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16/11/2006
Franco Manni conversa con Tom Shippey
Dall'Università di Saint Louis nel Missouri (USA), dove attualmente insegna, una intervista esclusiva con il più noto e il più stimato degli studiosi tolkieniani, l'autore di «J.R.R. TOLKIEN Autore del Secolo»





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Dall'Università di Saint Louis nel Missouri (USA), dove attualmente insegna, una intervista esclusiva con il più noto e il più stimato degli studiosi tolkieniani. L'autore di «J.R.R. TOLKIEN Autore del Secolo» ha insegnato Filologia Inglese medievale a Oxford con lo stesso programma di studi (syllabus) con cui la aveva insegnata Tolkien. In seguito, è stato professore alla Università di Leeds, dove anche Tolkien lo era stato all'inizio della carriera. Ha conosciuto personalmente Tolkien, col quale ha avuto una corrispondenza epistolare. Per i suoi studi tolkieniani e per questo libro che ora esce in Italia sull'onda del consenso già registrato in Gran Bretagna e negli Stati Uniti. ha ricevuto l'assistenza di Christopher Tolkien, curatore delle opere postume del padre.
Conversa con Tom Shippey, Franco Manni che ha firmato un saggio introduttivo alla traduzione italiana del suo libro, responsabile di "Endore" periodico di studi tolkieniani, curatore dei volumi "Introduzione a Tolkien" (Simonelli Editore), di "Liberalismo e Democrazia" di Norberto Bobbio (Simonelli Editore) ed autore del volume di Etica Filosofica "Lettera ad un Amico della Terra di Mezzo" (Simonelli Editore).
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Professor Shippey, a quale tipo o tipi di pubblico è indirizzato questo suo libro Tolkien Autore del Secolo?


Capita spesso che la gente mi scriva per dirmi : "Mi interessa Tolkien, vorrei studiare Tolkien, vorrei scrivere la mia tesi di laurea su Tolkien, ma il mio insegnante, o il mio professore, dice che Tolkien non è un argomento adatto, non è qualcosa che si studia nelle scuole, o nell'università. Ho scritto il libro Autore del Secolo per dimostrare a gente come questa che esistono ambienti in cui Tolkien è stato preso seriamente. Non penso di riuscire a convincere i professori più tradizionalisti, ma esistono molti studenti a cui piacerebbe studiare Tolkien, e penso ci sia bisogno di qualcuno che affermi con serietà e con dati di fatto che Tolkien è un autore degno di tanto rispetto quanto gli autori della cosiddetta letteratura mainstream ["di corrente principale", cioè riconosciuta dal canone critico tradizionale, N.d.R.]. Quindi possiamo dire che ho scritto questo libro per coloro che considero degli studenti "svantaggiati".


Il Suo messaggio principale in questo libro è che Tolkien è stato un tipico autore del Ventesimo secolo. Perché, secondo Lei, Tolkien è stato un tipico autore di questo Secolo?


Beh, in primo luogo, perché Tolkien non è un "tipico" autore del XX secolo! I lettori lo notano subito, parla di un mondo che è quasi completamente separato dal nostro. Tuttavia, ciò che mi ha colpito quando abbiamo cominciato a esaminare le statistiche e i sondaggi d'opinione riguardo agli autori, è il fatto che molto spesso gli autori nelle prime 5 o 10 posizioni sono, in molti modi, assai simili a Tolkien. Si tratta di autori come George Orwell, William Golding, Kurt Vonnegut, T. H. White, e, naturalmente, l'amico di Tolkien C.S. Lewis. Sono tutti autori di opere letterarie di genere fantastico e sono, anche, ex soldati veterani di grandi Guerre. E così ho notato che, sebbene Tolkien possa sembrare un autore atipico in ciò che scrive, i suoi temi sono comunque quelli gravi e terribili del XX secolo: l'industria usata a scopi bellici, il ritorno a quelle che potremmo quasi chiamare "condizioni medievali", che noi Europei pensavamo di esserci lasciati alle spalle nel XVIII e nel XIX secolo.
E così, ciò che è strano è che tutti questi autori parlino di argomenti molto seri e reali, dei quali hanno ovviamente avuto esperienze dirette. Tuttavia sentono di poter parlare di ciò che voglio soltanto attraverso il mezzo della letteratura di tipo fantastico. Quindi, da questo punto di vista, trattando argomenti seri, seppur in modo fantastico, Tolkien è un tipico autore del XX secolo. È solo che molti dei miei colleghi, i critici professionisti, non se ne rendono conto. Non prestano molta attenzione a ciò che la gente preferisce leggere e, come dirò poi, affermano - ad esempio, come una giornalista del "New York Times" - che "Tolkien non è letteratura". Ma, in fin dei conti, chi sono loro per decidere cosa è la letteratura? La letteratura, in ultima analisi, è ciò che la gente legge, e di sicuro Tolkien ha avuto molto successo in questo campo.


Lei presenta Il Signore degli Anelli come un romanzo moderno, inserito nelle problematiche del XX secolo. Secondo Lei, perché tanti critici lo presentano come un autore nostalgico del medioevo, un autore anacronistico, conservatore?


Beh, naturalmente dicono questo perché Tolkien è anche queste cose. Ma, ancora una volta, una delle cose più sorprendenti che emergono in anche in alcuni altri autori oltre Tolkien, e che i critici non hanno mai notato finora, è che, in qualche strano modo, per tali autori la letteratura medievale era più rilevante e più seria rispetto alle opere del XVIII e del XIX secolo. Pensavano, sotto molti punti di vista, di essere tornati a un mondo medievale. Per esempio Robert Graves, l'autore di Il Divo Claudio e di Io, Claudio, proprio come Tolkien fu un fuciliere nella Prima Guerra Mondiale, e sempre come Tolkien, si considerava un poeta, ma quando scrisse la sua autobiografia, Addio a Tutto Questo, raccontò di essersi recato a Oxford, proprio nello stesso periodo di Tolkien (e credo che abbiano frequentato assieme l'università), ma si sentì dire che la letteratura medievale era qualcosa che non aveva niente a che fare con la vita reale. Graves rispose che in realtà aveva tutto a che fare con la vita reale: era reduce da un conflitto che si poteva definire medievale, combattuto con coltelli, mazze e randelli, nel buio. Disse che leggere brani di letteratura anglosassone altomedievale gli sembrava molto più normale e reale che non leggere le opere del XVIII secolo e dell'Illuminismo. Quindi, Tolkien è sì un autore medievale e anacronistico, ma purtroppo l'intero XX secolo è rapidamente diventato anacronistico allo stesso modo.


Quali sono gli altri messaggi principali che Lei ha voluto comunicare con questo Suo libro?


Dunque, ne sceglierò solo uno, che spesso viene ignorato. E cioè che Tolkien si considerava soprattutto un poeta. Ed era davvero un poeta! Non ho mai provato a contare il numero di poesie di Tolkien di cui disponiamo, ma devono essere più di cento. A volte sono difficili da valutare in sé stesse, perché molte di esse - non tutte, ma buona parte - sono presentate all'interno di una storia. Ma credo che Tolkien ritenesse, e a buon motivo, di non stare inventando tutto di sana pianta, ma di rivitalizzare la poesia tradizionale inglese, che in passato era stata molto forte, ma era poi stata spinta da parte dai tempi moderni. Ma era sopravvissuta, come spesso accade a questo genere di cose, come le fiabe, in una sorta di mondo a parte, quello della sotto-letteratura, e dei racconti popolari. Al momento mi trovo negli Stati Uniti d'America, dove una forma di musica molto popolare sono le canzoni country e western... ma molto spesso, nelle canzoni country e western, mi capita di sentire strofe che combaciano perfettamente con la metrica medievale.
Mi capita di chiedere agli autori di tali canzoni "Sapete qualcosa riguardo al Medio Evo?" "No, mai sentito nulla riguardo ai versi medievali". Eppure le cantano, tutti quanti, seguendo le stesse tradizioni dei loro nonni, e dei nonni dei loro nonni, risalendo a centinaia e centinaia di anni fa. Anche questo è un fenomeno che non è stato notato dai critici professionali.


Quali sono i personaggi tolkieniani e le scene, o i momenti, che Lei preferisce?


Ebbene, devo raccontarvi che per molti anni sono stato a capo di un Consiglio d'Istituto di un'università, e dopo aver assistito a tutti quegli incontri in cui i miei colleghi discutevano tutto il tempo e non decidevano mai niente, il personaggio per il quale provo più simpatia è Ugluk l'Orco, quello che cattura Merry e Pipino. Anche lui doveva trattare con una banda di creature orchesche e selvagge che non facevano quello che gli veniva detto di fare. E lui risolve il problema allo stesso modo che mi piacerebbe applicare: si fa avanti, fa volare una o due teste e dice "Adesso si fa come dico io." Devo confessare... che in molte occasioni mi sono sentito come Ugluk!
A parte questo, penso che un'altra grande scena sia, naturalmente, l'arrivo di Rohan, la scena alla fine dell'assedio di Minas Tirith, quando Gandalf si erge alle porte di Gondor, sente il gallo cantare, vede il Nazgul che esita e poi sente echeggiare i corni di Rohan. "Rohan era finalmente arrivato." Quella credo che fosse la scena preferita di Tolkien, ed è una di quelle che anche io amo di più.


Provi a sintetizzare brevemente le principali differenze tra Il Signore degli Anelli e l'altra grande opera di Tolkien, Il Silmarillion.


È un'impresa che porterebbe via un bel po' di tempo! Ma forse la differenza principale sta nel fatto che Il Signore degli Anelli è scritto con lo stile, diciamo, di un romanzo moderno. Fa uso di un realismo molto ben sviluppato, comprende molti dialoghi, ti dice cosa stanno pensando e cosa provano i personaggi... è diretto, di ampio respiro, ti fornisce, come tutti noi lettori ben sappiamo, molto più di ciò di cui hai bisogno di sapere. Il Silmarillion, invece, è scritto più nello stile di una cronaca medievale, o ancora meglio, nello stile di una saga medievale islandese. E così tutto ci appare molto brusco, non ci dice molte delle cose che vorremmo sapere. I personaggi, quando parlano, parlano molto brevemente, si passa in fretta da un evento all'altro. C'è una sensazione di affollamento, e, potremmo quasi dire, di urgenza di passare da un evento al successivo. È anche, come ben sappiamo, molto difficile da ricordare, perché è necessario ricordare chi sono i personaggi e come sono correlati tra loro, e noi, con la nostra debole memoria moderna, non siamo sempre in grado di ricordare chi è cugino di chi, o che rapporto esiste di preciso, ad esempio, tra Tuor e Turin Turambar. A un certo punto si incrociano, ma non si parlano. Sotto certi aspetti è un momento di vitale importanza, ma se mi venisse chiesto ora "Che rapporto c'è tra Tuor e Turin Turambar?" direi "Penso che siano cugini, ma devo consultare la loro dinastia, il loro albero genealogico per rispondere. Ma so che è una domanda importante!" Quindi, direi che, in una sola parola, Il Silmarillion è un'opera molto più "compressa" rispetto a Il Signore degli Anelli, ed è questo che ce la rende molto più difficile da leggere.


Lei è uno studioso di Lingua e Letteratura Medievale ma Lei è anche un attento lettore della letteratura del XX secolo : secondo Lei quali sono le cose importanti presenti in un'opera del nostro secolo come Il Signore degli Anelli e assenti in un'opera medievale come il Beowulf ?


È una domanda difficile, sono molto più abituato a rispondere a un'altra domanda, e cioè cosa le due opere hanno in comune. Dunque, come risposta molto rapida, direi che Il Signore degli Anelli ha gli Hobbit. Sia Beowulf che Il Signore degli Anelli hanno giganti, elfi, draghi e una sensazione di un immenso passato alle loro spalle, ma Il Signore degli Anelli ha gli Hobbit. Beowulf non ha nessun personaggio simile a loro, e gli Hobbit portano con loro una sensazione di anacronismo, la sensazione del mondo dell'infanzia di Tolkien tra la fine del XIX secolo e l'inizio XX, potremmo chiamarlo il Mondo Moderno, ma un mondo moderno che esiste - anacronisticamente - nel cuore stesso della Terra di Mezzo. Poi c'è la Contea, che è una sorta di centro di "vita normale", che naturalmente è un concetto ignoto in Beowulf, e ci sono anche personaggi come Tom Bombadil che, credo, potrebbe avere qualche vaga corrispondenza nella letteratura anglosassone, ma non in Beowulf. Quindi direi senza dubbio che Il Signore degli Anelli è un'opera del XX secolo, e che il XX secolo entra ne Il Signore degli Anelli attraverso gli Hobbit e la Contea.


Tolkien , come romanziere, aveva tante abilità . Provi a metterle in scala gerarchica, dalla più grande alla più piccola : costruire la trama ; dare messaggi filosofici e morali ; fare un approfondimento psicologico dei personaggi ; il realismo e la profondità del background storico, delle descrizioni, dei dettagli, delle lingue ; la creatività "ispirata" nel trovare idee .


Dunque, la prima, che è anche la più influente, è quella capacità che tutti gli autori di fantasy successivi a Tolkien hanno cercato di sviluppare, con più o meno successo, e cioè la capacità di creare un Mondo. Tolkien ci ha offerto la Terra di Mezzo. È vero che Tolkien non considerava la Terra di Mezzo una sua invenzione. Era convinto di rivitalizzare un mondo appartenente a un'era antica. Ma di sicuro rese la Terra di Mezzo abitabile per uno scrittore moderno. Penso che questa sia la prima cosa, e la più importante.
Credo che la seconda capacità di Tolkien sia quella di creare una trama narrativa molto complessa, i suoi imitatori a volte hanno provato a fare altrettanto, ma credo che abbiano sempre fallito, non sono riusciti a mettere assieme in maniera convincente una trama composta da molteplici fili narrativi, quel genere di racconto interlacciato che Tolkien è riuscito a scrivere e a far funzionare.
Penso che un terzo punto, che reputo molto importante ma anche molto oscuro, che mi è difficile spiegare, stia nel fatto che Tolkien ha un suo punto di vista filosofico e che cerca di trasmetterlo, ma la cosa strana sta nel fatto che cerca soprattutto di trasmetterlo non direttamente con le parole, ma attraverso la trama. È il modo in cui i fili della trama si intrecciano a dirci cosa pensa Tolkien a proposito, ad esempio, della Fortuna, della Fede e della Provvidenza., ma... vorrei riuscire a spiegarmi meglio. Ogni volta che leggo Il Signore degli Anelli scopro sempre nuovi collegamenti, e spero un giorno di poter avere il quadro completo nella mia testa... Ma penso che una cosa che Tolkien cerca di dirci è che la mente umana, in realtà, non è in grado di comprendere la Provvidenza. Non ne abbiamo la capacità! Siamo consapevoli della sua esistenza, ma da soli non riusciamo a capirla. E la lettura di Tolkien è un'esperienza simile. In quanto lettore io non riesco ad assimilare tutto in una volta.
Infine, direi che Tolkien è molto abile nel creare personaggi interessanti e avvincenti. Come dicevo prima, gli Hobbit sono una grande invenzione, diversa da tutto ciò che esisteva prima, credo, Tolkien li ha inventati partendo da zero.


Lei cosa pensa di come Tolkien tratta il tema della Provvidenza (o dei concetti correlati, il Fato, la Fortuna, in anglosassone medievale il Wyrd)? A Sua conoscenza, ci sono dei romanzieri "mainstream" del XIX o XX secolo che hanno trattato incisivamente questo tema della Provvidenza ?


Del XX secolo non me ne viene in mente nessuno, perché nessuno ci crede più. Nel XIX secolo, alcuni dei grandi autori inglesi hanno scritto opere sulla Provvidenza. Direi che la più memorabile sia l'autrice che scriveva sotto falso nome e si faceva chiamare George Eliot. La sua novella, Silas Marner, è sotto molti aspetti, uno studio sulla Provvidenza, come fece anche il filosofo medievale Boezio. Non so se Tolkien abbia mai letto questo romanzo, ma se l'avesse letto avrebbe riconosciuto, e avrebbe anche apprezzato il modo in cui Gorge Eliot ha riscritto Boezio in piena ambientazione britannica. Quindi, George Eliot è senz'altro uno di questi autori. Un altro autore molto diverso è Charles Dickens, ma Dickens, sebbene fosse un grande e geniale scrittore, non aveva alle spalle una cultura adeguata né aveva l'intento di fare deliberati collegamenti come invece avevano sia Tolkien sia George Eliot. Tuttavia, i romanzi dickensiani sono comunque uno studio inconsueto sulla natura della "Coincidenza".


Lei pensa che Tolkien abbia trattato bene il tema del Coraggio? Le chiederei di fare un confronto con alcuni romanzieri "mainstream" del XIX o XX secolo che hanno trattato il tema del Coraggio.


Direi che forse i migliore è l'autore polacco che scriveva le sue opere in inglese, e che noi chiamiamo Joseph Conrad. Conrad era un agnostico, ma Conrad era, anche lui, un uomo che aveva vissuto una vita assai attiva, ricca di esperienze al di fuori dell'ambito letterario; era stato capitano di una nave, era un marinaio provetto, e ha trattato con molta forza il tema del coraggio e della capacità di resistere. Ha trattato con molta forza anche il tema della codardia. Ma forse dovremmo dire che... sì, penso che vi piacerebbe, la sua più grande opera sul coraggio è il suo romanzo Nostromo. Nostromo, "il nostro uomo", che tuttavia finisce per essere, credo, non tanto uno studio sulla codardia, ma su qualcuno che fallisce la sua prova finale. Ma Nostromo è anche un'opera che ci dice molte cose sul coraggio e, a modo suo, sulla Fortuna... non direi Provvidenza, ma Fortuna.


Perché Tolkien è amato sia dai cristiani sia dai non cristiani?


Mi chiedi perché Tolkien sia popolare sia presso i cristiani che i non cristiani, e la risposta è, credo, che i cristiani siano perfettamente in grado di vedere le sue intenzioni benevole verso i temi della religione, ma allo stesso tempo i non cristiani possono perfettamente leggere Il Signore degli Anelli senza pensarci affatto, perché, come ben sappiamo, non c'è nessun riferimento esplicito alla religione ne Il Signore degli Anelli. I cavalieri non sembrano seguire alcuna religione quando seppelliscono Théoden, hanno una specie di rituale, ma non è celebrato da nessun sacerdote, e non viene fatto cenno ad alcuna speranza religiosa quando viene eretto il tumulo. E lo stesso vale per gli Hobbit. Sappiamo che gli Hobbit si sposano... ma dove? In chiesa? Non ci sono chiese. In municipio? Forse... ma chi presiede alla cerimonia? Un sacerdote? No, non hanno sacerdoti! Forse il Sindaco, o uno degli Sceriffi. Insomma, non lo sappiamo, non c'è alcuna traccia di una struttura religiosa nelle società de Il Signore degli Anelli. Eppure c'è una forte sensazione, credo, di osservare quello che in termini cristiani chiameremmo un Mondo Smarrito, un mondo in attesa di essere salvato e che non riesce a conquistare una salvezza duratura con le proprie forze. Come dicono tutti i personaggi più saggi, ciò che stanno facendo è "combattere la lunga sconfitta", perché non esiste vittoria finale possibile entro i confini della Terra di Mezzo. Qualsiasi forma di vittoria finale deve giungere dall'esterno, e non è ancora giunta.


Lei cita le tante fonti della "true tradition" [tradizione letteraria autentica, accertata N.d.R.] che hanno influito su Tolkien . Lei pensa che in Tolkien la tradizione letteraria passata abbia più peso, più spazio, più influenza rispetto alla media dei romanzieri "mainstream"?


Diciamo che le tradizioni letterarie a cui si riferisce Tolkien sono assai più potenti anche nella letteratura "mainstream" di quanto spesso non si noti. Grandi poeti come Wordsworth, Coleridge e Tennyson, sotto molti aspetti, sono poeti "medievalizzanti", Wordsworth e Coleridge si rifanno deliberatamente alle tradizioni orali delle ballate e delle poesie, e, ancora, possiamo vedere qualcosa di analogo in autori come Sir Walter Scott in persona, un grande ricercatore e creatore di ballate. Questa tradizione continua in autori come William Morris, e, immagino, Swinburne, fino a giungere a Tolkien stesso. È qualcosa che - nei tempi lunghi - tende ad essere messo da parte, ma è anche un elemento potente, e una volta che si impara a fare riferimento alle opere della tradizione, i risultati sono immensamente popolari. L'opera più popolare in inglese del XX secolo, a parte la Bibbia, è quella di Tolkien e l'opera più popolare in tedesco del XIX secolo, a parte la Bibbia, è la raccolta di favole dei fratelli Grimm, che ormai tutti in Europa conoscono. Entrambe sono opere derivate dalle tradizioni : abbiamo l'opera più popolare del XIX secolo e l'opera più popolare del XX secolo... sono due belle vittorie per le tradizioni medievali!


Pensa che la critica "mainstream" si accorgerà del valore letterario della opera di Tolkien in tempi abbastanza brevi, cioè, diciamo, non tra decenni?


No, naturalmente non lo farà. E posso spiegare facilmente perché. La critica odierna è regolata dalla nozione che nella lingua inglese chiamiamo Modernismo. Per la verità sarebbe Post-modernismo... non che ci sia una gran differenza tra le due cose! Il Modernismo è in realtà una parola che risale agli anni del mio bisnonno, attorno al 1920, è tutto tranne che moderna, sono solo i critici a dire che lo è. Si affida a una nozione di modernità e di ciò che, secondo loro, la letteratura del XX secolo avrebbe trattato, che si è rivelata completamente sbagliata. Quindi, sotto molti aspetti, è un movimento arcaico, conservatore, conformista, ma temo che sia diventato dominante tra le correnti critiche, e questo è anche il motivo per cui la critica letteraria non riesce ad attirare più studenti. Qui negli Stati Uniti sta scomparendo, gli studenti non si iscrivono, le università chiudono corsi su corsi, e tutto questo perché i critici si aggrappano testardamente a qualcosa che non ha funzionato. Ecco, è un peccato, un grande peccato, credo, che non si studi abbastanza il Fantasy, la Fantascienza e tutte le altre forme narrative popolari dei tempi moderni, ma purtroppo, questo è ciò che accade.


In generale, perché secondo Lei il genere Fantasy è disprezzato dai critici "mainstream"?


Per loro il successo del Fantasy non doveva accadere, si è rivelato una sfida all'autorità dei critici stessi. I critici dicono: "Siamo noi a decidere cosa è Letteratura e cosa no, voi non avete diritto di voto." E naturalmente il pubblico dei lettori risponde "Cosa ce ne importa, di quello che pensate, noi leggeremo quello che ci piace, e se decidiamo di chiamarla Letteratura, lo faremo! Se ci dite che non possiamo chiamarla Letteratura, la chiameremo in qualche altro modo. Non fa differenza." Credo che questa sia una tipica sfida a un'autorità consolidata, e le autorità consolidate, specialmente quando sono delle burocrazie, odiano ogni tipo di sfida, e reagiscono dicendo "non esiste". Non saprei, questo è un grande problema anche nella vita reale. Franco, come si sconfigge la burocrazia? Io non lo so!


Perché riguardo ad autori come Tolkien, C. S. Lewis e Orwell c'è una così grande differenza tra il giudizio popolare e il giudizio della critica "mainstream"?


Il motivo è lo stesso, e cioè la sfida a un'autorità, e anche, credo, nel caso di Tolkien e Lewis, il loro deciso tradizionalismo religioso, il fatto che siano cristiani, e come tali disprezzati dai Modernisti, che pensano che tutto questo genere di cose sia démodé, datato, e indegno della loro attenzione. Sarei tentato di dire che per i miei colleghi critici, autori come Tolkien, Lewis e anche Orwell, devono essere come dei Vampiri. Pensi che siano morti, gli pianti un paletto nel cuore, li seppellisci a un crocevia, e pensi che sia finita. Poi qualcuno versa su di loro una goccia di sangue, e rieccoli vivi e vegeti! Quando i critici vedono Tolkien o qualcuno come Orwell, vedono il Medio Evo che ritorna, e trovano una prospettiva del genere molto difficile da accettare. Eppure, una delle cose che ho tentato di fare nel mio libro Autore del Secolo è spiegare perché tutto questo accade. Questi autori costituiscono un fenomeno, qualunque cosa si possa pensare, che piaccia o meno, e un fenomeno necessita sempre di una spiegazione. Se non si ha una spiegazione, non si può avere una teoria letteraria, e nonostante si parli molto di teorie letterarie in questi giorni, non esiste ancora una teoria soddisfacente riguardo alla letteratura fantastica.


Secondo Lei quali sono le cose migliori e quali sono le cose peggiori nei film tolkieniani di Peter Jackson?


Non penso che ci siano molti difetti, ma... di tanto in tanto si ha la sensazione che debba rivolgersi a un pubblico di ragazzini - e di ragazzine! - e che debba fare qualcosa per compiacerli, e così abbiamo scene come quella in cui l'elfo Legolas fa skate-board giù per la scalinata, al Fosso di Helm. Non posso fare a meno di pensare che fare skate-board sia qualcosa di tremendamente fuori luogo nella Terra di Mezzo. E poi abbiamo il nano Gimli, che è reso quasi sempre come un personaggio comico. Vengono fatte numerose battute riguardo al "lancio dei nani". Non so proprio cosa ci sia di divertente nel "lancio dei nani", pare che sia una sorta di spettacolo popolare negli Stati Uniti e in Australia, ma spero in nessun altro posto. Non penso ci fosse bisogno di quelle battute, e questo è quanto.
Veniamo ai pregi. Un grande pregio è il fatto che Jackson non ha paura di essere riflessivo, invece di cedere al frastuono a tutti i costi. C'è una bellissima scena riflessiva, nel terzo film, nel corso di una violenta scena d'azione in cui i Troll stanno per abbattere le porte per entrare nel secondo livello di Minas Tirith, e, in mezzo a tutto questo, Gandalf è seduto accanto a Pipino, che ha paura, e gli parla molto serenamente della morte, e riesce in qualche modo a consolarlo, usando parole tratte da un altro capitolo de Il Signore degli Anelli, che Jackson ha prelevato e inserito in questo punto, e il risultato è molto commovente, secondo me.
Allo stesso modo, è bello vedere durante il Consiglio di Elrond (nel primo film) - che Jackson ha cambiato molto rispetto all'originale - il modo in cui si conclude la scena. Il Consiglio finisce, cosa che non accade in Tolkien, con tutti i partecipanti che gridano e iniziano a discutere l'uno con l'altro. In mezzo a tutto questo, Frodo dice: "Prenderò io l'Anello", e nessuno lo sente perché sono tutti impegnati a discutere. Ma Gandalf lo sente e si volta verso di lui, e Frodo ripete: "Prenderò io l'Anello", e allora tutti fanno silenzio, perché si rendono conto che Gandalf sta ascoltando Frodo, e non loro. E allora Frodo ripete "Prenderò io l'Anello... ma non conosco la strada." Ecco, è tutto assai diverso dal modo in cui lo racconta Tolkien, ma è una scena molto potente e suggestiva.
Nel primo film c'è anche un'altra scena, spostata dalla sua posizione originale. In Tolkien, quando Frodo si rende conto di cosa sta accadendo, quasi all'inizio, dice a Gandalf : "Vorrei che non fosse accaduto nel mio tempo" e Gandalf risponde: "Lo vorrebbero tutti coloro che vivono in tempi come questi. Ma non spetta a loro decidere. Tutto ciò che spetta a noi è decidere cosa fare col tempo che ci viene concesso". Ecco, Jackson sposta questa scena dal suo contesto originale e la inserisce nelle Miniere di Moria, con Frodo e Gandalf che parlano tra loro e nessun altro che ascolta. Tutto è silenzioso, e i due parlano tra loro sommessamente. E poi, proprio alla fine del primo film, quando Frodo sta per andarsene da solo sente la voce di Gandalf, che crede sia morto, che gli parla. Vediamo Gandalf proiettato sul grande schermo e sentiamo la sua voce da lontano che dice le stesse parole, ma stavolta non usa l'impersonale, dice "tu". "Tutto quello che devi fare è decidere cosa fare del tempo che ti viene concesso". Tutto diventa molto più diretto, molto più personale. Ecco, ci sono molti momenti come questo, e apprezzo molto il modo in cui Jackson si è concentrato sul cuore della storia originale, senza lasciarsi distrarre troppo dalle scene violente e d'azione.


(traduzione di Fiorenzo Delle Rupi - Ogni riproduzione vietata senza autorizzazione scritta di Simonelli Editore )



Fonte: L'ISTRICE

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