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"Il Ritorno - Boìcu e altre storie" di Romano Asuni

Quando la Memoria è protagonista
Borgosesia (VC) - 10 Settembre 2007
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alle Radici

di Romano Asuni - n. 1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7 - 8 - 9 - 10 - 11 - 12 - 13 - 14 - 15

L'autore di «Il Ritorno - Boìcu ed altre storie», splendida raccolta di racconti che diventano romanzo pubblicata in eBook ed Ex Libris, dialoga con i lettori de L'ISTRICE lungo il filo della memoria. Prosegue e rinnova così il discorso aperto dal suo libro che segna il felice esordio nella narrativa di questo famoso giornalista che dalla Sardegna è approdato professionalmente a Milano diventando una delle grandi firme Amica, laDomenica del Corriere, il Corriere d'Informazione fino a dirigere Salve, il mensile di medicina e salute della RCS. Naturalmente i lettori di queste sue note periodiche non possono lasciarsi sfuggire la lettura del suo libro che può giungere in pochi click sullo schermo del vostro computer oppure arrivare per posta a casa in una Copia Ex Libris, in volume stampata appositamente per chi la acquista.
Guarda la VideoPresentazione dell'Editore di Il Ritorno - Boìcu e altre storie >>>

  Il mandamento di Bombardone

  Quando un paese era, o si riteneva che fosse, importante spesso veniva indicato come sede di mandamento. Che non era un riconoscimento da poco: il Mandamento (maiuscolo negli atti ufficiali) era il centro di una zona che riuniva diversi paesi e che si affermava, rispetto agli altri, per diventare sede della Pretura, delle carceri e di diversi altri uffici che riunivano i problemi, e spesso i drammi, di tutta la zona. E se il pretore era chiamato a giudicare, il carceriere a mettere e tener dentro i responsabili di furti di bestiame e poco altro (mitiche le figure di ziu Giuannicu Falqui e del suo successore, Dario Cappai, che alleggeriva le pene dei suoi ospiti cantando con una bellissima voce da baritono la messa di Perosi), i drammi quasi sempre ricadevano sulle spalle di una sola persona, l’ufficiale giudiziario, all’epoca aiutante, Bombardone.
  Era quello che si dice un bell’uomo, abbastanza alto, robusto tendente alla pinguedine (“Ma quando facevo il bersagliere………”, si giustificava, lisciandosi lo stomaco), un bel viso aperto, Bombardone era un po’ il confessore laico di tutto il mandamento. Nel senso che a lui si confidavano il debitore e il creditore, il ladro e il derubato, il diavolo e l’acqua santa insomma. Lui ascoltava tutti ma appena il discorso rischiava di scivolare sul “piccolo favore” o, peggio ancora, “chiudere un occhio”, l’ex bersagliere e l’uomo di legge si fondevano in un blocco di granito:”Ma stai scherzando?”. E tutto finiva lì. Non che fosse cattivo o particolarmente severo, come gran parte dei suoi colleghi il cui arrivo era vissuto con terrore dai poveri inadempienti, ma intendeva la legge come un prete il Vangelo, intoccabile. Nonostante questo, ogni volta che il testo sacro gli lasciava un esilissimo margine di manovra, Bombardone vi si infilava per restituire almeno una temporanea tranquillità a chi, un mese dopo, avrebbe quasi sicuramente avuto lo stesso problema. Ma così si era guadagnato la fama di “brava persona” e per ringraziarlo i suoi beneficiati, a parte qualche bottiglia d’olio o di malvasia, non trovavano di meglio che portargli da battezzare o cresimare i bambini che crescevano a ritmo svelto in quei piccoli centri affogati in campagna, come le favette a maggio. Le cerimonie rappresentavano però una doppia fregatura. Intanto perché al bambino un regalino bisognava pur farlo e poi perché coi genitori si diventava compari e diventava complicato andare a trovarli con un’ingiunzione di pagamento o, peggio ancora, per un pignoramento.
  Ma in qualche modo Bombardone (che di nome faceva Faustino, ma neppure la madre lo aveva mai chiamato così, al massimo Fausto) se la cavava. Piombava nel piccolo centro a bordo della sua Vespa 150, che era un lusso per l’epoca, con a bordo l’amico Masino, con cui pareggiava il peso e l’altezza, e si presentava a casa del debitore. L’inizio era prudente:” Compa’, non ho buone notizie…..”. Se non si trovava la soluzione, qualche cosa bisognava portarla via, magari quelle posate in finto argento della zia Isolina o quel copriletto che tanto non veniva usato mai. Insieme facevano, a occhio, circa 2000 lire, il debito era di 8000, ma intanto si era guadagnato tempo.
  Quello che nessuno sapeva era che Bombardone durante le sue visite professionali portava sempre con se una pistola. Gliel’aveva data il maresciallo dei carabinieri, facendogli firmare il porto d’armi. “E perché?”, chiese lui. “Con gli ambienti che frequenta……”, era la risposta. In effetti, c’era chi era ubriaco alle otto del mattino, chi doveva pagare ancora i mobili che aveva comprato quando si era sposato e aveva rimandato indietro, con un forcone, anche i carabinieri, chi proprio non aveva di che pagare e neppure qualcosa da farsi pignorare. Ma c’era anche chi riteneva che i suoi debiti li dovessero pagare i ricchi o il Comune (lo Stato era ancora lì un’entità nebulosa e lontana), per cui si rifiutavano e basta, con maniere non sempre garbate. Nella migliore delle ipotesi era una sassaiola, un’altra volta il più scalmanato aveva sparato tra i piedi del messo comunale che, ignaro di tutto, si era avvicinato alla porta con un semplice certificato elettorale. Il pretore, allora, in attesa di una qualunque soluzione che consentisse di cavarsela senza troppi danni, si rivolse a quella che gli sembrava l’ultima possibilità:” Fausto, perché non ci prova lei? E’ anche suo compare…..” : Lo chiamava così, Fausto, lo stimava e apprezzava, ma non poteva evitargli questo incarico Dopo di lui restavano solo i carabinieri, con licenza di sparare. Bombardone lo guardò a sua volta, molto perplesso:”Se lei crede, dottore, ma quello…..”.
  Il sentiero era in salita e sassoso ma per fortuna breve. Bombardone fece pochi passi e chiamò:”Ignazio ! Oh Ignazio…!!!” Silenzio. Qualche passo ancora, poi una voce: “Oh, compa’, se ne vada”. Bombardone fece un altro passo avanti: ”Devo entrare…”. Fu allora che lo vide dietro la finestra e intuì il lampo della fucilata. Gli aveva sparato davanti ai piedi. Pallidissimo, si spolverò i pantaloni e si fermò davanti alla porta. Poi lasciò la borsa a terra e poggiò le mani sulle tasche posteriori dei calzoni: in una teneva i documenti, nell’altra la pistola. “Ignazio – gridò – esci !”
  Uscì dopo qualche minuto, col fucile in mano, le canne abbassate come a dire che non avrebbe sparato più, ma lo sguardo continuava a sfidare il mondo. Bombardone lo lasciò avvicinare sempre tenendo le mani dietro le spalle, infilate nelle tasche, fissandolo. Solo quando Ignazio gli giunse a un passo e alzò lo sguardo, si mosse. “Io non avevo mai visto niente del genere – raccontò Masino che era presente - ma credo che il rumore lo abbiano sentito fino a Serpeddì”. Era la montagna che sovrastava il paese, distante un paio di chilometri. Il ceffone di Fausto era partito da lontano, aveva preso la rincorsa dall’altezza della sua natica destra. Non era un pugno e neppure uno schiaffo, che sarebbe stato offensivo, ma come l’urto sonoro di un pesante portone che si chiude e che scaraventò Ignazio qualche metro più in là, mentre il fucile volava via. I carabinieri raccolsero l’uno e l’altro senza fatica mentre Bombardone, che aveva ritrovato il colore, si chinava a prendere la borsa. “Mi dispiace compa’, ma non doveva sparare”, disse a Ignazio ammanettato. L’altro fece un cenno con la mano, per dire che aveva capito.
  Il guaio fu che la storia fece il giro del mandamento e le richieste di cresime si moltiplicarono perché erano sempre più numerosi i ragazzini che concludevano gli scontri all’uscita da scuola o sul campetto di calcio con la formula magica: ”Guarda che chiamo Bombardone!”. Quando fu provvidenzialmente trasferito in un tribunale del Nord, era arrivato a contare 59 figliocci e altrettanti compari.

Romano Asuni
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Romano Asuni
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