Anche il Mondo Arabo ci ha insegnato qualcosa
Ogni popolo è fiero, in un modo o
nell’altro, dei periodi storici migliori del proprio passato e li cita, li ricorda, talvolta anche in contrapposizione con altri popoli, come dimostrazione di capacità, come affermazione di fierezza. Ma questo non succede per i popoli arabi nemmeno in questo momento storico in cui alcuni di essi tendono a contrapporsi alle democrazie occidentali. Forse perché sono divisi in tante nazioni, comunità e differenze dottrinali dell’Islam.
Eppure nei loro momenti di splendore, dopo le prime conquiste, successive alla morte di Maometto (632), nel bacino Mediterraneo e verso Oriente e dopo la nascita dei Califfati Abbasidi di Baghdad (750), hanno primeggiato in matematica, astronomia, medicina, filosofia e nel commercio quando il mondo cristiano era ancora racchiuso in sestesso e relativamente barbaro.
Qualche esempio.
Ad Alhazen (965-1039), considerato uno dei più importanti e geniali scienziati del mondo islamico, è attribuita, tra l’altro, la fondazione dell’ottica moderna.
Abdelazys, latinizzato in Alcabizio (? - 967) scrisse un famoso trattato (Introduzione all’arte dei giudizi delle stelle), molto apprezzato nell’Europa medioevale e rinascimentale.
Giabir Ibn Aflah al Ishbili (? - 1150) si dedicò in special modo alla trigonometria ed un suo teorema è ancora noto come teorema di Gerber.
Muhammad Ibn Jabir (858 – 929 ) fu astronomo insigne che compilò tavole relative al sole ed alla luna, accettate a lungo per la loro autorevolezza e tradotte in latino nel 1116 da Platone da Tivoli con il titolo “De motu stellarum”.
Mentre la parola “algoritmo” deriva, storpiata, dal matematico persiano al-Khwarizmi (Muhammad Ibn Musa, 780-850 ) che lo definì e che è considerato, tra l’altro, il padre dell’algebra.
I numeri arabi, vera rivoluzione, piattaforma e condizione indispensabile di ogni successivo progresso, vennero portati a conoscenza del nostro mondo nel 1202 da Lorenzo da Pisa, detto Fibonacci (ideatore della famosa sequenza) con il suo libro “Liber Abaci”.
Per non citare il più conosciuto Avicenna (980-1037) da molti considerato il padre della medicina moderna. E l’altrettanto noto Averroè (1126-1198), al quale si devono, tra l’altro, le traduzioni delle opere di Aristotele che in occidente erano state quasi dimenticate.
Il commercio arabo si estese verso l’Africa attraversando il Sahara e lungo le sue coste orientali, attraversò i mari per arrivare fino in India ed in Cina, alle quali portavano anche varie rotte terrestri, tra cui la famosa via della seta.
Mentre viaggiatori e commercianti cristiani si mossero molto dopo, numerosi mercanti e navigatori arabi anteriori al mille hanno lasciato resoconti dei loro peregrinare e viaggi, nonchè della geografia dei luoghi visitati.
Abou Zeyd Hassan e Soleyman, detto il navigatore, attestano nel nono secolo dei numerosi insediamenti commerciali arabi in Cina. Essi erano controllati da un Kadi nominato dall’imperatore. Le norme doganali erano severe, ma corrette. I carichi di merci in arrrivo venivano depositati in dogana e vincolati per sei mesi perché, dopo il pagamento di un dazio del 3.30%, l’imperatore aveva il diritto di acquistare la merce prima di altri, ma a prezzi di mercato. Se i commercianti arabi volevano viaggiare all’interno del paese dovevano chiedere un passaporto e ad ogni tappa presentarsi alle autorità.
Attorno all’ 880 Ibn Khordadbeh, direttore delle poste e della polizia, fu incaricato dal Califfo di redigere un manuale sulle principali strade commerciali con distanze, tappe, dazi, usanze delle popolazioni e sulla geografia delle regioni attraversate.
Anche con digressioni interessanti. Afferma, tra l’altro, che il mondo è rotondo come una sfera ed è situato al centro dell’area celeste “come il rosso dentro un uovo”.
E che la terra attrae verso il suo centro le cose alla sua superficie come la calamita attira il ferro. Cristoforo Colombo e la mela di Newton ci sarebbero arrivati tanti secoli dopo.
Il Khordadbeh afferma anche che il commercio tra l’Europa e l’Asia era in mano a mediatori ebrei che parlavano greco, latino, persiano, arabo, lingue franche, spagnolo e slavo. Solo con l’arrivo sulle varie piazze commerciali delle Repubbliche Marinare Italiane non ci sarà più bisogno di mediatori.
Se qualche editore arabo pubblicasse anche solo una sintesi di quanto hanno raccontato delle loro interessanti esperienze e vicende i numetrosi viaggiatori e mercanti anteriori al Mille, i lettori non mancherebbero.
Ettore Falconieri
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