Quando leggere è un piacere e una autentica passione
Milano, 19 Dicembre 2008
Sándor Máray: la vita come esilio
Un uomo con un’espressione perennemente malinconica, anche se sempre di grande compostezza. Così appare Sándor Máray (1900-1989) nelle poche immagini che lo ritraggono e che sono arrivate fino a noi. Era stato un protagonista delle letteratura ungherese tra le due guerre, ma poi venne dimenticato e bandito dal regime comunista. Di lui si persero le tracce. Fin da giovane la sua avversione per ogni tipo di dittatura lo aveva spinto prima a trascorrere un decennio in giro per l’Europa e poi una ventina di anni a Budapest, in una sorta di reclusione volontaria in patria. Poi nel 1948 un nuova partenza, questa volta per sempre. Napoli, New York, di nuovo l’Italia e alla fine ancora gli Stati Uniti.
Una vita che è stata un lungo, interminabile esilio, durante il quale l’unica vera casa di Máray sono state la scrittura e la lingua materna, l’ungherese, vissute come un sorta di rifugio dove sopravvivere a dittature e guerre e soprattutto alla fine di un mondo, quello della Mitteleuropa asburgica e della sua borghesia. È questo infatti lo sfondo di tutti suoi libri, da “Le braci” a “L’eredità di Eszter, da “Divorzio a Buda” al diario “Confessioni di un borghese”.
I suoi romanzi hanno un modulo comune: dopo un lungo distacco, un improvviso ritorno e un incontro tra i protagonisti della storia, con i fantasmi del passato che affiorano a poco a poco e finiscono per dare senso a un’intera vita. Al fondo di tutto il dolore per la fine di una passione, vissuto però con grande dignità e compassata rassegnazione: “Il tempo consuma ogni cosa dentro di noi e brucia tutte le menzogne. Ciò che rimane è la realtà”. Sono parole della protagonista de “L’eredità di Eszter”, e rappresentano al meglio il pensiero di Sándor Máray.
Funestato dalla morte della moglie e del figlio, nel 1989 a San Diego Máray compra una pistola, va scrupolosamente a esercitarsi, poi l’11 aprile – dopo avere avvertito il servizio dell’autoambulanza “Venite, ma non prima di dieci minuti” – si spara. Come un saggio dell’antichità, pur considerando la vita un sommo bene, non era disposto a prolungare qualcosa che non era più vita.
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Silvano Calzini, milanese, laureato in Scienze politiche, terminati gli studi ha iniziato a lavorare come redattore editoriale presso varie case editrici. Oggi, cinquantenne, si č lasciato alle spalle l’entusiasmo iniziale, ma non l’amore per le buone letture, Londra, certi silenzi e altro ancora.
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