Era quasi sera.

  Il cielo rannuvolato lasciava trasparire solo in luce soffusa i riflessi del sole che tramontava, mentre grigi nembi si addensavano ad oriente. Passato il calore estivo, il lago, pallido e freddo, non era più solcato da scafi che lasciavano scie rese brillanti dal sole e le sue rive deserte non risuonavano più del vociare allegro di bagnanti e turisti.

  Ora, era mosso da una leggera brezza autunnale che muoveva le acque, acque che riflettevano in modo disordinato ed approssimativo rive e rocce circostanti, i cui profili tremolanti parevano fantasmi che incombevano minacciosi sulla vittima prescelta.

  Vittima ormai passiva e silente che, su una terrazza del lungo lago, attendeva il compiersi dell’oltraggio.

  Mentre una nebbiolina attenuava i colori del panorama circostante, infondendo una profonda tristezza nei pochi umani che si vedevano attorno. La tragedia era nell’aria.

  Ecco. Con l’occhio lucido di desiderio, l’abito disordinato, proteso verso di essa, in una postura goffa che metteva vieppiù in evidenza l’incipiente pinguedine, assaporava con bestiale impazienza il momento tanto atteso.

  Troppo vi aveva pensato, continuamente, spasmodicamente, da quasi un anno, quasi si trattasse di una vendetta.

  Ed ora, malgrado l’espressione quasi animalesca del volto, era felice. Sapeva che quanto si accingeva a fare lo avrebbe rilassato, che sarebbe stato un ottimo inizio di vacanza, seppur tardiva, perché il lavoro non gliela aveva consentita prima.

  E il rag Gianni Violenza si avventò, affamato, su un succulento pollo arrosto.

   Ettore Falconieri
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