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di Silvano Calzini

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Quando leggere è un piacere
e una autentica passione
    
Milano, 17 Gennaio 2008

Boris Pasternak,
l’ultimo gigante

  In una fredda serata di dicembre ho ripreso in mano dopo tanti anni “Il dottor Zivago” e non me ne sono staccato più fino alla fine. Un romanzo meraviglioso che ti prende in modo assoluto e ti porta via tra le sue pagine, all’inseguimento del grande amore impossibile tra Zivago e Lara, tra le sconfinate distese di neve della immensa Russia e attraverso la poderosa e terrificante storia di quel Paese. Guerre e rivoluzioni, baci e lacrime, nascite e morti, che mi hanno emozionato come non mi accadeva da tempo.
  La pubblicazione del libro nel 1957 in prima mondiale da parte della Feltrinelli suscitò un caso politico, culturale e diplomatico ancora oggi non del tutto chiarito e che comunque fece epoca. Basti dire che il romanzo ebbe un grande successo e nel 1958 a Pasternak venne conferito il Nobel per la letteratura, premio che però lo scrittore non andò a ritirare per timore che gli fosse impedito di rientrare in Russia. I suoi connazionali poterono leggere il libro solo nel 1988.
  Splendida la figura di Boris Pasternak (1890 – 1960), cresciuto in una famiglia di artisti, appassionato di musica e poeta di valore assoluto. Entrato ben presto in rotta di collisione con il “realismo socialista” imperante in Unione Sovietica, decise di lasciare Mosca e di ritirarsi in campagna dove scrisse “Il dottor Zivago”, il suo unico romanzo. Dopo la pubblicazione italiana dell’opera, Pasternak venne espulso dall’Unione degli Scrittori, accusato di tradimento, minacciato di venir privato della cittadinanza sovietica e di venir espulso dal Paese. Quelli che avrebbero potuto essere i suoi anni più felici si trasformarono in un periodo molto triste, vissuto dallo scrittore con grande dignità nella povertà e nell’isolamento, sotto l’assiduo controllo del KGB. Il romanzo racconta le vicissitudini del medico e poeta Jurij Zivago che in piena rivoluzione bolscevica fugge da Mosca con la moglie e il figlio piccolo per rifugiarsi in una cittadina degli Urali dove incontra Lara, una crocerossina e se ne innamora. Zivago viene catturato dai partigiani rossi e obbligato a seguirli abbandonando la famiglia. Quando riesce a fuggire viene a sapere che la moglie si è trasferita all’estero, ma incontra nuovamente Lara  e i due diventano amanti. Finalmente il dottor Zivago rientra a Mosca ma qui muore per una crisi cardiaca.
  Un libro dalla struttura possente, con una folla di personaggi e indimenticabili descrizioni dei paesaggi e della natura, che per molti versi si ricollega alla grande tradizione del romanzo russo, riunendo in sé lo coralità di Tolstoj e la profondità di Dostoevskij. Un grande affresco che comincia alla vigilia della prima rivoluzione del 1905 e si conclude con la fine della Seconda guerra mondiale, e nello stesso tempo un attento studio psicologico dello sviluppo dei sentimenti in lotta con l’intelletto.
  Leggere “Il dottor Zivago” è un’esperienza esaltante che va vissuta di persona, pagina dopo pagina, capitolo dopo capitolo, magari soffermandosi ogni tanto davanti a qualche passo particolarmente coinvolgente e che merita di essere riletto più volte per potere essere goduto a pieno, come quello che riporto qui sotto. Non provo neanche a commentarlo, ma posso solo dire che queste righe sono un’apertura verso noi stessi, verso gli altri, verso la profondità e il mistero della nostra essenza:
  Sin dall’infanzia Jurij Andrèevic amava i boschi al crepuscolo, quando filtra la luce del tramonto. Era come se sentisse passare attraverso di sé quelle lame di luce; come se il dono di uno spirito vitale gli entrasse a torrenti nel petto, attraversasse tutto il suo essere e ne uscisse sotto forma d’un paio d’ali sulle spalle. Quel prototipo giovanile che si forma in ciascuno per tutta la vita e poi per sempre assume i lineamenti del proprio volto interiore, della propria personalità, si risvegliava in lui con tutta la sua forza iniziale, e costringeva la natura, il bosco, il crepuscolo e ogni cosa visibile a rivestirsi con le sembianze altrettanto primordiali e universali di un fanciullo.
  “Lara!” mormorava, chiudendo gli occhi e rivolgendosi mentalmente alla propria vita, a tutta la terra di Dio, allo spazio illuminato dal sole che gli si apriva alla vista.

Silvano Calzini
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  Silvano Calzini, milanese, laureato in Scienze politiche, terminati gli studi ha iniziato a lavorare come redattore editoriale presso varie case editrici. Oggi, cinquantenne, si è lasciato alle spalle l’entusiasmo iniziale, ma non l’amore per le buone letture, Londra, certi silenzi e altro ancora.  


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