Ascolti telefonici, beccaccioni e messaggi criptati
Coloro che vengono beccati al telefono a dire cose sconvenienti od a rivelare situazioni e comportamenti in violazione di leggi si meritano doppiamente le iniziative giudiziarie che vengono prese contro di loro. In primo luogo perché hanno compiuto, compiono o sono associati a reati, in secondo luogo perché sono dei beccaccioni ignoranti del fatto che, quando si hanno scheletri nell’armadio, non si parla di essi, apertamente, ad un telefono qualunque.
Nella più banale delle ipotesi il beccaccione avrebbe potuto dotarsi di telefoni criptati, regolarmente in commercio, i più semplici dei quali, tra l’altro, avvisano l’utente se la conversazione sta per essere intercettata.
Nascondere il contenuto di messaggi, è stata preoccupazione di sempre. E gli espedienti utilizzati sono stati e sono numerosissimi.
Nel sesto secolo avanti Cristo il greco Istieo, abitante in Persia, dovette inviare un messaggio ultrasegreto ad Aristagora, tiranno di Mileto. Affinchè non venisse intercettato dagli uomini dell’imperatore Dario, fece radere i capelli di un suo uomo, scrisse sulla pelata il messaggio e, quando i capelli furono ricresciuti, lo fece partire. Tale espediente aveva anche il vantaggio che il messaggio restava sconosciuto anche al latore, non potendo gli umani leggersi sulla zucca.
Forse, i tempi per imitare l’astuto greco sono un tantino lunghi per la nostra epoca. Allora il beccaccione, che non volesse dotarsi di telefono criptato, potrebbe seguire i consigli del Bramino Vatsyayana (IV secolo d.c.) che è l’autore del Kamasutra. Tanto più che le cronache ci hanno informati anche di telefonate dal contenuto amoroso, se non erotico.
Tra i sessantaquattro consigli del Bramino vi è anche il modo di criptare i messaggi d’amore. Si mettono in fila le lettere dell’alfabeto, sotto si mettono a caso le stesse lettere, la lettera che sta sotto a quella che compone la parola è quella che compare nel testo che diventa incomprensibile se non si conosce il codice usato che, naturalmente, deve essere conosciuto anche da chi il messaggio lo riceve.
Dati i tanti modi con i quali si possono mettere le lettere a caso nella seconda
riga, tale sistema può produrre un numero di codici pari a circa 400 seguito da 24 zeri.
Ma i consigli del Bramino vanno bene solo per messaggi scritti che potrebbero risultare scomodi a chi ha fretta di comunicare, allora il beccaccione potrebbe ricorrere al sistema usato dagli americani nella guerra del Pacifico contro i Giapponesi.
Poiché oltre a quelli della tribù nessuno conosceva il linguaggio degli indiani Navajo, alcune centinaia di essi vennero aggregati alle divisioni dei Marines per parlarsi tra di loro nella loro lingua, via radio, e comunicare quanto necessario. E poiché la loro lingua non aveva parole per definire il moderno linguaggio di guerra, si creò un codice di circa cinquecento parole nel quale una parola del linguaggio Navajo veniva associata ad un termine di guerra. Per esempio, le uova erano bombe, i veicoli anfibi rane e così via. I Giapponesi che intercettavano i collegamenti radio, naturalmente, non capivano un tubo.
In mancanza di Navajo, i nostri beccaccioni potrebbero ingaggiare extracomunitari che parlino, per esempio, oltre all’italiano,la lingua degli Uiguri od uno dei tanti dialetti africani. Naturalmente ce ne vorrebbero sempre due, uno a disposizione di chi parla, l’altro di chi ascolta.
Ma, forse, l’unico sistema per mantenere la massima riservatezza, è quello di seguire il consiglio di un grande saggio cinese: se non vuoi che si sappia cosa dici, stai zitto.
Ettore Falconieri
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