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LE PRIME DUE PAGINE DI...

«L'inchiostro verde di Togliatti» di MASSIMO CAPRARA

Cenere, lapilli e vapori di zolfo erano sparsi su Napoli e la costiera, spinti dal vento di nord-ovest di quella opaca primavera del 1944. Il Vesuvio era in eruzione dalla notte del 19 marzo e l’aria infuocata della colata di lava, profonda due e larga quattrocento metri, spirava dal promontorio di Pozzano che sbarra il golfo e frena libeccio e scirocco. Era come se la terra, anzi il basolato costruito con lastre di lava scalpellata, gemesse per ancestrale richiamo del suo Fattore, il vulcano, nel cui fianco s’era spalancata una piaga fiammeggiante, dalla quale sgorgava un vomito di sangue.
Sussurri, non urla, sbucavano dai vicoli (il Pallonetto, l’Egiziaca a Pizzofalcone, il Cavone), come di gente abituata ai prodigi e non più di tanto terrorizzata. Ma grida, e clamori, vere e proprie invocazioni, venivano dalle carrozzelle che soldati alleati, alla spicciolata, affittavano per correre non si sa dove né come.
Di carrozzelle ne vidi una scivolare e capovolgersi sul marmo, ancorché sconnesso dalle bombe, della Galleria Umberto I, che era l’autentico palcoscenico della città dove i fatti si srotolavano in diretta, senza sipario.
Dal porto, invece, dove gli stendardi navali garrivano sotto la protezione della Military Police, saliva la colonna dei Liberatori, installati su jeep con mitragliatrice spianata, il colpo in canna, minacciosa quanto inutile. Svoltavano in salita, con prudenza, verso Cercola e Massa di Somma. Il capo picchetto entrava in Chiesa chiedendo del Parroco, interrogandolo a gesti, come se vi fosse odore e rischio di «germanesi», che ovviamente erano da tempo fuggiti, al di là dai querceti di Capodimonte. Rassicurati, i militari scozzesi e paisà italoamericani si avvicinavano al margine di sicurezza del fronte incandescente, osservando tutti assieme una rigorosa consegna: non sapere che fare.
Lo spettacolo era, comunque, d’una teatralità movimentata, tutt’altro che immobile. Eventi cosmici circoscritti esplodevano all’improvviso. Gli alberi, uno alla volta, colpiti da una sorta di decimazione superumana, cominciavano all’improvviso a stridere, contorcersi, curvarsi con dolore di rami e foglie per poi, infine, afflosciarsi, inceneriti.
La colata non li aveva neppure sfiorati. Ma bastava l’infernale ed irresistibile alito a distruggerne irreparabilmente la vitalità a più di cento metri di distanza. Interi albicoccheti tra Pugliano e Cassano Campitelli (i frutti più morbidi si chiamavano «cosce di monache») si fecero strami rinsecchiti, dinanzi agli occhi e sotto gli stivaletti d’ordinanza di ricco cuoio degli invidiatissimi conquistatori, conquistati dal funesto miracolo.
Al quarto piano di via Carlo Antonio Broggia, angolo via Enrico Pessina, dov’era stato sistemato Ercoli ovvero Palmiro Togliatti, non v’era traccia d’ardori, ma conferma di tranquille consuetudini. Il portiere, che mai, neppure nelle settimane successive, volle darsi la briga d’identificare lo strano personaggio giunto una notte all’improvviso, lo riverì sempre, la coppola in mano, chiamandolo «Cavaliere», con uno ossequio evidente ma impersonale, interclassista, pre e post fascista, privo di tempo e d’appartenenza.

...CONTINUA
IN «L'INCHIOSTRO VERDE DI TOGLIATTI»
di MASSIMO CAPRARA
Simonelli Editore, pp.262, Euro 12,39