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"Il Ritorno - Boìcu e altre storie" di Romano Asuni

Quando la Memoria è protagonista
Borgosesia (VC) - 3 Maggio 2007
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alle Radici

di Romano Asuni - n. 1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7 - 8 - 9 - 10 - 11

L'autore di «Il Ritorno - Boìcu ed altre storie», splendida raccolta di racconti che diventano romanzo pubblicata in eBook ed Ex Libris, dialoga con i lettori de L'ISTRICE lungo il filo della memoria. Prosegue e rinnova così il discorso aperto dal suo libro che segna il felice esordio nella narrativa di questo famoso giornalista che dalla Sardegna è approdato professionalmente a Milano diventando una delle grandi firme Amica, laDomenica del Corriere, il Corriere d'Informazione fino a dirigere Salve, il mensile di medicina e salute della RCS. Naturalmente i lettori di queste sue note periodiche non possono lasciarsi sfuggire la lettura del suo libro che può giungere in pochi click sullo schermo del vostro computer oppure arrivare per posta a casa in una Copia Ex Libris, in volume stampata appositamente per chi la acquista.
Guarda la VideoPresentazione dell'Editore di Il Ritorno - Boìcu e altre storie >>>

   Al Vecchio Cinema Paradiso
   I
l primo film proiettato al mio paese, o almeno il primo che ho visto, s’intitolava “Rondine senza nido” e lo interpretava una bimbetta con i boccoli che con gli anni sarebbe diventata Shirley Temple, una diva famosa. Il film era in bianco e nero ma allora non si riusciva neppure a immaginare che cosa fosse un film a colori, per cui la novità veniva accolta per quello che era realmente il cinema, una meraviglia inaspettata.
   Per entrare nel locale, che era uno stanzone allungato, con qualche fila di sedie per gli spettatori unite l’una all’altra da listelli di legno, altre sedie libere e gli altri che si arrangiassero, in piedi appoggiati al muro o seduti per terra, per entrare dicevo, bisognava superare un ostacolo non indifferente costituito dalla mole del padrone di casa che seduto a cavalcioni di una sedia di paglia ostruiva metà della porticina d’ingresso. Metà si fa per dire, perché le dimensioni dell’uomo, in un’epoca in cui tutti scontavano ancora le ristrettezze del dopoguerra, erano veramente inattese.
   Si entrava a spintoni e chi trovava posto si sedeva. Ma c’era un’altra categoria di spettatori che trovava spazio, quando il film stava proprio per cominciare. Quelli che potevano pagare di meno, di solito i più giovani che, se il prezzo stabilito era di 50 lire riuscivano a cavarsela con 20, qualcuno anche con 10 lire, ma dovevano stare seduti, a pochi passi dallo schermo, in assoluto silenzio, mai rispettato.
   Ginetto, anzi tziu (signor) Ginettu come si faceva chiamare da chi non aveva almeno la sua età, esibiva una pancia sulla quale potevano trovare comodo spazio due bambini seduti e faceva tutto da sé. Stabiliva il prezzo d’ingresso, metteva in fila, si fa per dire, gli spettatori, ed esigeva il pagamento. Poi pensava alla proiezione. Di biglietti allora, neppure a parlare, perché la SIAE doveva ancora nascere e in tutti i casi avrebbe dovuto fare i conti con lui, che non era proprio accomodante. Per cui allungava la manona, riscuoteva il dovuto e ogni tanto infilava in una tasca enorme pallottole di biglietti e monete.
   Passava per uno degli uomini più ricchi del paese, aveva perfino dei terreni e degli agrumeti vicino al mare, ma coltivava come un bambino che cresce quella straordinaria invenzione che per primo aveva portato in quel borgo, diceva lui, di giorronareris et pastoris, pastori e contadini a giornata. “Non sapevano cos’è la civiltà e gliel’ho portata io”, tuonava ogni tanto. E forse aveva ragione, ma negli anni seguenti, quando qualche spettatore più smaliziato, che era stato in città, gli chiedeva: “Ma cosce se ne vedono?“, rispondeva olimpico “Eh, a voglia!”. In programma c’era “Bernadette Soubirous” e tziu Ginettu provvedeva prudentemente a lasciare la sua posizione prima dell’uscita degli spettatori.
   Quando apparve il primo film a colori, Ginetto aveva già trasferito la sede del cinema nel vecchio Monte granatico, una posizione invidiabile proprio al centro del paese, dove c’erano più posti e le poltroncine di plastica avevano già sostituito le vecchie sedie. I biglietti si staccavano regolarmente, anche se in percentuale molto limitata, al cinema di tziu Ginettu cominciavano ad andare anche le famiglie, i film alternavano storie di cappa e spada a drammoni sentimentali del genere “Catene”,“Tormento” e “I figli di nessuno“, che strappavano sospiri e contribuivano all’incremento demografico che in quegli anni fu significativo. Nacquero molti Amedeo e bambine incolpevoli furono battezzate Yvonne dal nome dei protagonisti dei film (Amedeo Nazzari e Yvonne Sanson, mitici interpreti delle storie strappalacrime degli anni 50, ndr). Poi cominciarono i film americani, gli western e i film di guerra e tutto cambiò. Ma Ginetto rimase per molti anni ancora al suo posto, a fare i biglietti e controllare gli ingressi. La proiezione la curava ormai un altro e la macchina non faceva più rumore.
   Capii, adolescente, che un’epoca era finita e m’accorsi che mi mancava quel rumore della pellicola che girava, poco prima di illuminarsi, seguita dagli “oooh!” degli spettatori. Così, molti anni dopo, quasi persi a Milano un amico che voleva portarmi al cinema, a vedere un capolavoro, diceva, che aveva vinto, nientemeno, l’Oscar. Era “Nuovo cinema Paradiso”, di Tornatore. Gli risposi sorridendo: ”L’ho già visto”. Urlò, sbattendo la porta: ”Ma se cominciano a darlo oggi!” Ci incontrammo sere dopo per una pizza e alla seconda birra gli raccontai la storia di tziu Ginettu e del vecchio cinema paradiso, il film che non poteva conoscere.

Romano Asuni
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Romano Asuni
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