di memoria, cultura e molto altro...
Ravenna, 11 Maggio 2017
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Franco Gàbici è Premio Guidarello di Giornalismo.
Ah, se potessi fare il viaggio di nozze da solo!
Se uno ha la grazia di campare parecchio stia pur certo che di cose strambe ne vedrà a iosa perché a questo mondo non c’è limite alla fantasia. Jules Renard, conosciuto come l’autore di Pel di carota ma del tutto sconosciuto come autore di spassosissimi aforismi (il mio conterraneo Leo Longanesi, che con gli aforismi non scherzava, aveva qualche debituccio con lui…), scrisse una volta, pensando in cuor suo di dire una strampaleria, “Ah se potessi fare il viaggio di nozze da solo!”. E invece quello che ieri era strampalato, oggi diventa realtà e infatti alcuni giorni fa ho letto sui giornali che un signore ha deciso di sposarsi da solo.
Quando si dice l’iniziativa privata!
Ha fatto tutto in regola con la tradizione. Perfino il tradizionale scambio di anelli che in questo caso ovviamente era uno solo, data la assenza del partner. Evidentemente si sta bene anche da soli. De gustibus… E a proposito di solitudine ricordo che nel film La grande guerra di Mario Monicelli, il soldato Giovanni Busacca (Vittorio Gassman) giustifica la presenza di una sua fotografia da bambino nel suo portafoglio dicendo: “Non ho che io…”.
E dal momento che poco fa ho citato Leo Longanesi, ricordo che anche lui ebbe da dire qualcosa sullo stato di solitudine, tant’è che in un momento di particolare sconforto esclamò “Sono talmente solo che nemmeno lo specchio mi riflette più!”.
Mentre scrivo queste righe un fitta pioggia sta insultando l’“odoroso maggio” di leopardiana memoria e di fronte a questo grigio spettacolo mi rimbalza nella mente un altro richiamo di Leopardi e precisamente la Vita solitaria: “La mattutina pioggia […] alla capanna mia dolcemente picchiando, mi risveglia…”.
Quel dolcemente, però, non fa per me, anzi. La pioggia mi infastidisce e mi fa esclamare, di fronte a questo maggio uggioso e piovoso, che le stagioni ahimè non sono più come una volta. Poi però ti accorgi che non è vero e che le mattane del clima sono sempre esistite da che mondo è mondo.
Allora mi verrebbe davvero voglia di conoscere quell’inventore che ricorda Renard: “Un inventore ha scoperto un barometro molto simpatico che segna bel tempo anche quando è brutto tempo!”.
Andrò sicuramente a caccia di questo strumento che secondo me dovrebbe essere appeso in tutte le case per esorcizzare le noie e le paturnie del brutto tempo. Fuori piove e fa brutto tempo? Macché, il nostro barometro ci assicura che non è vero niente e che il tempo è bello. Ed ha sicuramente ragione perché, come cantava Sergio Endrigo in Aria di neve, “sopra le nuvole c’è il sereno”.
Ma torniamo a maggio.
Giovanni Pascoli diceva che non bastava un fiore per far maggio. Un fiore è poco e non puoi dire maggio se non quando “è in fiore il muro nero, è quando è in fiore lo stagno bruno, è quando fa le rose il pruno, è maggio quanto tutto è in fiore”.
Anche Giosue Carducci cantò il maggio che risveglia i nidi e i cuori ma che purtroppo gli fa germogliare in cuore “di spine un bel boschetto”. Ma parlando di maggio non possiamo non ricordare i biancospini di Proust e il grande amore che ebbe per loro il padre della Recherche. “È nel mese di Maria – scrive Proust in Du côté de chez Swann – che ricordo di aver cominciato ad amare i biancospini”. E quanta sofferenza indussero nel cuore del piccolo Marcel quando dovette abbandonarli per ritornare a Parigi. Quel giorno sua madre lo andava cercando dappertutto e alla fine “mi trovò in lacrime sullo stretto, ripido sentiero contiguo a Tansonville che dicevo addio ai biancospini, circondavo con le braccia i loro ispidi rami” e “asciugandomi le lacrime, promettevo loro che da grande non avrei imitato la vita insensata degli altri uomini, e anche a Parigi, nei giorni di primavera, invece di recarmi a far visite e ad ascoltare sciocchezze, sarei andato in campagna a vedere i primi biancospini”. Il biancospino è uno dei simboli della primavera. Scriveva Vincenzo Cardarelli in Primavera cittadina: “Il biancospino è fiorito e sfiorito, aspettando la polvere di maggio”.
Una bella immagine per ricordare, qualora ce ne fosse bisogno, che spesso sul candore dei sogni si deposita la polvere della sofferenza. Ma purtroppo non possiamo farci nulla e del resto quando odoriamo le rose dobbiamo far sempre attenzione alle sue spine. Maggio. Rose e spine. Metafora della vita.
Franco Gàbici
Franco Gàbici (Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è stato dal 1985 al 2008 direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino - La Nazione - Il Giorno - Avvenire. E' direttore responsabile della rivista Gnomonica e redattore di Nuova Civiltà delle Macchine. Presidente del comitato ravennate della "Dante Alighieri" è autore di numerosi saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002), "Buon Compleanno,ONLY YOU!" (SeBook, 2005), Una Canzone al Giorno" (Simonelli Editore, 2007).
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