Lunga Vita
ai Sindacati
ma non ai nostri
In uno dei primi articoli di questa rubrica avevo scritto che se in Italia si critica la Confindustria si è accusati di essere contro la libera impresa. Se si criticano i magistrati di essere contro l’indipendenza della magistratura. Se, il giornalismo di essere contro la libertà di stampa. Se, il cattivo funzionamento della politica, di attentare alle istituzioni della repubblica. E, infine, se si criticano i sindacati, di essere contro i lavoratori e le loro libere organizzazioni.
E quest’ultima è l’accusa che si meriterà, da parte di alcuni, questo articoletto.
Il nostro Dna democratico, meno compiuto rispetto a quello di altri paesi, fa sì che personaggi od enti che hanno un potere od una responsabilità di rilevanza pubblica abbiano una qual allergia ad accettare critiche. Che ritengono, non una componente dialettica costruttiva, legittima da parte di ogni cittadino, che può contribuire
a migliorare l’istituzione, bensì un attacco alle loro persone od all’istituzione cui sono preposti od in cui operano.
I sindacati, sin dai loro difficili inizi nell’ottocento, nel corso della loro variegata storia, seppure diversa da paese a paese, hanno contribuito a tutelare diritti ed a migliorare il tenore di vita dei lavoratori, hanno stimolato il progresso economico, sono stati parte attiva nella maturazione delle democrazie verso società più giuste e tolleranti.
Ma ora che le nostre società sono delle democrazie compiute o quasi, nei quali i cittadini scelgono con il voto i programmi politici ed economici che ritengono migliori ed i candidati che paiono loro più capaci e convincenti per portarli a compimento, i sindacati devono limitarsi ai loro ruoli istituzionali di rappresentanza dei lavoratori per tutti i problemi relativi al lavoro stesso. Remunerazione, tutela dei diritti, contratti, condizioni ambientali, sicurezza.
E, pur nelle diversità della propria storia e del contesto economico politico dei loro paesi, è a questi ruoli istituzionali che si attengono, prevalentemente, i sindacati altrui.
Ma non i nostri. Che fanno continuamente politica, che si immischiano di cose che non li riguardano, alcuni legati più o meno blandamente a questo od a quel partito o corrente politica e quindi dipendenti più da essi che dal volere dei lavoratori. Mettendo pesantemente i piedi sui piatti altrui, forti del loro immenso potere economico, in parte non trasparente, forti della miriade di leggi e leggine approvate nel tempo, più a favore delle loro oligarchie ed apparati che dei lavoratori, e forti delle interconnessioni con tante istituzioni ed uffici dello stato nei quali si sono infiltrati come sanguisughe costando ai contribuenti italiani cifre da capogiro.
Facendosi forti anche della loro capacità di mobilitare folle che hanno lusingato per decenni propugnando rapporti di lavoro di soli diritti con qualche sparuto dovere. Folle che sono spesso composte prevalentemente da pensionati che accolgono con piacere l’invito sindacale di una manifestazione a Roma o altrove, cosa che significa per loro un piacevole gita a spese del sindacato che si fa carico di tutto.
Ed è tale la loro smania di condizionare tutto e tutti che hanno la vergognosa spudoratezza di mobilitare anche bambini come avviene per i problemi della scuola.
Ma l’aspetto peggiore, causa ed effetto di tanti loro comportamenti, è che sono i meno democratici di tutti gli altri sindacati europei.
I vertici si autocooptano al potere con procedure al confronto delle quali le nomine dei vertici ecclesiastici della chiesa di Roma parrebbero esempi di cristallina democrazia.
Chi ha responsabilità operative non è stato eletto dagli iscritti che vengono considerati solo masse amorfe utili a pagare l’iscrizione ed a fare massa per manifestazioni. Decisioni relative a scioperi, a linee guida per trattative con le controparti, ad approvazioni di ipotesi contrattuali non vengono sottoposte all’approvazione di coloro in nome dei quali dicono i muoversi: i lavoratori.
Certamente anche per questo, gli scioperi proclamati con troppa frequenza sono divenuti ordinaria amministrazione della vita sindacale, anziché essere un mezzo eccezionale al quale ricorrere in casi estremi se i lavoratori, che ne pagano il costo, sono d’accordo.
D’altronde, pare che, malgrado i loro ingenti mezzi, non abbiano neppure una struttura interna capace di organizzare votazioni che abbiano un minimo di serietà e correttezza.
Questa situazione è anche dovuta al fatto che gli articoli 39 e 40 della costituzione che li riguardano non hanno mai avuto concreta applicazione in disposizioni legislative. Quindi i sindacati nostrani operano, almeno in parte, al di fuori della legge.
Nessun movimento politico, di destra, centro o sinistra, ha mai avuto ed ha il coraggio di porre rimedio a questo stato di cose che è dannoso, prima di tutto, per i lavoratori che sono malamente e parzialmente tutelati perché troppe iniziative sindacali hanno motivazioni politiche e di potere.
Ma sono dannose anche per il paese perché interferiscono nell’operato di governi e parlamenti legittimamente eletti, ritardano od ostacolano il processo decisionale e costano caro a lavoratori e cittadini.
La situazione è ora tale che legiferare per mettere ordine nei sindacati e nei loro comportamenti non è solo opportuna, ma necessaria per il futuro del paese, oltre che dovuta da tempo perché lo vuole la costituzione della repubblica.
Non c’è molto da inventare, basta un minimo di buon senso.
Buon senso che, per esempio, potrebbe anche suggerire che i lavoratori sono evidentemente liberi di costituirsi in uno o più sindacati, ma anche più sindacati, coordinando tra di loro gli organi decisionali, devono presentarsi come un organismo unico alle trattative con le controparti e gli accordi presi devono impegnare ed essere rispettati da tutti. Anche se in un dato ente economico i ruoli di lavoro sono marcatamente diversi e rendono necessari sub accordi personalizzati a quei ruoli, tali sub accordi devono fare parte dell’accordo globale.
L’interesse e la tutela del lavoratore ha una valenza oggettiva, non varia da individuo a individuo a seconda della tessera del sindacato che ha in tasca o dal colore politico del sindacato cui è iscritto. Non ha senso, è ridicolo, che un sindacato nazionale firmi un contratto con la controparte, mentre un altro abbandona le trattative.
Assistiamo ora anche alla tragicommedia di grandi enti come, per esempio, le ferrovie dello stato in cui scioperano gli uni, ma non gli altri e quattro gatti del più piccolo sindacato possono paralizzare il tutto con enormi danni economici, a colleghi lavoratori ed al paese. Per non parlare di Alitalia.
Chi ha il coraggio di fare la prima mossa?
Potrebbe essere una inziativa bipartisan, ma se il primo passo lo facesse la sinistra, con lo scopo di migliorare la tutela e la rappresentatività dei lavoratori, i suoi promotori passerebbero senza dubbio alla storia.
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