Questa poi. Avete letto? Giorni fa è stato arrestato un giovanotto americano perché sorpreso a sparare colpi di pistola in spiaggia. La moglie, giustamente preoccupata, ha immediatamente chiamato la polizia perché temeva che il marito combinasse qualche malestro ma il giovanotto, probabilmente sotto gli effetti di qualche stupefacente, ha rassicurato gli agenti dicendo che non aveva intenzione di far male a nessuno. Quei colpi, infatti, erano sparati in aria perché voleva colpire la Luna, così, per il gusto di vederla cadere. Ma con buona pace del grande Enzo Jannacci, che negli anni Sessanta cantava “la luna è una lampadina…”, il nostro satellite non è affatto paragonabile a una lampada, anche se la sua forma e i suoi effetti indurrebbero a pensarlo. La si può paragonare a un lampione che illumina le nostre notti ma la sua luce non deve nulla all’Enel, ci mancherebbe, bensì al Sole che, come è noto, la illumina e lei, di riflesso, manda luce d’argento sulla terra.
La Luna, da che mondo è mondo, è sempre stata tranquilla ed era talmente lontana dal raggio d’azione della cattiveria o delle presunzioni degli uomini che nessuno mai pensò di attentare alla sua incolumità. Sembra che ci provassero gli asini, ma con scarso successo, tant’è che il loro tentativo finì nel famoso modo di dire “Raglio d’asino non sale al cielo” e dunque stelle, luna e altri corpi celesti potevano starsene tranquilli. Del resto anche il leopardiano Melisso rassicura Asceta, che è tutto preoccupato perché in un sogno-incubo aveva visto la Luna cadere nel suo campo con gran sfrigolio di scintille. Stai sereno, gli dice Melisso, “che da nessuno cader fu vista mai [la Luna] se non in sogno”.
Ma i tempi sono cambiati e adesso nemmeno la Luna può starsene tranquilla. Pretendevano la luna anche i nostri undici azzurri ma ora la tatoo-band coccolata e strapagata dei nostri lavoratori del pallone ha chiuso con largo anticipo la sua avventura brasiliana e per favore non tiriamo in… ballo(telli) l’arbitraggio perché a casa ci saremmo andati ugualmente. Su questo non ci piove. Anzi sì, perché in questa mattinata grigia di inizio estate anche il cielo pare si sia messo a versar lacrime. Sta piovendo, infatti, e la pioggia è un vero insulto all’estate che è appena iniziata. Già, l’estate.
Ennio Flaiano diceva che esiste una sola stagione, l’estate, mentre Vincenzo Cardarelli definì l’estate “la più antisociale delle stagioni” ed espone la sua tesi ne “Il viaggiatore insocievole” e precisamente nel capitoletto intitolato “Moralità sull’estate”. L’antisocialità dell’estate, scrive Cardarelli, si vede soprattutto ai bagni al mare perché l’uomo, “deposto il suo abito consueto, si mette in costume da bagno, torna ad essere quel che natura lo ha fatto”. E tutti i valori si capovolgono e “davanti all’innumerevole riso del mare le disuguaglianze economiche e sociali scompaiono e non sussistono se non quelle di ordine fisico, senza rimedio”. Dice anche che l’esser giovani è “il maggior privilegio” mentre la vecchiaia è “la peggior dannazione”. Esser vecchi, ma questo lo dico io, è un po’ deprimente e penso sempre alle meste considerazioni del “giovane Holden” sulle gambe dei vecchi. Ma nulla possiamo sull’ineluttabilità del tempo che passa e allora bando alle tristezze e salutiamo l’estate con le parole di Cardarelli che in “Saluto di stagione” dice: “Benvenuta estate. Alla tua decisa maturità m’affido (…) saluto nel sol d’estate la forza dei giorni più eguali”.
E ora che giugno sta cedendo il passo ai caldi mesi del solleone mi piace ricordare anche Curzio Malaparte che definì giugno “un mese profondo, il più profondo dei mesi”. La notte, ricorda ancora Malaparte, “fiumi di lucciole scorrevano dolcemente nel grano, lasciando nell’aria un sapore di miele…”.
Già, le lucciole. Un tempo sciamavano sui campi con le loro dolci intermittenze. Le ricordo ancora sui campi che si affacciavano sul retro della casa dei nonni… Ero piccolo, allora, e quelle luci sull’erba mi suggerivano il pensiero che un po’ di cielo fosse caduto a terra. Poi il cemento ha rubato la poesia e da molto tempo le lucciole sono scomparse. Sono rimaste le stelle, quelle poche che la luce artificiale consente ancora di vedere, a far compagnia alla Luna, alla bella Luna che in questi giorni l’ha scampata bella, perché qualcuno voleva abbatterla a schioppettate!
Franco Gàbici
Se hai un collegamento veloce ADSL clicca sulla freccia e guarda la VideoLettura delle pagine che Franco Gàbici dedica a “Nel Blu dipinto di Blu” di Domenico Modugno e Franco Migliacci nel suo “Una Canzone al Giorno”, il libro per “riascoltare” la colonna sonora dei favolosi Anni Sessanta.
(Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è stato dal 1985 al 2008 direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino - La Nazione - Il Giorno - Avvenire. E' direttore responsabile della rivista Gnomonica e redattore di Nuova Civiltà delle Macchine. Presidente del comitato ravennate della "Dante Alighieri" è autore di numerosi saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002; SeBook, 2004), "Buon Compleanno,ONLY YOU!" (Simonelli Editore, SeBook, 2005), Una Canzone al Giorno" (Simonelli Editore, 2007).