, potenziale ingaggiato e partito, e che il beneficio di ingaggiare i cambiatori di casacca disponibili sia offerto a tutti i partiti.
Pertanto, periodicamente, diciamo al termine di ogni trimestre, i presidenti dei due rami del parlamento rendono noti ai segretari di partito il contenuto degli albi e questi fanno l’offerta in busta chiusa. E, qualora un potenziale ingaggiato venisse richiesto da più partiti, si procederebbe a rilanci di offerta, in questo caso pubblica. Pubblica per doverosa trasparenza, ma anche come riconoscimento delle doti e del valore politico degli ingaggiati che, proprio per tali doti, sono così tanto richiesti.
Non è, tuttavia, da scartare una ulteriore positiva evoluzione della compravendita di parlamentari che potrebbe essere, a grandi linee, la seguente.
Prima di ogni votazione in aula, i segretari dei partiti fissano il prezzo di quanto sono disposti a pagare per un voto favorevole o contrario, con la possibilità di rilanci tra un partito e l’altro. Con il vantaggio che si potrebbe abolire stipendio e benefici accessori dei parlamentari che verrebbero sostituiti dalla monetizzazione del voto.
Ma anche con il vantaggio che l’assenteismo cronico di molti si azzererebbe.
Ma la democrazia italiana non è forse ancora abbastanza matura per pensare a questo.
Ettore Falconieri
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