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Quando leggere è un piacere
e una autentica passione
    
Milano, 21 Giugno 2010

L’ America
di Theodore Dreiser

  Da quando è stato pubblicato, nel 1925, è al centro del dibattito letterario. La questione intorno alla quale critici ed esperti del settore si accaniscono è se siamo di fronte al tanto favoleggiato “grande libro” della letteratura americana o no. Per intenderci, il testo fondativo e alla base di una letteratura nazionale. Quello che “I promessi sposi” rappresenta per l’Italia, o il “Don Chisciotte” per la Spagna. Confesso che il dibattito mi lascia del tutto indifferente. Una cosa però non me la toglie nessuno dalla testa, soprattutto dopo avere riletto il romanzo a distanza di parecchi anni dalla prima volta
.   “Una tragedia americana” è un romanzo così americano che più americano non si può. Il suo autore, Theodore Dreiser (1871 – 1945), in quelle mille e passa pagine ha messo dentro veramente tutto quello che caratterizza e marchia a fuoco, nel bene e nel male, un grande Paese come gli Stati Uniti. Anche lo stile in cui è stato scritto, contraddittorio, farraginoso, a volte arruffato, a mio parere è l’immagine sputata dell’ America, con il suo sviluppo impetuoso e spesso incontrollato, generoso e selvaggio, così diverso e lontano dalla vecchia Europa.
  La trama del romanzo è presto detta: il giovane protagonista, Clyde Griffths, che sogna ricchezza e prestigio sociale, dopo aver lavorato lasciato la propria famiglia di predicatori, si trasferisce prima a Kansas City e poi in una piccola città dello stato di New York per lavorare in una fabbrica. Si lega a giovane operaia, Roberta, ma contemporaneamente si innamora di Sondra, figlia della buona borghesia e che gli appare quasi irraggiungibile per la posizione sociale che occupa nella piccola città. Roberta gli rivela di essere incinta e Clyde temendo che la ragazza possa impedirgli di realizzare il suo miraggio di ascesa sociale, decide di ucciderla: la porta in barca sul lago, ma al momento decisivo esita a mettere in pratica il suo piano. Però la barca si rovescia e Clyde si salva lasciando che la ragazza anneghi. Accusato di omicidio, viene processato e condannato a morte.
  L’ultima parte del libro segue la sua lunga agonia nella cella della morte, nella vana e tormentosa attesa di una grazia che non arriverà mai.
  C’è veramente tutto: il puritanesimo bigotto, la ferocia del capitalismo, l’insopprimibile individualismo, la sfrenata ambizione sociale, il sistema giudiziario ottuso, i miti del denaro e di un Paese dalle mille opportunità. Leggerlo è come fare un corso accelerato sulla società americana. Quella che abbiamo imparato a conoscere a spizzichi e bocconi attraverso tanto cinema, dai film western a quelli sulla malavita, con quei personaggi e quelle avventure che non potrebbero essere ambientate in nessuna altra parte. Poi, come in tutti i grandi libri, ognuno ci trova anche quello che vuole. A me, per esempio, è piaciuta in modo particolare tutta la ricostruzione del processo al protagonista.
  C’è il presidente in toga seduto nel suo scranno con il martelletto, l’imputato, i vari testimoni chiamati alla sbarra, le personalità degli avvocati dell’accusa e della difesa. “Vostro onore mi oppongo alla domanda”, “Opposizione accolta” oppure “Opposizione respinta”. Fantastico. A un certo punto non capivo più se stavo leggendo un romanzo o stavo vedendo uno di quei telefilm ambientati nelle aule di un tribunale americano.
  “Una tragedia americana” è stato interpretato come una critica spietata al sistema americano e non c’è dubbio che uno degli obiettivi di Dreiser era quello di tirare fuori i mali di una società per molti versi spietata. Ma, a mio parere, sarebbe un peccato utilizzare il libro solo per confermare o meno i nostri pregiudizi. Molto meglio prenderlo come uno straordinario viaggio nell’America profonda, con i suoi grandi orrori e i suoi grandi ideali.


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Silvano Calzini

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  Silvano Calzini, milanese, laureato in Scienze politiche, terminati gli studi ha iniziato a lavorare come redattore editoriale presso varie case editrici. Oggi, cinquantenne, si è lasciato alle spalle l’entusiasmo iniziale, ma non l’amore per le buone letture, Londra, certi silenzi e altro ancora.  









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