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Quando leggere è un piacere
e una autentica passione
    
Milano, 17 Dicembre 2010

L’uomo oggetto
di Bret Easton Ellis

  È un libro che a me non è piaciuto. Questioni di gusto. Non è il mio genere. Eppure consiglierei a tutti di leggerlo, perché è destinato a rimanere. Non c’è dubbio che siamo davanti a un ritratto di un’epoca che nel 1991, quando il romanzo è stato pubblicato, andava a cominciare e nella quale oggi siamo immersi fino al collo. Resta il fatto che per me i romanzi sono un’altra cosa.
Mettiamola così: ho la massima stima per “American psycho” e per Bret Easton Ellis che ne è l’autore, ma non riuscirò mai ad amarli. E come potrei amare quel Patrick Bateman, il protagonista della storia, un uomo oggetto in tutto e per tutto. Un broker finanziario di Wall Street, il prototipo dello yuppie anni Ottanta di successo; un ragazzotto di neanche trent’anni che fa soldi a palate, ma che vive una non vita di plastica. Un manichino ricoperto dalla testa ai piedi di griffe firmate, abiti, cravatte, scarpe, che frequenta esclusivamente locali alla moda con una compagnia di amici suoi simili, tutti sniffatori di coca a gogo, circondati da ragazze vuote e dementi quanto loro se non di più. C’è da dire che lo stesso Bateman, anche se lui non lo ammetterebbe mai, si rende conto del nulla esistenziale in cui si muove, perché, tanto per tirasi un po’ su, ogni tanto si chiude in casa e si mette a torturare e a fare letteralmente a pezzi qualcuno. In quei momenti, che in realtà si protraggono per ore e ore, mette da parte il mondo di panna montata che di solito lo circonda e dà sfogo a tutte le sue ossessioni represse. Un modo come un altro per sentirsi vivo.
La trama del romanzo è tutta qui. In questo continuo alternarsi tra la vita pubblica del protagonista, finta, plastificata, e quella privata in cui si trasforma in uno spietato serial killer. E Bret Easton Ellis, l’autore, non ci fa mancare niente. Ora ci descrive per pagine intere in modo dettagliatissimo l’abbigliamento di Bateman e gli oggetti di cui si circonda, con tanto di una minuziosa citazione delle varie marche, una più prestigiosa dell’altra. Ora passa a raccontarci, anche qui per pagine e pagine, gli omicidi sadici di Bateman; un vero e proprio campionario di delirante macelleria, di cui non ci viene risparmiato nessun dettaglio macabro. Per parte mia, devo confessare che sono arrivato alla fine del libro senza riuscire a capire se trovavo più noiosi quegli infiniti elenchi di griffe internazionali oppure quelle altrettanto infinite serie di nefandezze psico-porno-sado-maso e chi più ne ha più ne metta. Che volete vi dica, De gustibus…
Ho faticato ad arrivare alla fine del romanzo, però devo ammettere che “American psycho” è molto di più della storia di un depresso maniaco omicida. È il libro che per primo a messo a fuoco quel vuoto pneumatico che nel corso di questi ultimi venti anni è diventato sempre di più il nostro habitat naturale, volenti o nolenti. Non ce ne rendevamo conto, ma non eravamo di fronte a un semplice ricambio di abitudini e di mode, stava nascendo la società dell’apparenza. Allora lo stile di vita di Patrick Bateman forse era ancora eccentrico, oggi è diventato la normalità. Quelle che potevano sembrare delle ossessioni estetiche oggi fanno parte del gusto comune; come si suol dire, sono state sdoganate.

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Silvano Calzini

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  Silvano Calzini, milanese, laureato in Scienze politiche, terminati gli studi ha iniziato a lavorare come redattore editoriale presso varie case editrici. Oggi, cinquantenne, si è lasciato alle spalle l’entusiasmo iniziale, ma non l’amore per le buone letture, Londra, certi silenzi e altro ancora.  









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