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18/11/2006
"Comincio con tre..."
Esordio in eBook ed Ex Libris di Tommaso Basileo. "Melopea barocca", "Germogli in cerca di primavere" e "Qadim e Giadid", due romanzi e un saggio sul mondo islamico segnano l'esordio su eBooksItalia di un autore tutto da scoprire. Scopriamo insieme queste narratore e saggista in una intervista esclusiva.





Lei, Basileo, in passato, ha pubblicato alcuni saggi. Solo recentemente, però, nella maturità, esordisce con due romanzi. Cosa l'ha spinta a questo salto di campo?

La familiarità con la lingua e con la scrittura si fece presente già nell'adolescenza ma, effettivamente, l'autentica spinta, la "necessità", si è fatta strada e si è imposta solo nella maturità. Naturalmente, questo non vuol dire che mettendo semplicemente a frutto l'esperienza e la maturazione, ad un certo punto, mi sono scoperto scrittore. Piuttosto, da modesto artigiano della scrittura quale mi reputo, ho avviato, gradualmente, una sperimentazione sul terreno che mi era sempre risultato ostico: il romanzo. La poesia e la saggistica le avevo frequentate con molta più spigliatezza. La narrativa, invece, l'ho sempre vissuta come un orizzonte intermedio tra estrema sintesi interiore ed estremo universo significante: il più difficile da realizzare. Forse aveva ragione Cioran: "La prosa esige un genio maturo e una lingua ben strutturata".

Ho notato che sulla copertina dei suoi romanzi l'editore ha utilizzato riproduzioni dei suoi quadri. Non le è estraneo, dunque, neppure il linguaggio delle arti figurative?

Dice bene. Non ci siamo fatti mancare nulla... Il fatto è che io sono molto curioso, mi piace assaggiare e provare tante cose. Il mio realismo, però, è un ottimo antidoto al pericolo delle divagazioni eclettiche e inconcludenti. Ad un certo punto ho concluso che quello non era il mio linguaggio prediletto e ho smesso.

Dunque, questo salto di campo rivela l'emersione di nuovi scopi da parte sua, di nuovi obbiettivi da comunicare?

Per quanto riguarda questi miei primi "tentativi letterari", li ho messi in forma attraversato da uno strano, parossistico, fervore pedagogico. Dico strano e parossistico perché ho sempre saputo che un libro non cambierà mai un gran chè: né il mondo né la vita delle persone. Alcuni sostengono che la forza essenziale di un romanzo sia quella di farci vivere all'interno di un mondo immaginario, aiutandoci a mitigare i dolori della realtà. Certo, ma non solo. Quello che posso dire è che tutto quello che scrivo nei miei libri, in qualche modo, fa parte della mia esperienza. Non vado mai al di là delle mie cognizioni. Un libro, del resto, serve semplicemente per svelare qualcosa. Togliere il velo da una cosa esistente non significa insegnare i segreti del successo o la via per vivere in eterno.

Quali sono i suoi modelli, i suoi riferimenti letterari essenziali?

I riferimenti sono troppi per poterli nominare tutti, anche perché sono da quarantacinque anni un lettore ad alta tensione, onnivoro e vorace. Quello che posso dire è che io prediligo un modello di scrittura che sappia esprimere le intensità intime del linguaggio, che riesca insieme a commuovere e a illuminare la realtà. Quando questa scrittura si riesce a realizzarla, e non è facile, ci fa vagare fra realtà e fantasia, tra motivi alti e bassi, ci consente continui passaggi di piano e sovrapposizione di tempi, permette dilatazioni del campo narrativo e improvvisi restringimenti. Essa è capace di presentarci le cose attraverso infinite finestre da cui si guarda il mondo e attraverso le quali, da fuori, si occhieggia. Questo tipo di scrittura, che il compianto Tondelli chiamava "emotiva", ha un bisogno fondamentale: esprimersi attraverso immagini frammentarie, catturate con la coda dell'occhio, solo per pezzi di vita o di cielo volutamente privi di simmetria, prospettiva, centralità e con evidenti significati simbolici: brevi geometrie contro il disordine e l'assenza apparente di senso.

Molti scrittori sostengono che è diventata una fatica di Sisifo scrivere nel nostro tempo: essere originali, implementare un proprio stile che si faccia notare. Cosa ne pensa?

Per quanto riguarda il problema dell'originalità le potrei rispondere con Emerson che affermava sorridendo: "L'originalità letteraria ha poco a che vedere con il dare origine a qualcosa". I debiti sono inevitabili. Non sono quasi mai frutto di pigrizia, hanno, semmai, la funzione di segnalare affinità e differenze, di evidenziare l'ambiguità semantica del linguaggio o, più semplicemente, le preferenze estetiche dell'autore. Altre sono le difficoltà, altri sono i problemi. Oggi, chi si avventura nella narrativa, attraversando il caleidoscopio dei linguaggi che ingorgano l'universo della comunicazione, dovrebbe riuscire a definire e fissare, almeno, una modalità stilistica che non implichi la rinuncia all'atteggiamento esplicativo. In altre parole: non dovrebbe rinunciare mai a farsi capire. Già il vecchio Sartre, ci metteva in guardia, facendoci intravedere l'oscuro silenzio oltre il massacro delle parole e della forma: "Il cielo vuoto e nudo delle equivalenze". Il problema più spinoso, però, già messo a nudo efficacemente da Moravia, è che noi moderni non riusciamo a non essere critici neanche quando raccontiamo una storia. Questo comporta che nel romanzo moderno scompare completamente il pathos: l'orrore e la pietà. Quello che resta rischia di essere soltanto una rappresentazione neutra, né comica né tragica, ma inevitabilmente estraniata ed estraniante.

I personaggi dei suoi romanzi, così pure la trama e gli intrecci, sono sempre di una misura inconsueta. Quali valori vuole trasmettere tramite essi?

Vorrebbe che le spiegassi i personaggi dei miei libri? Ciò che è scritto, o si spiega da sé, oppure si tratta di libri inutili da non leggere. Mi sono semplicemente sforzato di creare qualcosa di piacevole e interessante. Ho chiarito quali sono i miei limiti e quali le mie preferenze stilistiche, ma spiegare la mia opera, i messaggi diretti o subliminali che irradiano da essa, non è compito mio. Solo i lettori e i critici hanno diritto d'esprimersi, interpretare e valutare.

Bene. La recente pubblicazione del suo pamphlet "QADIM e GIADID", che tratta della globalizzazione e come si pone il mondo islamico in questo processo, cosa aggiunge al panorama dei saggi già in circolazione sull'argomento?

La novità più consistente, che mi sembra opportuno sottolineare, è che il mio sia pur sintetico saggio fa tesoro dell'approccio interdisciplinare. Tenta cioè di affrontare un problema complesso non cadendo nel vortice delle facili semplificazioni. Non utilizza categorie ideologiche e cerca di stare al riparo da pregiudizi e strumentalizzazioni. Naturalmente, il taglio che ho scelto mi accomuna a numerosi autori nello sforzo di delineare uno sviluppo economico sostenibile e solidale in un clima, finalmente, di sicurezza e di pace nell'interesse di tutti i popoli e non solo per la Grande Potenza Planetaria.



Fonte: L'ISTRICE

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