Auguri a “il Mulino”
Il Mulino, la gloriosa rivista nata quasi sessantanni fa, ha deciso di rinnovarsi e di rilanciarsi. Ha rappresentato molto nella vita culturale italiana, ci si augura che così sia anche per il futuro.
Ed a tal fine non nuocerebbe se i suoi artefici prendessero nota di alcune realtà che non tutti gradiscono menzionare ed operassero affinchè qualche finestra venga aperta per fare entrare in un certo mondo italiano di quelli “che sanno” un poco di aria fresca. Affinchè coloro che si sono guadagnati il privilegio di essere letti ed ascoltati abbandonino la piazza dove si muovono tra capannelli variamente composti e salgano su un balcone per avere una migliore visione d’insieme.
E salire su un balcone potrebbe anche voler dire l’ offrirsi un periodo sabbatico in altre democrazie, per andarle a studiare da vicino, vivendo il quotidiano, ponzando giornali e riviste locali, cercando di capire le altrui politiche e modi di essere. E paragonandoli con i nostri. Arrivando forse alla conclusione che il mondo di alcuni di loro è un mondo autoreferenziale, spesso di taglio provinciale, dove ci si chiacchera spesso addosso tra inchini e contumelie, dove il filosofeggiare prevale sul fotografare la realtà, sull’interpretarla, sul proporre qualcosa di concreto per un migliore futuro.
E stando al balcone si potrebbe, forse, non ritenere del tutto peregrine le sintetiche riflessioni, tra le tante possibili, che seguono.
I commenti sulla politica nostrana che si leggono su giornali e riviste, nei quali il grande assente è l’elettore, sono sempre gli stessi da decenni, cambiano solo i nomi degli attori. Lo scalpiccio di questo o quello da una posizione politica all’altra, il cicaleccio e bisticcio continui, raccontati, commentati, teatralizzati, quali minestroni mai digeriti e ruminati in continuazione, sono irrilevanti per gli Italiani e per guardare con maggiore ottimismo al futuro. Dal balcone ci si potrebbe rendere conto che il paese è da tempo in mano ad una oligarchia partitica che ha tolto ai cittadini anche il diritto di scegliere i candidati. Oligarchia che ha come referente il proprio partito, il poprio gruppo politico e non più gli elettori ai quali non parla che raramente. Si parlano solo tra di loro. Ai tempi delle cosiddetta prima repubblica, prima del botto giudiziario, della corruttela si sussurrava, non se ne scriveva, ufficialmente non esisteva. Ora si sa tutto, se ne legge ogni giorno delle malefatte della casta che è così sicura del proprio potere che resta indifferente ad ogni critica, non prende iniziativa alcuna per apparire migliore ai cittadini. Di questo bisogna parlare, su come superarlo bisogna diquisire. Il disquisire sull’alleanza di questo con quell’altro, su cosa succederà al prossimo congresso del tal partito, il riempire pagine e pagine con il gallinaio politico mediatico quotidiano non serve al paese e non interessa i cittadini sempre più indifferenti alla politica.
In un paese democratico, le grandi riforme, non avranno mai l’unanimità, problemi così complessi non possono averla. Ma chi vuole essere guida intellettuale dovrebbe battersi affinchè su ogni grande problema da affrontare ci sia il massimo consenso possibile, affinchè ci sia collaborazione politica bipartisan per smussare differenze, superare contrasti, in modo che il risultato finale accontenti il maggior numero possibile di elettori. Ma una volta che la riforma è legge, voluta da una maggioranza eletta, è scorretto aizzare gli uni e gli altri contro questo o quell’aspetto della riforma, magari incitando a non rispettarla od irriderla.
In materia economica, continua l’ipocrisia del non tenere conto dell’economia in nero, stimata attorno al trenta percento, la più alta (paesi neoarrivati dell’est esclusi) d’Europa. Buona parte delle statistiche e rilevazioni economiche ufficiali del paese sono sballate, dal quelle sul Pil a quelle su occupati e disoccupati. Forse sarebbe il caso di tenerne conto in stime, previsioni, analisi e tanto altro e di battersi affinchè il nero diminuisca. Nero che è anche dovuto a fiscalità, a leggi ed a regolamenti faraginosi , vessatori e stolti.
Altro tormentone, luogo comune principe, campo di battaglia di osservatori seri e meno seri, è quello che bisogna fare di più per la cultura, per l’arte. E, come succede per i problemi del Mezzogiorno, da decenni si dicono e ponzano sempre le stesse cose. L’Italia è un vivaio, in villaggi, cittadine e città, di piccole iniziative culturali. Ci sono grandi mostre che fanno notizia nel mondo. Altre che creano lunghe code di cittadini in attesa di entrare anche per vedere un singolo quadro. Ci sono a profusione tavole rotonde, conferenze dibattito, incontri di studio. Abbiamo il più alto numero d’Europa di facoltà artistiche e culturali in atenei piccoli e grandi.
Compagnie teatrali, conosciute e meno conosciute, recitano in grandi teatri, ma anche nelle palestre, stracolme, di piccoli comuni. Il problema non è quello di “ fare più cultura” come è di moda affermare, ma quello di utilizzare meglio i mezzi disponibili, di razionalizzare iniziative, di evitare sperperi. Per sfruttare meglio l’immenso patrimonio artistico, per evitare situazioni di degrado, per rendere meno costoso l’accesso a manifestazioni culturali ed anche per consentire ad operatori di piccole dimensioni, come per esempio i piccoli editori, di far sentire la loro voce. Spesso, lo strillare che ci vogliono più mezzi per la cultura nasconde solo il desiderio di scroccare soldi, a stato ed enti locali, per iniziative che non di rado odorano di clientelismo, di fatuo campanilismo locale, di esibizionismo per primedonne mediocremente acculturate. Ed è triste constatare che nessuna televisione fa cultura, come invece faceva la Rai ai suoi inizi. Se ne fa pochissima nelle ore piccole, ma mai in prima serata quando potrebbe vederla la gente che lavora. E su questo ci sarebbe sì da strillare.
Dal balcone ci si potrebbe anche accorgere che i sindacati italiani sono i meno democratici rispetto a quelli di altre democrazie, che sono governati da una oligarchia non eletta che si autocoopta al potere, che non interpella i propri iscritti neanche per iniziative che riguardano tutti i lavoratori e l’intero paese, che vuole dire la sua su qualsiasi problema anche sostituendosi agli eletti dal popolo. Che hanno patrimoni immensi che sarebbe loro dovere rendere noti. E non sono regolmentati da leggi come impongono invano gli articoli 39 e 40 della Costituzione.
Infine dal balcone qualche coraggioso potrebbe anche incominciare a parlare dell’Opus Dei, affinchè si rompa il tabù sulla setta potente, tarlo pericoloso della nostra già precaria democrazia.
Gli Italiani, in tutti i campi, sono pieni di risorse individuali che non si sublimano tuttavia in risorse collettive, in unità di intenti. Contrapposizioni, bisticci, accuse reciproche, individualismi eccessivi sono il pane quotidiano. Dalla politica allo spicciolo vivere della collettività. Sarebbe un compito sublime quello di darsi da fare per ricreare una minima unità di intenti, per far rinascere un sentimento comune di valori condivisi. Comunque la si pensi politicamente, qualunque sia la visione dello stato in cui si crede, i valori condivisi sono utili e necessari all’interesse comune e quindi al benessere, materiale e spirituale, di ogni singolo cittadino.
Auguri di buon lavoro a “il Mulino”.
Ettore Falconieri
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