Quotare in Borsa
i piccoli partiti
Oltre ai due grandi partiti ed alla Lega, vi sono in parlamento una mezza dozzina di partitini che, se si analizza la situazione con realismo, possono essere equiparati, a tutti gli effetti, a delle piccole attività imprenditoriali il cui titolare è il politico che li guida.
Infatti, non hanno programmi politici chiari, non hanno proposte innovative da sottoporre agli elettori, gestiscono solo il potere che il loro gruzzolo di voti consente, spesso facendo più chiasso di quello che il pudore dei loro pochi voti consentirebbe.
Potere che è rappresentato, al centro ed alla periferia, dalla possibilità di condizionare alleanze, di esercitare i piccoli ricatti del do ut des, di monetizzare il loro voto con contropartite varie. I loro ideali sono finiti da tempo nella spazzatura.
Ma quel potere ha anche un sostanzioso e variegato ritorno economico.
Perché vi è il generoso contributo dello stato, malgrado gli elettori abbiano votato a suo tempo in un referendum contro il finanziamento pubblico dei partiti.
Perché il loro giornaletto, dove vengono piazzati con benefici economici variegati, amici del giro e clienti vari, ha anch’esso un aiuto dello stato.
Perchè i loro eletti sono lautamente pagati da Camera, Senato ed, in varie forme, dalle amministrazioni locali.
Perché nella gestione del loro potere possono ottenere in enti vari nomine remunerate di spettanza politica.
Ed è anche per questo che sono spesso corteggiati da chi ambisce ad essere candidato, magari dando un contributo economico al partito che, anche con questo, può continuare ad avere una florida sopravvivenza.
Allora, trattandosi, a tutti gli effetti di enti imprenditoriali che vendono politica, seppure nel senso più deteriore, in cambio di soldi, non dovrebbe essere loro negata la possibilità di trasformarsi in società e di quotarsi in borsa.
Con evidenti vantaggi. Sottoscrittori delle azioni sarebbero inizialmente solo coloro che votano la società partito, ma se i titolari della società partito sono abbastanza abili da incrementare il flusso di denaro pubblico e distribuire dividendi, non mancheranno nuovi sottoscittori di azioni che, per aumentare la solidità economica della bottega, non negheranno il loro voto. Più voti rappresentano più potere politico, più capacità di ottenere introiti economici e, quindi, più dividendi.
Con l’ulteriore conseguenza che il titolo salirebbe in borsa attirando sempre più investitori elettori, per la gioia dei politici alla loro guida cui tanto stanno a cuore i destini del paese.
E non sarebbe da escludere l’ipotesi che, se l’operazione avesse successo, tutti gli introiti economici ottenuti dai vari eletti possano venir versati nelle casse della società partito stessa che contraccambierebbe assumendo a stipendio i suoi eletti con contratti a tempo determinato, quanto è la durata dell’incarico. Ma distribuendo bonus generosi a chi sarà più capace di generare cassa per il suo datore di lavoro.
Un voto legato ad un dividendo ha tutte le caratteristiche di durare lungo e perderebbero così ogni importanza, agli occhi degli elettori, inutili cianfrusaglie quali discorsi politici, alleanze, programmi.
Con la positiva conseguenza che i titolari del partito non dovrebbero più sprecare tempo per dialogare con gli elettori e potrebbero così concentrarsi sull'accapparramento di pubblico denaro.
Così, la vita dei piccoli partiti, che è di fondamentale ed indiscutibile utilità per la democrazia, sarebbe assicurata per molti anni.
Ettore Falconieri
efalconieri@bluewin.ch
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