di memoria, cultura e molto altro...
Ravenna, 15 Maggio 2020
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Franco Gàbici è Premio Guidarello di Giornalismo.
È morto Little Richard!
Tutte le volte che un cantante degli anni Cinquanta passa all’altra riva ho la sensazione di perdere un vecchio e caro amico. E Little Richard è stato uno di quegli amici lontani che con le sue canzoni indiavolate ha contribuito a costruire la colonna sonora degli anni più spensierati della mia vita.
Correva il 1958 quando per il mio quindicesimo compleanno mi fu regalato il giradischi (detto anche fono-valigia), un Lesa-Rubino che all’epoca costava circa 50 mila lire, quasi il mezzo stipendio di un operaio. Per questo motivo i possessori di questi aggeggi erano molto rari e io, con malcelato orgoglio, passai a far parte della categoria dei privilegiati. E succedeva poi che alcuni amici acquistassero dischi (quasi sempre 45 giri o tutt’al più qualche EP – che erano 45 con quattro canzoni – ma pochissimi 33 o LP perché costavano troppo) e poi venivano ad ascoltarli a casa mia dove da poco era entrato il giradischi. E ricordo che i primi dischi che misi sul piatto del Lesa furono Love is a many splendored thing e Stranger in paradise eseguiti dalla tromba d’oro di Eddie Calvert e Sayonara cantata da Eddie Fisher che a quei tempi, se non sbaglio, se la faceva con la Liz Taylor.
Entrambi i dischi mi erano stati regalati ma il giorno dopo con i soldi raggranellati dal compleanno andai subito ad acquistare l’EP di Harry James (The high and the mighty, Three coins in the fountaine, The touce, O, mein papa) e il 45 giri di Tutti Frutti cantato da Little Richard.
In quel lontano 1958 il grande Domenico Modugno aveva sconvolto i canoni sanremesi con la sua strabiliante Volare, una canzone vincitrice che per la prima volta nella storia del festival non faceva comparire nel testo, scritto da Migliacci, la parola amore che spesso faceva rima banale con cuore. La gente, però, aveva ancora negli orecchi le “vola colombe”, le “casette in Canadà”, le “edere”, i “vecchi scarponi” e compagnia bella e vi assicuro che quando in casa mia cominciarono a risuonare le note di Tutti frutti i miei di casa pensarono che fossi diventato matto. Ma che roba è mai questa?
Noi ragazzi invece impazzivamo e battevamo il tempo in sintonia con gli urli e gli strilli del vecchio Richard che proprio in quegli anni lo vedemmo dal vivo nel film Mister rock and roll mentre si accompagnava al pianoforte con attorno la sua Band formata da parecchi sassofonisti tutti vestiti di bianco come tanti gelatai. Era la classica musica da ragazzacci sfrenati e per di più Tutti frutti era cantata da un artista di colore e questo all’America pudica e un po’ bacchettona non piaceva e così si ricorse immediatamente ai ripari e si obbligò il melodicissimo Pat Boone, il bravo ragazzo tutto casa e famiglia, a farne una versione edulcorata.
Pat Boone si cimentò anche nel cinema e fece molto chiasso il patto che strinse con la moglie: niente baci alle tue partner sul set! Il classico bravo ragazzo insomma. Vero testimonial di sani valori. Però, c’è un però, come scrive Alessandro Portelli: “Le canzoni rock rieseguite da Pat Boone sono un autentico capolavoro di tolleranza repressiva. Basta sentire come canta Tutti frutti di Little Richard: sembra che le abbiano messo una palla al piede”. Morale della favola: “I ragazzi per bene possono anche cantare questa roba da negri, sembra dire, purché lo facciano come si deve, senza sfrenatezze”.
Anche Elvis Presley si cimentò con la canzone e senza nulla togliere alla grandezza del Re del rock la versione di Little Richard è e resterà unica.
Ma legata alla biografia di questo straordinario artista c’è una storia davvero curiosa. Nel bel mezzo del successo, quando sui giradischi giravano all’impazzata Tutti frutti e la “selvaggia” Lucille, giunse inattesa come un fulmine a ciel sereno la notizia del suo ritiro dalle scene per abbracciare, dopo essersi convertito al cristianesimo, la carriera del predicatore. La notizia fece abbastanza scalpore e nell’estate del 1958 un giornalista dopo aver recensito il film Mister rock, and roll concludeva con questo commento: “Auguriamoci che il suo esempio sia contagioso. Per la maggior salvezza delle nostre anime e per un maggior riposo dei nostri timpani”. Poi nel 1960 Little Richard ritornò sulle scene e continuò a cantare, come mi auguro continui a fare anche adesso, lassù, fra lo scompiglio degli angeli che, abbandonate le loro arpe, batteranno le ali al ritmo del suo scatenatissimo rock.
Franco Gàbici
Franco Gàbici
(Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è stato dal 1985 al 2008 direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino - La Nazione - Il Giorno - Avvenire. Presidente del comitato ravennate della "Dante Alighieri" è autore di numerosi saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996) e del sacerdote scrittore don Francesco Fuschini “Un prete e un cane in paradiso” (Marsilio, 2011), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002), "Buon Compleanno,ONLY YOU!" (SeBook, 2005), Una Canzone al Giorno" (Simonelli Editore, 2007). È fondatore e direttore responsabile del “Bollettino dantesco per il VII centenario”. Nel 2007 gli è stato conferito il Premio Guidarello per il giornalismo d’autore. Nel 2019 ha vinto il Premio Comisso con la biografia “Leo Longanesi. Una vita controcorrente” (Il Ponte Vecchio, 2018).
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