Quando leggere è un piacere e una autentica passione
Milano,
19 Novembre 2008
Nell’inferno di Julien Green
Siamo tutti peccatori. Ergo, siamo nati per soffrire. Mettetevelo bene in testa fin dall’inizio e vedrete che vi troverete bene.
Non sto scherzando, anzi parlo seriamente.
Non fosse altro perché mi sto riferendo alla lettura di “Leviatan”, un romanzo di Julien Green (1900-1998) che è una vera e propria discesa negli inferi dell’animo umano. Figlio di genitori americani, ma nato e sempre vissuto in Francia, Green giovanissimo si convertì dal protestantesimo al cattolicesimo e la questione religiosa ha segnato tutta la sua opera. Leggendo i suoi libri, per molti versi si ha l’impressione che Green abbia sempre scritto, e forse anche vissuto, sotto l’ombra incombente del peccato. Un tormento continuo che assilla i suoi personaggi senza lasciare loro un attimo di pace.
“Leviatan”, il suo romanzo più significativo pubblicato nel 1929, racconta la storia di tre ossessioni: l’amore folle di Guéret, il protagonista, per la bella lavandaia Angele; la divorante curiosità della signora Londe per carpire i segreti dei clienti della sua locanda; la demoniaca frenesia di rivalsa della signora Grosgeorge così simile a Madame Bovary. Tutto imperniato sulla forza demoniaca della passione che spinge in modo ineluttabile verso il male.
Tutti i personaggi che popolano questa storia ambientata nella sonnacchiosa provincia francese sono mossi da istinti e desideri insoddisfatti. Agiscono in modo irragionevole, sembrano quasi degli automi mossi da un furore che domina le loro coscienze, da una forza ancestrale che li guida verso l’abisso. Ne viene fuori un panorama della vita e della condizione umana che toglie il fiato, a dir poco terrificante. La violenza cieca e allucinata di Guéret non è altro che una reazione disperata e irrazionale a un dolore esistenziale insopportabile.
Questa visione cupa e pessimista è l’altra faccia della intensa fede religiosa di Green, che descrive questa specie di inferno in Terra proprio per mettere in risalto il bisogno di Dio. Se la salvezza e la felicità non sono di questo mondo, le si possono trovare solo altrove.
Il finale è emblematico in questo senso, nella visione della morte come liberazione: “Il mondo svaniva come un brutto sogno; della vita di quaggiù restava solo il dolore che ancora le martoriava le carni e anche quel dolore si faceva più sordo, gli ultimi vincoli si spezzavano. Nell’estrema confusione in cui erano per lei tutte le cose della terra, appena le giungeva il suono delle parole umane, ma già non ne capiva più il senso. Già gli occhi si fissavano nella visione che i morti contemplano per sempre”.
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Silvano Calzini, milanese, laureato in Scienze politiche, terminati gli studi ha iniziato a lavorare come redattore editoriale presso varie case editrici. Oggi, cinquantenne, si è lasciato alle spalle l’entusiasmo iniziale, ma non l’amore per le buone letture, Londra, certi silenzi e altro ancora.
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