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IL MANIFESTO di Carlo Federico

SECONDA PARTE

Ricchi di tutto il mondo, unitevi!

8.

 

Ebbene, amici miei, io non condivido le conclusioni della sfortunata vicina. Volete commentare, per favore? Io non credo che si tratti di poche persone decenti e di moltitudini di barbari. Infatti in questo secolo il nostro pianeta è affollato da gente con diversi gradi di sviluppo, economie differenti, abilità differenti, diversi livelli di informazione, differenti mentalità e tradizioni: simultanea presenza di civiltà, principii e credenze lontane secoli tra loro. Viviamo in qualche modo contemporanei a irrisolte situazioni economiche e psicologiche che i nostri antenati hanno risolto in passato per sé stessi, con l'inconveniente che i più arretrati hanno abbastanza armi moderne da preoccupare la mia infelice vicina, e l'invidia è il sentimento più diffuso sulla terra.
Soprattutto mi riesce difficile accettare la definizione «noi gente decente e disinteressata». No, amici, noi siamo soltanto egoisti in qualche altro modo, più brillante, più sottile, più "illuminato" e nobile, forse, dell'egotismo dei nostri colleghi-in-egoismo che vivono immersi in circostanze e mentalità in ritardo di alcuni decenni. Questi nostri rudi colleghi stanno soltanto cercando di arraffare, come essi (e noi stessi) hanno e abbiamo fatto per tredicimila anni, e perché mai dovremmo sprezzantemente considerarli più ego-centrici e avidi di noi? Non sono essi solo "egoisti" per sopravvivere, come sono i loro selfish genes, i loro egoisti cromosomi, come i nostri stessissimi cromosomi sono stati per migliaia di anni, durante l'ascesa del Terzo Scimpanzè a cui capitò l'avventura di svilupparsi in noi stessi? Non vi sembra inappropriato, provinciale e ingiusto, giudicare quelle persone un po' in ritardo nel tempo (cioè presentemente non-aggiornate con le opportunità che noi abbiamo a disposizione) attraverso una lente deformante di marca occidentale a proposito dei loro atteggiamenti "barbari"?

Tamdiu discendum est, quamdiu vivas: mai troppo vecchi per imparare. Ma noi possiamo cercare qualcosa di più eccitante: vogliamo scoprire come dis-imparare! Siamo stati imbambolati dalla nostra infanzia, molta della confusione in cui ci troviamo è conseguenza diretta della Saggezza Comune, del cosiddetto buon senso, di banalità e luoghi comuni che abbiamo inalato per anni. Tutta la vita hanno cercato di persuaderci a non essere egoisti. Questo è solo il primo esempio di una più vasta confusione. Hanno congegnato un sistema di pregiudizi che consistono proprio nel labirinto in cui siamo. Il nostro principale problema non sono i barbari casarecci che scippano le vecchiette nelle nostre città o brandiscono fucili automatici e slogan anti-occidentali a poche ore di volo da qui. Il nostro problema è il nostro sonnambulismo.

Svegliamoci, amici! Sveglia! Prendiamo le banalità per quel che sono, banalità; e la Sapienza Popolare per quel che è, popolare. Ho trovato in un libro un grande aiuto per apprezzare meglio quanto il nostro io interiore sia stato preso in giro con erratiche credenze: il libro è «AWARENESS» scritto da Anthony De Mello, pubblicato la prima volta nel 1990 da Image Books - Doubleday, New York. È stato tradotto con il titolo «Messaggio per un'Aquila che si crede un Pollo» e stampato, credo, da Piemme. Affrettatevi ad acchiapparlo prima che esca dalla circolazione.

De Mello era un ex-gesuita nato a Bombay (probabilmente troppo spiritoso e in gamba per essere digerito dai suoi superiori che certamente nutrirono serie perplessità per il suo sincretismo di messaggi di Khrishna, Gautama-Buddha e Jehoshua-Gesù= forse anche da qualche inquietante, non troppo dissimulato brano di conoscenza tratto dagli scroll di Nag Hannadi) e il suo comunicato è semplice, terso ed esplosivo: la maggior parte di noi siamo robot sonnolenti programmati per vivere una vita letargica e infelice regolata da pregiudizi distillati attraverso i secoli. Se riusciamo a svegliarci alla nostra vera situazione, troveremo spontaneamente la felicità. Perché, dice De Mello, abbiamo da aggiungere proprio niente a noi stessi, per essere felici.

Dimenticate ogni esortazione a fare qualcosa per ottenere la felicità. Non ha senso cercare qualcosa che abbiamo già. Non c'è da fare niente. Noi siamo tutti felici, se soltanto sappiamo scoprire noi stessi. Siamo imbambolati dall'infanzia e la maggior parte di noi rimangono sonnambuli tutta la vita. Ma i bambinetti piccoli SONO felici ( nella spontaneità del loro comportamento, che implica "ragionevole" egoismo onestamente accettato, come buon-senso-dei-cavalli [non so tradurre quella gemma anglosassone "horse-sense"]) fin che qualcuno non li costringe alla stupidità di schemi comunemente accettati. E allora diventano robot ipnotizzati: basta premere un certo pulsante e potete prevedere le loro reazioni. La felicità è riconoscere le nostre illusioni, che ci sono state incollate addosso con etichette differenti. Felicità non è acquisire qualcosa: è liberarsi di qualcosa, buttare la zavorra delle illusioni e delle etichette con cui ci siamo identificati. De Mello racconta l'apologo di un'aquila che era convinta di essere un pollo, perché l'uovo fu messo tra quelli di gallina, e tutta la vita pensò a sé stessa come pollo. Sveglia! Non date a retta a coloro che dicono: «Dimentica te stesso. Vivi amando gli altri». De Mello scherza bene su questa mostruosa pretesa. Non dimenticate mai voi stessi, per favore. Siate onestamente sinceri con voi stessi, arrivate a conoscere onestamente voi stessi, AMATE VOI STESSI e poi sarete in grado di aiutare gli altri: con la lucidità che soltanto razionale conoscenza dei processi dentro di noi può dare.
C'è probabilmente un bel po' di zavorra da scaricare: perché per anni siamo stati emotivamente legati alle nostre etichette e illusioni, tra queste l'illusione di diventare perfetti vincendo il nostro egoismo. E poiché le emozioni offuscano il nostro io razionale, noi giudichiamo attraverso le nostre emozioni, le tradizioni istillate in noi, raramente cerchiamo di capire, quasi mai ammettiamo di esserci sbagliati: ci siamo innamorati non di persone o di teorie, ma della nostra opinione sentimentale su di esse, percio' mai vorremmo ammettere di esserci sbagliati. Mai capiremo, mai saremo consapevoli, fin che non siamo capaci di dis-imparare.

Be', naturalmente non siete tenuti ad accettare la diagnosi di De Mello: io vi sto soltanto raccontando cosa ho trovato, ma dovrete elaborare da soli le vostre conclusioni. I tipi migliori lo fanno da soli, a prezzo di un po' di stoicismo da parte degli amici che devono sopportare il loro eureka: il guaio con i self-made men, le persone che si fanno da sole, è che tendono ad adorare il loro creatore.

Se comunque mi permettete di elencare alcuni altri libri che mi aiutarono a dis-imparare un bel po', eccoli: «The Rise and Fall of The Third Chimpanzee» (Ascesa e Decadenza del Terzo Scimpanze), scritto da Jared Diamond, edito da Vintage, libro da ricercatore universitario scorrevolmente leggibile e intrigante (non so se sia tradotto in italiano); poi alcuni volumi di Richard Dawkins: «The Selfish Gene» e «The Extended Phenotype» (entrambi editi da Oxford University Press = chissà se tradotti in italiano?) poi «The Blind Watchmaker» (edito da Penguin Books) e «River out of Eden» (Phoenix). Se siete curiosi di gustare un approccio scientifico all'egoismo darwiniano vorrei citarvi «The Astonishing Hypothesis» scritto da Francis Crick (il vincitore, insieme a James D. Watson, del Nobel per la scoperta della struttura molecolare del DNA), edito da Simon & Schuster.
Per dis-imparare ulteriormente ho letto «The Origins of Virtue» di Marr Ridley (Penguin Books), una delle letture più provocatorie, probabilmente, intorno alla razionalità dei comportamenti e molto altro. Non è soltanto il vecchio guardaroba del Dilemma del Prigioniero: si va giù per le trippe fino al Modello di Impegno e alla "virtù" come istinto indotto socialmente. Infine, leggerete che invece di predisporre istituzioni disegnate per ridurre l'egoismo umano attraverso norme emanate dall'alto, forse si potrebbe arrivare a immaginare un ambiente illuminato in cui virtù quasi-augustine sarebbero un prodotto collaterale dell'egoismo.

(8.Continua)