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di memoria, cultura e molto altro...      Ravenna, 2 Novembre 2018




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Franco Gàbici è Premio Guidarello di Giornalismo.

Ricordando Giuseppe Berto e Teresa Fattorini

  Ricordo come fosse ora quel primo di novembre di quarant’anni fa quando appresi la notizia della morte di Giuseppe Berto.
Per me fu come la scomparsa di un vecchio zio. Che poi “vecchio” non lo era affatto perché Berto aveva appena sessantaquattro anni. Ma io ne avevo solamente trentacinque e dunque quel “vecchio” ci stava tutto.
Berto aveva appena dato alle stampe “La gloria“ e per uno che aveva sempre covato dentro di sé il senso della morte, passare all’altra riva proprio alla vigilia del giorno in cui ricorrono i morti mi dette proprio l’idea di un cerchio che si chiudesse per davvero.
Lo avevo incontrato una volta sola, quando venne a Ravenna per presentare il suo "Oh Serafina!"" e di lui mi restano alcune lettere che conservo ancora. E oggi, giorno della commemorazione dei defunti, depongo un fiore sulla sua tomba, che so essere a Ricadi, nella lontana Calabria.
Non so invece dove sia, né se esista ancora, la tomba di Teresa Fattorini, sulla quale vorrei deporre un altro fiore. Teresa Fattorini, se non lo sapete, era la figlia del cocchiere di Casa Leopardi morta di tisi poco più che ventenne alla fine di settembre del 1818 e dunque esattamente due secoli fa.
Ma perché, direte voi, questo omaggio alla figlia del cocchiere?
Perché molto probabilmente a lei pensava il grande Giacomo quando compose i versi “Silvia rimembri ancora…”. Non mi sembra che l’anniversario sia stato celebrato da nessuno quando invece sarebbe stato opportuno farlo. Fra l’altro è caduto alla vigilia del 1819, anno in cui Giacomo compose quella cosa straordinaria che è L’infinito. Senza pensare, poi, che in quel 1818 erano state composte All’Italia e Sopra al monumento di Dante che, guarda caso, aprono il libro dei “Canti”.
Ma andiamo col pensiero a quel lontano settembre del 1818 quando il “terminatore” della luna, come un sipario, stava lentamente cancellando i segni di una “recente” luna piena quasi a voler annunciare la fine di un bel sogno. E in effetti quel giorno, nel “natio borgo selvaggio” di Recanati, gli occhi “ridenti e fuggitivi” di Teresa, figlia di Giuseppe, cocchiere di casa Leopardi, si chiudevano per sempre inducendo nel giovane Giacomo, che le era quasi coetaneo, tristezze infinite e dolci ricordanze.
Nata il 10 ottobre del 1797, Teresa morì consumata dal “mal sottile” alla soglia dei ventun anni quando “lieta e pensosa” si apprestava a salire “il limitare di gioventù”. Abitava in una casa proprio di fronte al Palazzo Leopardi e mai avrebbe immaginato che, ancorché sotto il nome di Silvia, sarebbe stata immortalata dai versi del poeta che dalle finestre di casa ascoltava il suo “perpetuo canto” e la osservava mentre, dedita alle “opre femminili”, faceva correre le sue mani sulla “faticosa tela”, quasi un pendant delle “sudate carte” del poeta.
Carlo, fratello di Giacomo, scrisse a Prospero Viani alcune interessanti considerazioni su Silvia, ma anche su Nerina, altra figura simbolo identificata in Maria Belardinelli, una “tessitora” che abitava in una casetta prospiciente il giardino di casa Leopardi e anch’essa morta consunta dalla tisi a 27 anni, poco prima dell’ultimo ritorno di Giacomo a Recanati. “Molto più romanzeschi che veri – scrive Carlo - gli amori di Nerina e di Silvia. Sì, vedevamo dalle nostre finestre quelle due ragazze, e talvolta parlavamo a segni. Amori, se tali potessero dirsi, lontani e prigionieri”.
Carlo non è poeta e ricordando le due ragazze le definisce “due povere diavole, morte nel fiore degli anni” che tuttavia furono “incentivo alla fantasia di Giacomo a crear due de’ più bei tratti delle sue poesie”. Giacomo compose A Silvia nell’aprile del 1928, e dunque dieci anni dopo la morte di Teresa, quando si trovava a Pisa. “Dopo due anni – scriverà alla sorella Paolina – ho fatto dei versi (…) ma versi veramente all’antica, e con quel mio cuore d’una volta”. La canzone fu composta in soli due giorni e per la prima volta Giacomo usò un nuovo metro di stanze libere per esprimere in una misura poetica, come ha scritto Rolando Damiani, “i moti spontanei dell’animo, l’effusione dei sentimenti e della memoria”.
Lo scorso anno la casa dei Fattorini, che ha le finestre proprio di fronte a Casa Leopardi, è stata restaurata e le tre piccole stanze sono state arredate con mobili e suppellettili dell’epoca. Anche le pareti sono state tinteggiate rispettando i colori originali. Tutto, dunque, sembra riportare a quegli anni lontani quando la piazza del “natio borgo selvaggio” era allietata dal dolce canto di Teresa.
Va comunque sottolineato, come ha scritto Giuseppe Chiarini, che tutti gli accadimenti della vita del poeta si trasformavano e si idealizzavano e, diventando elementi di poesia, assumevano apparenze e significati del tutto diversi dalla realtà per cui potrebbe apparire un gioco sterile pretendere di riconoscere nei “fantasmi amorosi” creati dalla mente del poeta questa o quella donna. Silvia resta sicuramente un simbolo e identificarla in Teresa nulla toglie al fascino del personaggio che dopo due secoli induce ancora emozioni e suggestioni.

Franco Gàbici




 

Franco Gàbici (Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è stato dal 1985 al 2008 direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino - La Nazione - Il Giorno - Avvenire. E' direttore responsabile della rivista Gnomonica e redattore di Nuova Civiltà delle Macchine. Presidente del comitato ravennate della "Dante Alighieri" è autore di numerosi saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002), "Buon Compleanno,ONLY YOU!" (SeBook, 2005), Una Canzone al Giorno" (Simonelli Editore, 2007).



 


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