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03/11/2006
ANDREA DORIA ed EMANUELE FILIBERTO DI SAVOIA
Vicende storiche parallele nell'Europa del XVI secolo, rilette oggi da Mauro Navone in una originale opera di ricerca ricca di inediti pubblicata in SeBook - Simonelli electronic Book - e in Ex Libris, in un volume stampato su richiesta, "Su Misura".





Botta - risposta tra l'Autore, Mauro Navone, ed il professor Michele D'Elia, direttore di NUOVE SINTESI, settimanale trimestrale di cultura e politica di Milano.



Quale senso ha riprendere oggi, all'alba del terzo millennio, la rilettura delle vicende storiche parallele, nell'Europa del XVI° secolo, di Andrea Doria ed Emanuele Filiberto di Savoia, due figure straordinarie, ma di quel secolo passato, certamente maestoso ma ormai piuttosto lontano da oggi?


Oggi all'alba del terzo millennio esiste,a stadio più o meno avanzato, un progetto unitario europeo di almeno 25 stati moderni, democratici, essenzialmente laici, che si dicono per lo più svincolati dalle pur innegabili radici comuni religiose cristiane, localizzati su un territorio che va dalle pianure orientali, polacche ed ungheresi, all'Atlantico e dai mari del Nord al Mediterraneo.
Questo progetto non è nuovo: era stato di fatto realizzato nell'impero dei Romani nei primi secoli dell'anno 1000, eppoi ripetuto nel Sacro Romano Impero di Carlo Magno. Entrambi ebbero una realtà temporale più o meno lunga, ma poi si disfecero materialmente a causa di disaggregazioni che avvennero al loro interno.
Si arriva così al secolo XVI, quando la Dinastia degli Asburgo nella persona di Carlo V, regnante su territori dove non tramonta mai il sole, assunta la dignità Imperiale con l'incoronazione a Bologna il 12 agosto 1529 da parte di papa Clemente VII, definisce ed esplicita un progetto universale, che dovrà essere fondato sul Vangelo di Cristo, quindi non solo europeo, ma addirittura transoceanico, quasi planetario, per il "Bene" della Fede cristiana nella lotta contro l'esteso impero turco - musulmano. Questo progetto politico cristiano di Carlo V avrebbe caratterizzato tutta la sua vita, quella di suo figlio Filippo II e quindi le opere di quanti avrebbero aderito al suo progetto, uomini liberi e stati del suo tempo.
Tra gli uomini liberi ci fu il ligure Andrea Doria e tra gli Stati il Ducato di Savoia di Carlo II, il Buono, prima e di Emanuele Filiberto poi.
Ma al progetto universale cristiano di Carlo V si opposero, sul piano eminentemente politico, la francese dinastia dei Valois con tutta la Francia e la Germania dei principi protestanti.
Questo ambizioso progetto sopravvisse soltanto nella mente della Dinastia degli Asburgo e rimase lettera morta dopo decenni di guerra, con vicende militari alterne fino ai trattati di pace di Cateau-Cambresis del 3 e 4 aprile 1559 ed al sistema risultante degli stati nazionali. Ciò premesso, si può ben dire, parlando ancor oggi di progetto unitario laico europeo, immersi come siamo in un acceso confronto con il mondo delle nazioni musulmane, più o meno coraniche, che non è ozioso riaprire il libro della storia e rileggere le vicende storiche in cui furono attori protagonisti i nostri Andrea Doria ed Emanuele Filiberto, il Duca Testa di Ferro nel secolo XVI
C'è da imparare e pensare .


Ma, allora, quali sono state le circostanze ed i tempi in cui si è manifestata quella reciproca fascinazione tra un Andrea Doria, ormai quasi un vegliardo di 75 anni ed un adolescente di circa 14 anni, quale era Emanuele Filiberto di Savoia al momento del loro primo incontro, incontro che peraltro non fu l'unico?


II primo incontro fra i nostri Andrea Doria ed Emanuele Filiberto avviene a Genova nel palazzo doriano di Fassolo, presente l'imperatore Carlo V, in occasione della partenza della spedizione navale punitiva contro i turco-barbareschi di Algeri, quando correva l'anno 1541. Emanuele Filiberto ebbe l'ardire di rivolgersi direttamente all'imperatore Carlo V, in presenza del grande e famoso ammiraglio di Spagna, Andrea Doria e dello stesso suo padre, il Duca di Savoia, chiedendo di essere aggregato alla spedizione.
Carlo V rimase vivamente impressionato da tanta determinazione, rifiutando naturalmente il suo consenso, ma assicurando giovanetto e presenti che, se si fossero mantenute ferme le sue intenzioni di essere soldato per l'impero, non gli sarebbero mancate le occasioni a suo tempo.
La prima prova si manifestò nell'anno 1543 durante il violento assedio del franco-turchi alla città sabauda di Nizza .
In quel tempo dell'assedio, Emanuele Filiberto, divenuto già erede del titolo ducale per la morte precoce del fratello Ludovico, viveva ancora la sua adolescenza a Nizza, già orfano della madre Beatrice e con il Duca padre obbligato a vivere a Vercelli in quel poco territorio subalpino rimastogli.
Emanuele Filiberto doveva praticamente gestirsi da solo in quel pernicioso e drammatico frangente: Nizza città già occupata e saccheggiata, solo il castello-fortezza sovrastante la città, resisteva con un pugno di indomiti nizzardi, destinati a soccombere in mancanza di un aiuto imperiale esterno navale e terrestre da ricevere in tempi brevi.
Allora il giovanetto Emanuele Filiberto capì che solo salvando Nizza, si salvava anche la Dinastia sabauda: egli lasciò Nizza, sfuggendo anche ad un agguato tesogli dai franco-turchi e raggiunse rocambolescamente Genova, dove Andrea Doria si trovava con le sue galee per chiedere soccorso allo stesso ammiraglio.
Ed il soccorso ci fu: la flotta privata di Andrea Doria, imbarca il Duca Carlo II, padre, e gli armati lombardo-spagnoli forniti dal governatore imperiale di Milano, il Marchese del Vasto, raggiunge il ponente e mette in fuga le milizie mercenarie francesi e obbliga la flotta ottomana-musulmana di Barbarossa a lasciare la rada di Villefranche per Marsiglia e da qui, infine, a tornare a Costantinopoli .
I valorosi popolani nizzardi resistendo fino all'ultimo e fino all'arrivo di Andrea Doria, si può ben riconoscere, pur a distanza di qualche secolo,che furono vitali per la Dinastia dei Savoia, mentre Emanuele Filiberto potè dimostrare di essere astuto e soldato nello stesso tempo, ancor prima delle prove,che di lì a poco, avrebbe dato nelle armate imperiali di Carlo V in Germania e che furono essenziali per il suo Ducato.
Tra il grande Andrea Doria ed il giovane Savoia la reciproca fascinazione crebbe ed, anzi si annota che nelle circostanze proprio di un viaggio nel 1551 a Barcellona e ritorno, sulle galee di Andrea Doria, accompagnando il cugino Filippo, futuro erede nell'impero di Carlo V, ri­cevette dai catalani quel soprannome, che lo renderà celebre: Testa di Ferro .
Accadde infatti, che, mentre i due cugini Filippo ed Emanuele Filiberto, dopo le visite ufficiali in Spagna, attendevano a Barcellona le navi di Andrea Doria per ritornare a Genova, una flotta francese, ma battente lo stendardo imperiale, si presentasse in fronte a Barcellona, facendo credere di essere la flotta attesa di Andrea Doria.
Grazie agli accertamenti fatti eseguire da Emanuele Filiberto l'inganno fu scoperto e fu impedito lo sbarco ed il saccheggio della città da un energico cannoneggiamento sulla flotta francese, organizzato e condotto dal giovanissimo principe sabaudo, che si meritò così quel prestigioso soprannome, soprannome a cui Andrea Doria certamente accondiscese.


Andrea Doria ed Emanuele Filiberto, Testa di Ferro, due vicende quasi contemporanee e suggestivamente parallele, ma che avranno già nel secolo XVI e più manifestamente da allora fino ad oggi sviluppi e percorsi diversi, per i Doria una dinastia monarchica mancata in Liguria a Genova e per la Dinastia dei Savoia , viceversa, un futuro in costante crescita dal Ducato di Emanuele Filiberto alla "Nazione" italiana dei Re sabaudi di Sardegna eppoi d'Italia: quali questi percorsi ?


Noi sappiamo che la Dinastia dei Savoia non si è formata da Emanuele Filiberto, il Duca Testa di Ferro, è venuta da prima. nell'anno mille, ma è stato proprio questo principe a darle nuovo slancio vitale, quello slancio che ha prodotto consenso tra genti diverse di qua e di là delle Alpi, cioè le Alpi luogo della nascita ed origine della dinastia sabauda.
Grandissimo condottiero in terra di Germania e delle Fiandre per l'impero di Carlo V e di Filippo II, non meno che estensore protagonista dei trattati di pace di Cateau-Cambresis, che conclusero circa quaranta anni di contese e guerre epocali in Europa e fuori d'Europa, Emanuele Filiberto farà così ascendere nel vasto cielo di Europa la stella della Dinastia dei Savoia, dove brilla ancor oggi, nelle persone dei suoi discendenti altri Duchi, Re di Sicilia, di Sardegna ed infine d'Italia con la Monarchia costituzionale rappresentativa, cioè parlamentare, istituita da Re Carlo Alberto, in cui i due cardini sono: il Re ed il Popolo .
Dal primo, il Re, nasce l'unità e la forza, dal secondo, il Popolo, la libertà ed il progresso della Nazione .
Questo raggiunto traguardo moderno trova le sue antiche radici negli atti e nelle opere di Emanuele Filiberto: la ricostituzione e la ristrutturazione governativa del Ducato, il matrimonio con Margherita di Francia, la paternità con Carlo Emanuele, Torino capitale del Ducato ora fatto di piemontesi, di savoiardi e nizzardi aventi come lingue ufficiali italiano e francese.
Emanuele Filiberto ha vita breve, muore a soli 52 anni in Torino nell'anno 1580.
Viceversa, Andrea Doria rimane una personalità unica sul piano umano e come principe nell'impero prima di Carlo V e successivamente del figlio di lui. Filippo II, attestando ad entrambi un formidabile servizio come Grande Ammiraglio di Spagna nell'intero mare Mediterraneo nel contrasto perenne con le flotte barbaresche del Sultano Solimano, il Magnifico, condotte dall'audace arabo Khair Eddin, noto come il Barbarossa, dalle acque di Corsica e del Nord-Africa fino all'arcipelago greco in fronte a Corfù,Corone e Zante, raggiungendo per fino l'imboccatura dei Dardanelli in Turchia .
Ma Andrea Doria non fu solo un uomo di mare condottiero e costruttore di flotte, possedute privatamente ed appaltate per lo più alla Spagna per il controllo del mare Mediterraneo, fu anche un politico avveduto come riformatore delle istituzioni etatiche genovesi ed il garante personale sul piano politico e diplomatico dello stretto rapporto di al­leanza tra gli Asburgo di Spagna e la repubblica aristocratica di Geno­va, con i suoi abili e potenti banchieri privati , primo fra tutti il ricchissimo Adamo Centurione, ombra e creatura di Andrea Doria a Genova ed a Madrid .
E' innegabile che per una mancanza di figli propri, come di figli dei suoi due fratelli e di una sorella, Andrea Doria non potè creare una dinastia monarchica nello stato ligure, anche perché il suo congiunto collaterale Gianettino Doria, da lui considerato più che cugino quasi un nipote vero,a lui carissimo, purtroppo fu ucciso nella congiura dei Fieschi dell'anno 1547.
Si dove ricordare che dal matrimonio di Gianettino, con la figlia unica di Adamo Centurione, Ginetta, e precisamente con i loro due figli Giovanni Andrea e Pagano si è trasmesso in successione ereditaria il possesso dei feudi imperiali doriani di Melfi e di Tursi, con i collegati titoli di Principi di Melfi e Duchi di Tursi,
Andrea Doria muore all'età di 94 anni a Genova nel 1560 ed in quell'anno potè vedere restituita a Genova la Corsica, isola dove aveva battagliato più volte in anni lontani, in seguito dei trattati fra Spagna e Francia di Cateau-Cambresis, di cui il Emanuele Filiberto era stato uno degli artefici principali.


Rimane un'ultima domanda che si riferisce in particolare alla quarta parte del suo libro, quella che attiene alle vicende storiche più recenti e quasi a noi contemporanee dell'ultima discendenza di Emanuele Filiberto, il Duca Testa di Ferro, nell'Italia "Nazione".
Si può dare per scontata la gloria dell'unificazione nazionale italiana che spetta alla Dinastia dei Savoia per opera di Re Carlo Alberto e di Re Vittorio Emanuele II, non meno che alle virtù umane di Re Umberto I, detto giustamente il Re "Buono".
Quest'ultima domanda, veramente inquietante, è relativa alle due ultime figure della Monarchia sabauda, cioè Re Vittorio Emanuele III e Re Umberto II e può essere così sintetizzata: è mai possibile che questi due uomini, come sovrani dell'Italia "nazione", assolutamente di sentimenti sabaudi tradizionali, non siano stati all'altezza dei valori della dinastia a cui appartenevano e da causare tanto danno al popolo italiano da provocare il rifiuto della Monarchia costituzionale di Re Carlo Alberto e l'esilio senza fine per sé stessi da vivi e da morti dalla patria italiana ?


La domanda è certamente giustificata, anzi è obbligatoria, per nulla provocatoria .
Ma la risposta è assolutamente netta nella quarta parte del libro di cui sono autore, come semplice cittadino italiano ora scrittore.
Re Vittorio Emanuele III salvò l'Italia due volte e sempre come Re Soldato: una prima volta a Peschiera nel novembre 1917 ed una seconda volta nel settembre 1943 a Pescara.
Sul comportamento della Dinastia dei Savoia nella Sua Persona, esiste universale consenso per il 1917, mentre per il 1943 è stato emesso un giudizio pubblicistico inesorabilmente negativo per decenni.
L'assunto cattivo dice: quel Re abbandonò "pavidamente" il suo posto di Re a Roma, non meno che il comando delle nostre forze armate, che furono largamente annientate dalle efficacissime divisioni tedesche a loro contigue sul territorio peninsulare italiano e su quello balcanico e greco.
Non solo, a questo già cattivo assunto, se ne aggiunse un altro più velenoso: il tradimento dell'alleato tedesco.
Ebbene, c'è una vicenda storica tragica che va oltre il piano umano delle persone individualmente coinvolte, che in questa vicenda dell'anno 1943 sono Mafalda, figlia di Re Vittorio Emanuele III e suo marito il principe tedesco Filippo, Langravio d'Assia: lei deportata a Buchenwald, il ben noto lager nazista della Turingia, dove fu ferita da bombe anglo-americane, ma uccisa da medici nazisti, mentre il di lei marito Filippo fu deportato in quell'altro lager nazista di Flossemburg , il lager di prigionia, di tortura e di impiccagioni non distante da Berlino, anticamere della morte per i cospiratori anti hitleriani tedeschi.
E' questa vicenda che unisce Casa Savoia e Casa d'Assia in una successione di accanimenti di rilevanza storica assoluta.
Casa Savoia e la Casa d'Assia si mossero congiuntamente nella primavera dell'anno "orribilis" 1943 per sollecitare Hitler a por fine alla guerra in atto dal 1939, ma ormai irreversibilmente pregiudicate in un esito positivo finale dopo le catastrofi militari del Nord-Africa e Stalingrado subite ad opera di anglo-americani e russi. E l'attore protagonista di questa iniziativa di fronte ad Hitler fu proprio il marito di Mafalda, il principe tedesco Filippo, sollecitato da Umberto di Savoia, fratello di Mafalda. Questa iniziativa leale e coraggiosa si ebbe a Klessheim nell'aprile 1943 al cospetto del dittatore tedesco al quale Filippo d'Assia chiese una trattativa immediata con gli anglo-americani.
Questa iniziativa fallì ma ebbe tremende conseguenze: Hitler comprese senza alcun dubbio che la Monarchia dei Savoia avrebbe portato la nazione ed il popolo italiano fuori della guerra ad ogni costo e dispose, con lucida razionalità tedesca, i provvedimenti del caso: il feldmaresciallo Rommel fu richiesto di predisporre un piano per l'annientamento delle forze armate italiane.
Quel piano si chiamò piano "Achsen", fu strategicamente predisposto e l'8 settembre 1943 scattò e riuscì perfettamente anche per il decisivo ausilio offerto dal generala Eisenhower, che volle umiliare il governo italiano, succeduto per volontà del Re a Mussolini con l'imposizione di un armistizio incondizionato, armistizio poi di male in peggio annunciato alla radio in anticipo sulla data convenuta, che non era l'8 settembre 1943.
Tutto questo è ben noto e non occorre richiamare i documenti irrefutabili, citati nelle fonti bibliografiche del libro, tratti da testi facilmente consultabili, in quanto disponibili in biblioteche e filmoteche esistenti in Italia e fuori d'Italia e che la storiografia non medianica e seria ha già preso debitamente in considerazione.
Il librò riporta elementi molto umani sulla vicenda Casa Savoia-Casa d'Assia che, se pur conosciuti a decenni di distanza dal loro accadimento, rimangono scioccanti sul piano umano e ci pongono due esplicite domande sulla deportazione di Mafalda:
- la prima: perché questa donna fu deportata sotto falso nome, come Frau von Weber e non con il suo titolo di principessa di Savoia e Landgrafin von Hessen?
- la seconda: perché questa donna la si volle morta e solo per l'iniziativa di pochi il suo corpo denudato potè essere sottratto al forno crematorio per essere sepolto nel cimitero pubblico di Weimar come una donna sconosciuta?
Sono domande ben più inquietanti,di facilissima risposta: Hitler voleva che non si sapesse dell'iniziativa di Casa Savoia e della Casa d'Assia per una pace che avrebbe risparmiato tanti lutti,poi avvenuti,in Germania, ma evitati all'Italia con la provvida uscita dal conflitto dell'Italia di Casa Savoia,voluta ed effettuata drammaticamente, ma utilmente,da Re Vittorio Emanuele III l'8 settembre 1943.
Ci fu l'interesse e la volontà del popolo tutto e naturalmente un costo reale ma limitato nel possibile: meno morti e meno distruzioni.
Non ci fu il tradimento dell'alleato tedesco, ma anche qui è un costo la morte di Mafalda a Buchenwald e la prigionia di Filippo nei lager di Flossenburg e Dachau ed i castelli di odio per la Dinastia dei Savoia eretti da tante penne mediatiche di successo nostrane.
Hitler persistette nel suo folle progetto: poteva con ragione odiare la Dinastia dei Savoia e la Casa d'Assia e naturalmente gli italiani: i suoi abili generali catturarono centinaia di migliaia di soldati italiani, altri ne uccisero a centinaia , ma una parte consistente delle loro divisioni rimase per ben venti mesi in Italia e non potè essere impiegata sul fronte russo ed in Normandia, causando la definitiva caduta, è sconfitta della Germania hitleriana .
Il contributo certo ed estremamente provvido del cambiamento di fronte voluto ed attuato da Re Vittorio Emanuele III e dal suo governo fu essenziale alla vittoria finale degli alleati, ma venne misconosciuto negli atti del governo De Gasperi al momento della stesura definitiva del trattato finale di pace tra loro e l'Italia, preferendo richiamare il fiancheggiamento certo delle formazioni partigiane ma in tutta evidenza collaterale e meno determinante.
Gli storici inglesi ed americani di cose militari nelle opere e saggi sulla guerra, hanno dovuto sottolineare la grande capacità strategica e tattica dei generali di Hitler, ma che sul piano strettamente militare erano insufficienti a contrastare la strapotenza dei contrapposti generali alleati, malgrado gli innegabili loro errori strategici, tra i quali la macroscopica stupidità con cui gestirono militarmente il dato politico italiano dell'uscita dalla guerra nelle trattative armistiziali e nel seguito attuativo dell'armistizio con la controparte italiana che era rappresentata sostanzialmente da Re Vittorio Emanuele III.
E veniamo ora alla figura di Re Umberto II, il Re che sembrerebbe aver seppellito la Monarchia costituzionale di Re Carlo Alberto.
La Monarchia costituzionale di Carlo Alberto si è detto era rappresentativa , cioè parlamentare: ebbene da un voto censorio iniziale, eppoi di cultura - non si doveva essere incolti per essere soggetti elettorali - si è arrivati, per passi successivi, al suffragio universale con il diritto a votare alle donne con la legge del 14 febbraio 1945 n° 23 a firma di Umberto di Savoia , allora Luogotenente Generale del Regno.
Umberto di Savoia, sempre come Luogotenente Generale del Regno, firma il Decreto Legislativo Luogotenenziale 16 marzo 1946 n.98,stabilisce che la decisione sulla forma istituzionale dello Stato, monarchica o repubblicana, venga sottratta all'Assemblea Costituente ed attribuita direttamente al popolo, che avrebbe espresso la sua volontà con appo­sito referendum da tenersi contemporaneamente all'elezione dell'Assemblea in parola.
Referendum ed elezione dell'Assemblea Costituente ci furono il 2 giugno 1946. Il popolo elettore in quell'anno 1946, come si legge nei documenti dell'Istituto Centrale di Statistica di Roma, era costituito da 28.005.449 elettori.
La Repubblica ricevette voti 12.672.767: la differenza a 28.005.449 è rappresentata da voto monarchico e astensioni,
E' numerico che il popolo italiano votò per la Repubblica nella misura del 45,25 %
E' politico e numerico che i costituenti eletti da 22.968.286 elettori erano rappresentanti di partiti dichiarantisi sostanzialmente repubblicani nella proporzione dell'8O% circa . Sulla base di questi elementi numerici e naturalmente politici il Governo del tempo, presieduto da Alcide De Gasperi, ingiunse al Re Umberto II di lasciare il Quirinale e l'Italia.
Re Umberto II, posto nell'alternativa di "provocare spargimento di sangue o di subire violenza", il 13 giugno 1946 lasciò l'Italia e finiva così la Monarchia Costituzionale di Re Carlo Alberto, di Re Vittorio Emanuele II, di Re Umberto I, di Re Vittorio Emanuele III e dello stesso Re Umberto II.
L'Assemblea Costituente sancì successivamente per i Re Vittorio Emanuele III e Umberto II, per le loro Consorti e per i loro discendenti maschi il divieto di ingresso e di soggiorno sul territorio nazionale.
La 14a legislatura repubblicana l'11-07-2002 abrogò questa norma iniqua grazie ai partiti rappresentati in Parlamento: la Dinastia dei Savoia non è mai finita, continua nel libro della Storia ed è ora tra noi con i Principi Vittorio Emanuele, il figlio Emanuele Filiberto.
Emanuele Filiberto, omonimo del Duca Emanuele Filiberto "Testa di Ferro" del secolo XVI, con la sposa Clotilde ha già dato continuità alla Dinastia dei Savoia, ed è anche figlio di Marina Doria-Ricolfi.
Ai posteri l'ultima parola.








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