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Quando leggere è un piacere
e una autentica passione
    
Milano, 19 Ottobre 2007

L'arte sottile
di Katherine Mansfield

  Un’esistenza breve e vissuta intensamente; una produzione letteraria concentrata in poco più di dieci anni che ci ha lasciato una serie di racconti straordinari. Tutto questo è Katherine Mansfield (1888 – 1923), neozelandese di nascita, ma inglese per scelta di vita. Un’autentica virtuosa della short story. Cresciuta in una famiglia benestante di Wellington, a vent’anni si trasferì a Londra dove visse al di fuori delle convenzioni borghesi tra passioni travolgenti e amori sbagliati.
  Conobbe e incrociò Virginia Woolf, ma il loro rapporto fu di amore-odio. Quando si incontrarono si squadrarono con diffidenza, trincerate dietro la barriera delle loro esperienze così diverse. Soprattutto la Mansfield, ribelle e bohemien che viveva tra pensioncine di quart’ordine e amicizie disordinate, mal sopportava l’ambiente snob e sofisticato del circolo di Bloomsbury. Tuttavia, per quanto lontane sul piano umano, le due scrittrici erano unite dal talento letterario, e “Preludio”, uno dei racconti più belli della Mansfield, fu pubblicato per la prima volta proprio dalla Hogarth Press, la piccola casa editrice fondata dalla Woolf con il marito.
  La Mansfield era una donna che amava la vita, la natura, gli oggetti, ma diffidava delle persone ed ebbe sempre un rapporto conflittuale con il prossimo. In molte sue storie accanto a una visione gioiosa e serena delle bellezze della natura troviamo uno sguardo spietato verso il mondo degli esseri umani, pieni di piccole ridicole vanità, grettezze e assurde meschinità. Convinta che nessuno potesse comprenderla veramente, amava dire: “Nessuno sa dove sei, nessuno ha la più vaga idea neppure di chi tu sia”. E molto probabilmente aveva ragione. Infatti proprio chi avrebbe dovuto conoscerla meglio, il critico letterario John Middleton Murry che fu suo marito, dopo la sua precoce morte a causa della tisi costruì di lei un’immagine edulcorata, sentimentale e rassicurante che ne tradiva la vera natura di donna e di scrittrice. Basta leggere i suoi racconti per rendersene conto.
  Già la prima raccolta, “In una pensione tedesca” pubblicata nel 1911, presenta piccole storie in apparenza semplici, ma in cui viene messo a nudo con pochi tratti di graffiante ironia tutto il vuoto e la superficialità di certe convenzioni borghesi. E in molti racconti successivi ritroviamo situazioni apparentemente serene che però la Mansfield riesce a mandare in frantumi attraverso un semplice gesto di un personaggio, una frase rimasta a metà, un piccolo episodio apparentemente insignificante. Sta qui la sua vera grandezza. In questa straordinaria capacità di svelare le ambiguità della vita e dell’animo umano, di gettare una luce improvvisa sulle incrinature invisibili che covano sotto la banale superficie. Non ha bisogno di raccontarci i dettagli, le basta rivelare le crepe. La sua è un’arte sottile.
  Leggere i suoi racconti è un po’ come guardare i quadri di Lucio Fontana con i famosi “tagli”. Anche la Mansfield incide delle ferite nella tela superficiale di una storia e apre così nuovi spazi che gettano luce su un destino, sul senso di un’esistenza, su qualcosa che forse non ci fa piacere conoscere ma che certo è più autentico. Ci porta sull’orlo dell’abisso e ce lo spalanca davanti senza dire quello che contiene. Il resto è affare nostro.

Silvano Calzini
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  Silvano Calzini, milanese, laureato in Scienze politiche, terminati gli studi ha iniziato a lavorare come redattore editoriale presso varie case editrici. Oggi, cinquantenne, si è lasciato alle spalle l’entusiasmo iniziale, ma non l’amore per le buone letture, Londra, certi silenzi e altro ancora.  


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