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IL MANIFESTO di Carlo Federico

TERZA PARTE

Ricchi di tutto il mondo, unitevi!

21.

 

Dis-impariamo, leggiamo, cari amici. Vorrei suggerirvi alcune ulteriori letture, con l'ovvia premessa che voi non siete tenuti a essere d'accordo con le idee degli autori, e nemmeno a gradire gli argomenti, soltanto a conoscerli.

Per esempio, a proposito del fecal-capitalismo (siamo impegnati nel nostro discutere di Ricchi e Poveri, di Avere e Non Avere, di credenze utopiche per un mondo perfetto, analisi autorevoli condotte da incompetenti, e il capitalismo continua ad essere per molti il centro focale di discussioni interminabili fino a quando i neo-paracelsiani non saranno scomparsi e la preoccupazione dei secoli futuri per Essere non snobberà la nostra attuale sciocca concentrazione su Avere. Ma non dovremmo dimenticare, amici miei, che tutta quest'aria fritta intorno al Mercato, la distribuzione della ricchezza, il marxismo e relative violenze (compiute nei decenni scorsi per il bene del popolo) sono probabilmente argomenti che saranno studiati con meravigliata disapprovazione nei secoli futuri. La gente allora si domanderà perché questioni così ovvie abbiano causato tanto scalpore e casino in questa epoca, come noi ora ci domandiamo perché le crociate e altre stupide guerre sante fossero così centrali nella vita umana di otto secoli fa); a proposito del fecal-capitalismo non starei a raccomandarvi di tornare ad Adam Smith, Tocqueville, John Stuart Mill e Joseph Schumpeter (benché un tramezzino di Karl Popper potrebbe tirarci su). È soltanto importante che ci svegliamo e mai smettiamo di cercare.

Voi siete svegli abbastanza per sospettare che molti pasticci attribuiti al libero mercato sono forse dovuti alle mediocri prestazioni di chi è coinvolto nel processo, favoritismi, incompetenza, e anche vera corruzione: il casino super-caotico in Russia, lo scompaginamento dell'Indonesia, i madornali errori bancari dei Giapponesi, le tenebrose manovre della Lonrho di Tin Rowland, sciagurate decisioni o omissioni di potentissimi dilettanti della finanza e altre realtà scricchiolanti sono da prendere come modello cogente dell'idea di libero mercato? Ha ragione Robert J. Samuelson, che recentemente scrisse su Newsweek, dopo che il finto capitalismo russo andò a carte quarant'otto: «Molta parte del mondo semplicemente manca dei valori necessari al libero mercato. Avevamo creduto il contrario, ed ora dobbiamo pagarne il conto» - eh? Trovate da soli. Se volete leggere alcuni libri interessanti sull'argomento, eccoli:

«The Wealth and Poverty of Nations» (Ricchezza e Povertà delle Nazioni) scritto da David Landes, edito da Little & Brown, un libro che anche quell'eterno diffidente idealista, Ralph Dahrendorf, trova illuminante. Connesso in certa misura con le opinioni di Diamond su chi condurrà il mondo nel ventunesimo secolo, un sottile libretto di Robert Cooper, «Post-Modern State and the World Order» (Lo Stato Post-moderno e l'Ordine Mondiale), edito da Demos, mi sembra davvero molto intelligente. Ultimo ma non minore per importanza, a proposito dell'economia di mercato c'è «The Commanding Heights» (Le Alture Dominanti = da una celebre definizione di Lenin per indicare i pochi obiettivi strategici prioritari) scritto dai Pulitzer-premiati Daniel Yergin e Joseph Stanislaw, edito da Simon & Schuster, una analisi approfondita delle vittoria [temporanea?!] del Mercato contro lo Statalismo (orrenda parola), delle idee che hanno prodotto la più importante rivoluzione economica nella seconda metà del secolo. Qualcuno tra voi potrebbe anche ri-scoprirci Alfred Mueller-Armack e altri Ordoliberali di Ludwig Erhard, la gente che trasformò la sinistrata derelitta Germania del dopo-guerra in locomotiva della crescita economica europea.

(21.Continua)