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Chierici, Chierichetti e Tabù
di Ettore Falconieri        


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Ginevra, 26 Febbraio 2009 - n. 1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7 - 8 - 9 - 10 - 11 - 12 - 13 - 14 - 15 - 16 - 17 - 18 - 19 - 20 - 21 - 22 - 23 - 24 - 25 - 26 -  27 - 28 - 29 - 30 - 31 - 32 - 33 - 34 - 35 - 36 - 37 - 38 - 39 - 40 - 41 - 42 - 43 - 44 - 45 - 46 - 47 - 48 - 49 - 50 - 51 - 52 - 53 - 54 - 55 - 56 - 57 - 58 - 59 - 60 - 61 - 62 - 63 - 64 - 65 - 66 - 67 - 68 - 69 - 70 - 71 - 72 - 73 - 74 - 75 - 76 - 77 - 78 - 79 - 80 - 81 - 82 - 83 - 84 - 85 - 86 - 87 - 88 - 89 - 90 - 91 - 92 - 93 - 94 - 95 - 96 - 97 - 98 - 99 - 100 - 101 - 102 - 103 - 104 - 105 - 106 - 107 - 108 - 109 - 110 - 111 - 112 - 113




Un Pizzico di Fantapolitica
col sorriso dell'ironia:

Il Burundi
attacca l'Italia

  La prima notizia arrivò sul continente e più precisamente a Zelo Buon Persico (Lombardia), in piena notte. Una nonna ne informò il nipote per telefono: truppe del Burundi stavano occupando l’isola di Linosa.
  Il nipote, sicuro che la donna fosse uscita di senno, cercò di prenderla alla larga facendola chiaccherare su vicende familiari, ma la nonna si prese un formidabile cappello mettendosi ad urlare che doveva crederle. Erano sbarcati di notte, avevano messo in condizione di non nuocere i pochi carabinieri del posto e stavano ammassando i quattrocento e più abitanti sulla banchina del porto minacciando di fucilarne alcuni se non si fossero presentati tutti.
  Il nipote non potè far altro che recarsi alla più vicina stazione e riferire ai carabinieri, assicurandoli, a sua volta, che non era uscito di senno. E, da comando a comando, la notizia arrivò tra risatine o sghignazzi al capo di stato maggiore che ne informò il Ministero della Difesa, degli Interni e degli Esteri. Che incaricò un funzionario di turno di fare una visita, con una scusa qualsiasi, all’ambasciata romana del Burundi, in corso Francia, per capire qualcosa. Ma l’ambasciata era chiusa, il telefono suonava invano.
  Anche se i contatti con Linosa parevano interrotti, l’argomento stava per fare la fine di un qualsiasi pesce d’aprile, quando, dalla Segreteria di Stato vaticana, arrivò un messaggio che non lasciava adito a dubbi.
  Su incarico del governo di Bujumbura, capitale del Burundi, paese prevalentemente cattolico, trasmetteva il seguente comunicato indirizzato al governo italiano.
  “Numerosi cittadini del Burundi si trovano in Italia senza permesso di residenza, lavorano in nero, sono sfruttati, sopravvivono a stento, pur contribuendo all’economia del paese ospite. La Repubblica Presidenziale del Burundi, libera e democratica, non può tollerare che suoi cittadini vengano trattati in modo così incivile e contrario al più elementare rispetto per gli esseri umani e chiede pertanto la concessione immediata dei permessi di residenza e la formalizzazione a norma di legge dei rapporti di lavoro per essi. Se entro dieci giorni ciò non fosse avvenuto, un pari numero di cittadini di Linosa sarebbe stato deportato in quella repubblica e costretto a lavori umilianti senza stipendio. Ma, se forze italiane avessero tentato di riconquistare l’isola, avrebbero fucilato un isolano all’ora.”
  Allegata la lista dei compatrioti irregolari presenti in Italia. Il Ministro degli Esteri propose di organizzare subito una unità di crisi, ma il Ministro della Difesa si oppose perché l’unità di crisi spettava a lui, eventualmente assieme al Ministro degli Interni, sostenendo che non si trattava di politica estera, ma di difesa militare del suolo patrio.
  La querelle venne portata all’attenzione del Presidente del Consiglio che, da astuto mediatore, propose un decreto legge del governo per autorizzare una unità di crisi formata da esponenti del governo, ma anche di rappresentanti delle varie forze politiche e sindacali. Ed iniziò a muoversi in questa direzione anche se il Capo dello Stato fece sapere di avere delle riserve, preferendo la convocazione del Consiglio Superiore delle Forze Armate.
  E prese corpo un costruttivo e, naturalmente, approfondito dibattito politico su come reagire.
  Esponenti della sinistra peroravano comprensione per la situazione dei poveri burundesi maltrattati nel Paese chiedendo l’immediata accettazione delle richieste. Politici di centro destra non negavano l’esistenza del problema umano, ma asserivano che non ci si poteva piegare a ricatti ipotizzando mediazioni della Nato o dell’Onu.
  Mentre esponenti delle Padania esigevano l’espulsione immediata dal Paese di tutti i senza permesso e uno di loro, noto per le sue colte e sfumate prese di posizione, sostenne che per i padani l’unico Burundi che contava era il “bur un dì” (burro di un giorno), che nelle valli bergamasche è così chiamata la produzione di una piccola zangola. Per cui propose bombardameni a tappeto su Linosa per annientare gli invasori, poco male se fossero stati uccisi anche isolani che, in quanto terroni, non erano molto dissimili dai negri.
  Centri sociali organizzarono marce a difesa dei burundesi oppressi. Sindacati, sempre favorevoli ad iniziative concrete, ventilarono uno sciopero generale di protesta.
  Nè mancò una presa di posizione della Conferenza Episcopale italiana che, pur usualmente restia ad intervenire sulle vicende interne italiane, volle sottolineare la fratellanza tra cattolici proponendo una mediazione vaticana.
  Nelle more del dibattito su come comporre l’unità di crisi alla quale molti aspiravano partecipare anche perché non potevansi escludere sostanziali gettoni di presenza, il Capo di Stato Maggiore della Difesa si chiese come diavolo avessero fatto le forze militari del Burundi ad arrivare dal lago Tanganica sino al Mediterraneo.
  Avendo l’Italia rinunciato da tempo a mire espansionistiche, la consistenza delle armate burundesi non era al vertice dei pensieri degli stati maggiori nostrani, così, si fece arrivare da Londra con volo speciale "The Military Balance 2009" (dell’International Institute of Strategic Studies di Londra) , il testo più autorevole sulle forze di tutti gli eserciti del mondo.
  Avevano, tra l’altro, due DC3 e due Cessna che, seppur vecchiotti, avrebbero potuto trasportare uomini e mezzi a nord e tre PHT (patrol Hydrofoil with torpedo) Huchuan, usualmente usati nel lago Tanganica, che avrebbero potuto arrivare sino a Linosa.
  Ma, si pensò, avrebbero potuto atterrare solo in Libia e da lì ripartire sull’acqua verso Linosa.
  Una veloce indagine dell’addetto militare a Tripoli confermò che militari burundesi avevano avuto il permesso di transito per motivi scientifici: volevano fare studi per paragonare la biologia marina del loro lago con quella del Mediterraneo.
  Lo stesso capo dello stato libico, sempre corretto ed affidabile, confermò che non si avrebbe potuto avere il minimo sospetto sulle reali intenzioni degli invasori di Linosa, data la nota propensione per lo studio della fauna marina dei suoi stati maggiori.
  Comandante della spedizione a Linosa era un generale che si era fatto le ossa come caporale nella Legione Straniera, ma i rapporti con la cittadinanza vennero affidati al suo capo di stato maggiore che aveva vissuto anni in Italia, quale ballerino ed animatore in una discoteca di Gesso Palena (Abruzzo).
  Buon comunicatore, cordialmente estroverso fu lui che parlò a tutti gli abitanti accalcati al porto.
  Si scusò per aver disarmato i carabinieri con modi alquanto bruschi e per aver convocato a forza gli isolani, dopo l’interruzione delle linee telefoniche ed il sequestro dei cellulari.
  Affermò che non avevano nulla da temere perchè non avrebbero messo in pratica le minacce del loro comunicato al Governo Italiano. La loro presenza sull’isola aveva solo scopi umanitari per i loro compatrioti per i quali chiedeva anche la solidarietà dei Linosiani.
  Come gesto di amicizia, offerse numerosi sacchi di arachidi, te e tabacco, prodotti della sua terra.
  Ma chiese volontari che stessero, a turno, legati nella zona del porto nel caso ricognitori controllassero la veridicità delle loro minacce.
  I volontari ci furono, l’atmosfera si rasserenò e si arrivò ad organizzare, tra l’altro, intrattenimenti serali durante i quali gli isolani impararono anche il tangaburu, tipica danza delle etnie che vivono attorno al lago Tanganica. Né mancò qualche flirt di donne libere con i possenti Bantù.
  A poche ore dalla scadenza dell’ultimatum burundese le forze politiche non si erano ancora messe d’accordo sulla composizione della unità di crisi.
  Per sbloccare la situazione, il leader di un piccolo partito si fece intervistare e, dopo faticosa guerriglia con pronuncia, grammatica e sintassi, riuscì ad esprimere in modo abbastanza comprensibile una clamorosa proposta: cedere l’isola e relativi problemi alla Russia contro la fornitura di gas per un anno.
  Gli ribattè piccato un sindacalista che era meglio cederla alla Cina contro una nave di giocattoli per i figli dei lavoratori licenziati od in cassa integrazione.
  Appena letta l’intervista sui giornali, l’ambasciatore americano in Italia informò allarmato il dipartimento di stato, spiegando la vicenda e terminando: questi qui rischiano di farci trovare basi navali russe o cinesi nel Mediterraneo.
  Sentito il Segretario di Stato, il funzionario di turno telefonò al presidente del Burundi, sua eccellenza Nkurunziza, informandolo che se i suoi uomini non avessero lasciato Linosa nel giro di ventiquattrore, gli Stati Uniti avrebbero fermato immediatamente i non trascurabili aiuti al suo paese.
  Salutati con calore da tutti gli isolani, che non si erano mai divertiti tanto, i legionari africani salparono rassegnati.

   Ettore Falconieri
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Ettore Falconieri, genovese, operatore finanziario a Ginevra, ha collaborato in gioventù con Giovanni Ansaldo alla redazione de Il Mattino di Napoli.
Ha pubblicato Il RITORNO DEI LUPI (Lombardi), una novella filosofica e ABBASSO I CHIERICI - Arringa di un incolto per una filosofia di tutti (Archinto).
In I CHIERICI SIAMO NOI - Le religioni dovrebbero fare un passo indietro (SeBook ed Ex Libris - Simonelli Editore) Falconieri ritorna, sulle riflessioni già sviluppate nel precedente «ABBASSO I CHIERICI». Nel 2009 Ettore Falconieri firma un nuovo eBook/ExLibris: «Non ci siamo annoiati» (Simonelli), la saga di una grande famiglia italiana nell'arco di quattro generazioni.

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