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Quando leggere è un piacere
e una autentica passione
    
Milano, 21 Febbraio 2010

Witold Gombrowicz,
il funambolo tragico

  Sono sicuro che Montanelli avrebbe fatto ricorso alla stessa definizione che aveva usato per Leo Longanesi: “uno che sghignazza per non piangere”, e avrebbe colto nel segno anche questa volta. Sì, perché leggendo Witold Gombrowicz (1904 – 1969) si ride parecchio. La raffica di trovate, allusioni, caricature tutte condite in una salsa agrodolce sarcastica e pungente è travolgente, ma non è altro che un urlo disperato per difendersi dalla stupidità dilagante.
  Basti pensare a “Ferdydurke”, il suo romanzo migliore, pubblicato nel 1938. Nato come risposta al clima insopportabile che si respirava in Polonia tra le due guerre, è tuttora attualissimo. Detto in breve, per Gombrowicz “nel mondo moderno, teso verso il progresso, tutta l’umanità si va bambinizando”, la sua ossessione è l’immaturità dilagante, il regresso verso l’infantilismo della società moderna. Letto con gli occhi di oggi, non c’è che dire, Gombrowicz aveva visto lontano.
  “Ferdydurke” ha un inizio che ricorda molto “La metamorfosi” di Kafka. Il protagonista è un trentenne che una mattina si sveglia e scopre di essere tornato adolescente e si trova catapultato indietro ai tempi della scuola. Gombrowicz si diverte a presentare a getto continuo una serie di personaggi e facce grottesche. Leggendolo a me è venuto in mente Fellini con la infinita galleria di “mostri” presenti nei suoi film. Dalla scuola il protagonista di “Ferdydurke”, a proposito il titolo non significa assolutamente niente, finisce ospite di una famiglia “moderna” e “progressista” dove impera una signora che fa sfoggio di un insopportabile giovanilismo per dimostrare di essere al passo dei tempi e sbandiera di continuo i suoi ideali umanitari e liberali. L’ambientazione è quella degli anni Trenta, ma è un ritratto sputato di quel mondo radical-chic che dobbiamo sopportare anche noi oggi. Infine il nostro eroe, rieducato al verbo del conformismo, va verso le masse proletarie, infatuato dalla “bellezza” della vita povera e semplice della servitù, “bellezza” che come ovvio vede solo lui che della povertà vera non sa niente. Avete presente i miti terzomondisti che ogni due per tre affascinano e conquistano le anime candide della nostra buona borghesia? Ecco, siamo da quelle parti.
  Un romanzo divertentissimo e di grande attualità dunque, ma il surreale fuoco d’artificio continuo di Gombrowicz è molto più di un semplice divertissement. Nasconde una visione lucidissima delle tragedie a cui sarebbe andata incontro la società europea nel corso del Novecento. Aveva capito benissimo che quell’umanità infantile era pronta a gettarsi tra le braccia di ogni ideologia e di ogni totalitarismo. Ma il suo sguardo volava anche più alto, fino ad assumere una visione tragica dell’esistenza umana. Il grande male all’origine di tutto sta nell’incapacità dell’umanità di sfuggire ai condizionamenti imposti dalla società e a cui tutti ci adeguiamo in modo conformistico per paura di non essere accettati. Tutto è finzione e il mondo non è altro che una mascherata. Gombrowicz definisce questo grande male la “forma”, contro cui ha lottato per tutta la vita, ma rendendosi tragicamente conto che l’uomo ha ormai abdicato e rinunciato per sempre alla vera libertà.
  Una piccola avvertenza. Leggete “Ferdydurke”, poi alla fine fate come dice lo stesso Gombrowicz nella prefazione all’edizione argentina del libro e spargete la voce:

“Forse passerà inosservato, ma sicuramente qualche amico si sentirà obbligato a dirmi una o due frasi di quelle che si dicono sempre quando un autore pubblica un libro. Vorrei chiedere loro di non dire nulla … Sì, tacete, ve lo chiedo per favore … se ci tenete proprio a dire che vi è piaciuto quando mi incontrate muovete semplicemente l’orecchio destro. Se vi toccate quello sinistro capirò che non vi è piaciuto, se vi toccate il naso vorrà dire che il vostro giudizio e così-così. Con un lieve e discreto cenno della mano vi ringrazierò per il riguardo dimostrato nei confronti della mia opera e così, evitando situazioni imbarazzanti e ridicole, ci intenderemo i n silenzio.
Tanti saluti a tutti.”


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Silvano Calzini

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  Silvano Calzini, milanese, laureato in Scienze politiche, terminati gli studi ha iniziato a lavorare come redattore editoriale presso varie case editrici. Oggi, cinquantenne, si è lasciato alle spalle l’entusiasmo iniziale, ma non l’amore per le buone letture, Londra, certi silenzi e altro ancora.  









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